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Status di rifugiata per il concreto ed elevato rischio di un re-trafficking

Tribunale di L'Aquila, ordinanza del 30 maggio 2022

Photo credit: HRW

Il Tribunale di L’Aquila riconosce lo Status di Rifugiata ad una cittadina nigeriana vittima di tratta, motivata attraverso molteplici riferimenti giurisprudenziali e dottrinari, sul presupposto che lo Stato di origine è incapace di fornirne una protezione effettiva per le vittime di tratta, spesso mancando di perseguire in maniera efficace i trafficanti o le forze dell’ordine corrotte che collaborano con essi, nonché di fornire dei servizi adeguati di riabilitazione e reinserimento delle vittime rientrate nel Paese, affidandosi a rifugi statali o organizzazioni non statali che non risultano essere finanziate adeguatamente e non sono in grado di soddisfare i molteplici bisogni delle sopravvissute per un’assistenza omnicomprensiva di lungo termine.
La ricorrente proveniva dalla Nigeria, nello specifico dall’Edo State, paese particolarmente esposto al fenomeno della tratta. Dichiarava di essere orfana di padre, con una madre affetta da handicap motorio e due sorelle più piccole: E’ stata vittima di adescamento in Nigeria; ha transito in Libia, paese tristemente noto per le violenze in danno delle donne straniere; ha contratto un debito per il suo viaggio in Italia; appena giunta nel paese ospitante ha denunciato alle forze dell’ordine l’accaduto. 

Peraltro, ritiene il Collegio  che “spesso le vittime della tratta, pur trovandosi in un paese diverso da quello in cui la vicenda ha avuto origine, non si sono ancora liberate dalla soggezione fisica o psicologica agli agenti persecutori e quindi possono essere restie a raccontare tutti i fatti loro accaduti, ad autoqualificarsi vittime di tratta e ad intraprendere un percorso di affrancamento, il che potrebbe non essere ostativo al riconoscimento della protezione internazionale se i fatti narrati possono essere così qualificati, anche tramite l’ausilio del c.d. indicatori di tratta“.

E proprio utilizzando questi indicatori che, esaminata la storia personale, Il collegio riconosceva lo status di rifugiata alla giovane donna: “(…) Il racconto della ricorrente, contrariamente a quanto affermato dalla Commissione Territoriale e tenuto conto di quanto è stato stabilito a più riprese dalla Suprema Corte (cfr. tra le tante Cass. 31802/2021, Cass. 30402/2021, Cass. 32083/2021, Cass. 1750 /2021) appare pienamente credibile ed apprezzabile, anche alla luce delle Linee Guida UNHCR che evidenziano la situazione di vulnerabilità in cui si trova la parte richiedente ed il forte attuale rischio, in caso di rimpatrio forzato, di esposizione allo sfruttamento sessuale; il Collegio condivide integralmente l’importante e chiaro orientamento giurisprudenziale recentemente assunto dalla Cassazione nella sentenza n. 676/2022, secondo cui “a)- In tema di tratta ai fini di avvio alla prostituzione il richiedente asilo ha l’onere di allegare i fatti, ma non di qualificarli, compito questo del giudice che deve, in adempimento del dovere di cooperazione, a tal fine analizzare i fatti allegati, senza modificarli né integrali, comparandoli con le informazioni disponibili, pertinenti e aggiornate sul paese di origine e sui paesi di transito, nonché sulla struttura del fenomeno, come descritto dalle fonti convenzionali ed internazionali, e dalle Linee guida per la identificazione delle vittime di tratta redate dall’UNHCR e dalla Commissione nazionale per il diritto di asilo. b)- Alle vittime di tratta può essere riconosciuto lo status di rifugiato purché siano soddisfatti tutti gli elementi contenuti nella definizione datane dagli artt. 2 e segg. del D.Igs. 251/2007 e in particolare, qualora la tratta abbia come vittime le donne, specie ove siano giovani, prive di validi legami familiari e provenienti da zone povere, essa può considerarsi atto persecutorio in quanto riconducibile alla appartenenza ad un «particolare gruppo sociale» costituito da membri che condividono una caratteristica innata o una storia comune che non può essere mutata e cioè l’appartenenza al genere femminile.

(…) Alla luce di quanto sopra riportato la ricorrente, qualora dovesse rientrare in Nigeria, correrebbe il concreto ed elevato rischio di un re-trafficking a causa della sua esperienza di prostituzione in Europa, tenuto conto che 7 non ha ancora restituito il debito e si troverebbe pertanto particolarmente esposta; infatti, come riportano le fonti accreditate “Molte delle vittime rimpatriate in Nigeria cercano di tornare in Europa il prima possibile. Possono farlo di propria iniziativa, o essere spinte o costrette a farlo dal trafficante o dalla Madame, a cui potrebbero non avere ancora pienamente ripagato il loro debito”.

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Si ringrazia l’Avv. Chiara Maiorano per la segnalazione e il commento.


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