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Protezione internazionale alla donna vittima di tratta risultando inadeguata la minore protezione speciale riconosciuta dalla Commissione

Tribunale di Campobasso, ordinanza del 29 giugno 2022

Una giovane donna, di origine nigeriana, chiedeva asilo allo Stato Italiano, raccontando la propria storia alla Commissione Territoriale per il Riconoscimento della protezione internazionale di Salerno.

In particolare riferiva che all’età di appena nove anni venne affidata alle cure della zia, a causa delle ristrettezze economiche del suo nucleo familiare. Dalla zia fu da subito costretta a vendere acqua per strada, venendo spesso da quest’ultima picchiata violentemente se riportava a casa, a fine giornata, poco denaro. Durante il racconto mostrava alla Commissione le cicatrice sul volto, derivanti dalle percosse e violenze brutali a cui era quotidianamente assoggettata. Un giorno la zia, quando la richiedente aveva appena 21 anni, organizzò un incontro con una donna che le aveva proposto un’opportunità lavorativa in un bar in Europa. La richiedente accettò e, dopo essersi sottoposta al giuramento con rito voodoo, impegnandosi così alla restituzione della somma di 30.000,00 €, partì insieme alla donna e ad altre ragazze.

Giunta in Libia (Tripoli), dopo un lungo viaggio durante il quale subiva violenze sessuali e maltrattamenti, scoprì di essere stata destinata al mercato della prostituzione all’interno di una “connection house”. Litigò per questo con “la madame” accusandola di averla ingannata ma questa rispose di averla comprata dalla zia, la quale aveva ricevuto del denaro dalla madame.

Successivamente la richiedente asilo venne acquistata da un cliente abituale della connection house che, a sua volta, la consegnò ad un trafficante il quale la mise in contatto con una donna nigeriana residente in Austria che si propose di aiutarla per giungere in Europa. Pertanto la richiedente mise in contatto questa donna con la zia e le stesse si accordarono cosi per un secondo giuramento a suo nome, impegnandosi per altri denari da restituire. Riuscì dunque ad imbarcarsi, giungendo in Italia ove, subito dopo lo sbarco, un connazionale venne a prelevarla dal Centro di Accoglienza Straordinario in cui era stata inserita e la trasferì in Austria, a Vienna, ove l’attendeva la seconda madame. Anche qui fu subito costretta a prostituirsi.

Tuttavia, intercettata dalle autorità austriache, la giovane donna venne rimandata in Italia, quale Paese di primo sbarco.

In Italia, comunicò alla madame in Austria di non essere più intenzionata a consegnarle il denaro facendo affidamento all’editto dell’Oba di Benin che la liberava da ogni giuramento, minacciandola di denunciarla se avesse continuato a contattarla. Sempre in Italia conobbe un connazionale con il quale, inseriti all’interno di un progetto di accoglienza SAI, divenne madre di due bambine ed intraprese un percorso di integrazione e inclusione sociale.

La richiedente riferiva alla Commissione di temere per la sua incolumità personale a causa di possibili ritorsioni per il mancato pagamento del debito contratto con la rete criminale che l’aveva costretta a prostituirsi, prima in Libia e poi in Europa.

La Commissione di Salerno, pur ritenendo credibili e coerenti le ragioni di fuga, rigettava la domanda di protezione internazionale, ritenendo non più attuale i rischi di timore in caso di rientro in patria, limitandosi dunque al riconoscimento della protezione speciale sulla base dell’integrazione maturata in Italia.

Veniva pertanto proposto ricorso al Tribunale di Campobasso – Sezione Immigrazione, stante l’elevato rischio di “re-traffiking”, con il supporto dell’equipe psico-sociale e legale del Progetto S.A.I., alla luce di numerosi indizi rilevatori, insistendo per il riconoscimento della protezione internazionale.

Il Tribunale di Campobasso, con provvedimento del 29/06/2022, riconosce alla donna la protezione internazionale, nella forma della protezione sussidiaria, ritenendo che la richiedente sia incorsa, e possa in futuro nuovamente incorrere, in trattamenti disumani e degradanti. Così argomenta il Tribunale molisano:

 “Il Tribunale reputa in ogni caso sussistenti i presupposti per concedere la protezione sussidiaria, dato che dal racconto personale emergono gli elementi comuni della tratta (provenienza della richiedente, modalità del viaggio, stereotipia del racconto quanto al facilitatore del viaggio, alle modalità di pagamento del viaggio e alle aspettative di lavoro nel paese di approdo); pertanto, applicato il principio del dubbio ex art. 3 DLGS 251/07 e valutate attentamente le COI sul Paese di provenienza in ordine al fenomeno della tratta e lo sfruttamento sessuale delle giovani donne e le forme di tutela previste dall’Ordinamento nonché la discriminazione della donne ivi trafficate, si ritiene che la richiedente sia incorsa e possa in futuro nuovamente incorrere in trattamenti disumani e degradanti, con conseguente accoglimento della domanda di protezione ex art. 14 lett. b D. lgs 251. Invero, sussiste nel caso di specie l’elevato rischio di re-trafficking per diversi motivi, tra cui l’esclusione sociale che subiscono le vittime di tratta una volta ritornate nella propria comunità, stigmatizzate per aver svolto attività di prostituzione e isolate per il timore di essere portatrici di malattie sessualmente trasmissibili (Women’s Link Worldwide, Trafficking of Nigerian Women and Girls: slavery across borders and prejudices, 2015, p. 22); l’insufficienza di alloggi per le vittime di tratta predisposti dalla NAPTIP e dalle ONG in Nigeria; le condizioni economiche delle vittime di tratta che, una volta fuoriuscite dai circuiti dello sfruttamento, si trovano in una situazione di estrema povertà. Peraltro, dalle fonti consultate emerge che la complessa articolazione della rete criminale che si occupa della tratta di esseri umani consente ai trafficanti, presenti in Europa, di avvertire i sodali in Nigeria del rimpatrio della vittima. In particolare, l’organizzazione Women’s Consortium of Nigeria (WOCON) riferisce di casi in cui i trafficanti attendono le vittime rimpatriate direttamente all’aeroporto (Women’s Link Worldwide, Trafficking of Nigerian Women and Girls: slavery across borders and prejudices, 2015, p. 25). Problematico è, inoltre, il tema legato alla volontà o alla percezione della volontà delle vittime di tratta di ritornare in Europa, anche se ciò implichi rientrare nel circuito dello sfruttamento. Infatti, la mancanza di sostegno economico e l’isolamento che subiscono le vittime ritornate presso le proprie comunità comporta che il tentativo di una nuova migrazione sia, per molte, una scelta forzata. Peraltro, dalle COI consultate emerge chiaramente che l’apparato statale nigeriano, nonostante gli sforzi compiuti negli ultimi anni per combattere il fenomeno in questione, non è in grado ancora di garantire a chi è stato vittima di tratta e rientra del suo paese una adeguata tutela, non essendoci ancora un sistema che ne permetta la protezione piena e la reintegrazione nel tessuto sociale. (Tribunale di Bologna, ordinanza dell’1 giugno 2021; EASO COI report: Nigeria – Trafficking in Human Beings Published: 26 April 2021)”.

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Si ringrazia l’Avv. Gaetano Litterio per la segnalazione e il commento.


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