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Eleonas Camp e le luci della resistenza ad Atene

Il racconto di Erasmo Sossich, ricercatore e attivista: dalla nascita del sistema campi alle proteste di Eleonas

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Una ricostruzione puntuale e articolata ci restituisce le tappe della lotta dei residenti del campo di Eleonas, l’ultimo rimasto ad Atene, contro la chiusura della struttura e il “trasferimento volontario” verso altri campi dell’entroterra. Erasmo Sossich, ricercatore e attivista che da qualche mese vive ad Atene, in queste settimane ha supportato le proteste dei residenti, venendo anche arrestato con altrə cinque solidalə il 19 di agosto, durante un presidio all’entrata del campo. Erasmo non racconta solo la determinata resistenza delle comunità migranti di Eleonas, ma ripercorre l’affermarsi della Grecia, dal 2015 ad oggi, come vero e proprio laboratorio di violenza e segregazione d’Europa.

Le donne congolesi in prima linea nelle proteste. Ph: Siavash Shahabi

Puoi contestualizzare l’emersione del “sistema campi” dall’inizio della cosiddetta crisi migratoria in Grecia?

In Grecia c’è stato un completo ripensamento delle politiche di governance della migrazione dei flussi a partire dal 2015, momento in cui sono arrivati un milione di richiedenti asilo e rifugiati in fuga soprattutto dalla guerra civile siriana. Questo flusso si è andato ad inserire in un momento politicamente molto delicato, ovvero quando il governo Syriza 1 crollava a causa del negoziato fallito con le istituzioni europee. 

L’incrociarsi di questi due eventi ha fatto sì che il governo Syriza due si ritrovasse con centinaia di migliaia di persone sul territorio, intrappolate per la chiusura delle rotte balcaniche, attraverso cui fino a quel momento, le persone avevano potuto transitare in maniera abbastanza indisturbata – e una fondamentale subalternità rispetto alle politiche europee, con l’incapacità di negoziare una propria progettualità e un proprio indirizzo. 

Per cui di fatto dal 2015 in poi la Grecia è completamente dipendente dai finanziamenti europei, sia per quanto riguarda il proprio debito sovrano, sia per quanto riguarda diverse politiche che vengono di volta in volta finanziate da fondi europei, tra cui quelle di accoglienza. 

Dunque a partire dal 2015 viene creato quasi dal nulla un sistema di accoglienza, sistema che fino ad allora aveva svolto una funzione estremamente marginale, come quello italiano prima della crisi libica, perché, tanto in Grecia quanto in Italia, la maggior parte dei migranti arrivava con visti turistici e poi rimaneva in quanto overstayer, si facevano le sanatorie e si regolarizzano. Per questo il sistema dell’asilo non aveva mai avuto un ruolo dominante. 

Dal 2015 in poi in Grecia c’è quindi un ribaltamento di paradigma, e fondamentalmente centinaia di migliaia di persone 1 che rimangono bloccate per la chiusura della cosiddetta rotta balcanica, vengono gradualmente inserite all’interno di un sistema di campi, che vengono creati in modo emergenziale proprio in quei mesi. 

Decine e decine di campi sia sulle isole che nell’entroterra, che vengono riempiti con le stesse persone che vivevano nei campi informali, che erano sorti nei punti caldi dove la rotta si era interrotta, come ad Idomeni. 

Quindi un sistema di accoglienza sviluppato in modo emergenziale, ma soprattutto che viene gestito fin dall’inizio in larga misura grazie ai fondi europei e dalle grandi organizzazione intergovernative che si occupano di emergenze umanitarie in giro per il mondo – quindi IOM e UNHCR 2, che di solito associamo ai campi profughi nel sud globale ma che sono stati gli stessi a creare le infrastrutture anche amministrative alla base del sistema di accoglienza greco. In collaborazione con il ministero, ma anche con decine e decine di ONG arrivate da tutto il mondo per “aiutare i migranti”. 

Poi come si è evoluta la situazione?

La situazione negli anni successivi evolve in modo sempre più securitario. Innanzitutto il sistema dei campi assorbe circa il 70% dei richiedenti asilo, quindi il 30% (un dato che varia di anno in anno) vengono sistemati nei progetti ESTIA (Emergency Support to Integration and Accommodation) 3 in appartamenti. 

Ma la tendenza più evidente è stata quella di limitare sempre di più la mobilità anche interna al paese dei soggetti migranti. Prima vengono introdotte le restrizioni geografiche, quindi quelli che arrivano sulle isole devono rimanerci fino alla conclusione della loro pratica di asilo. Poi vengono introdotti i campi chiusi ad accesso controllato, come quello che hanno fatto a Samos: qui le persone devono rimanere nel campo fino a quando non si è conclusa la loro procedura di asilo. Questo è l’unico campo in Grecia che ha queste regole ma è la direzione in cui si sta andando in generale. («All i want is to be Free»: un appello da Samos nella giornata mondiale del rifugiato – Melting Pot, 21 giugno 2021)

Dopodiché c’è stato anche il Covid: le persone sono state chiuse dentro i campi e questo ha provocato un’accelerazione di questa dinamica. Infatti, quando poi i campi sono stati riaperti, lo erano molto meno di prima: nel senso che la gente poteva uscire, ma entrare per tutti coloro che non erano formalmente registrati diventava sempre più difficile. I guardiani che prima lasciavano entrare senza problemi adesso lo impedivano. 

Quindi da un lato la limitazione della loro libertà, dall’altro la limitazione della libertà dei solidali e delle ONG.

Il terzo elemento fondamentale di queste politiche è quello di deviare la rotta al di fuori degli spazi urbani. Soprattutto a partire dal 2019, con l’insediamento del nuovo governo di destra, viene gradualmente chiuso il programma Estia e vengono chiusi gradualmente anche tutti i campi all’interno della città di Atene. Gli abitanti vengono trasferiti nei campi dell’entroterra. In questo momento quello di Eleonas è l’ultimo presente dentro alla città. Migliaia di persone che prima vivevano negli alloggi del programma ESTIA sono state messe alla porta 4.

Il nuovo Multi-Purpose Reception and Identification Centres di Samos. Ph: Samos Volunteers

Il sistema di accoglienza in Grecia non comprende coloro che hanno ottenuto lo status di rifugiato, vero?

Tutto questo sistema di accoglienza in Grecia riguarda solo i cosiddetti richiedenti asilo. Una volta che tu ottieni lo status di rifugiato sei automaticamente tagliato fuori da ogni genere di supporto. Questo, secondo me, rende molto palese il fatto che mentre in Italia, grazie al sistema Dublino, la funzione di contenimento – che comunque anche l’Italia ha nel contesto europeo – si associa anche ad un processo di insediamento sul territorio, nel caso della Grecia c’è un contenimento fine a se stesso. Un contenimento che si associa ad una completa segregazione e che, giunto al termine, prevede il fatto che queste persone si allontanino. Che si allontanino legalmente se hanno ottenuto lo status di rifugiato, quindi che vadano altrove e facciano un’altra richiesta di asilo, ricominciando da capo. Questo è possibile perché ci sono molte sentenze che sostengono che la Grecia non è un paese sicuro per i rifugiati, quindi le persone possono effettuare una nuova domanda d’asilo. 

Oppure, per chi non ottiene documenti [ndr ovvero sempre più persone vista la restrizione del diritto d’asilo 5, ci si ritrova senza casa, obbligati a lavorare nel mercato nero perché clandestini, finché non si mettono insieme abbastanza soldi per pagare uno smuggler per fare la rotta balcanica, o per fare documenti falsi per andare in Italia e da lì in Francia e così via.

Come tutto ciò si interseca con le dinamiche urbane di una metropoli come Atene?

Tutto ciò si associa al processo di rigenerazione urbana della città di Atene, e della sua progressiva securitarizzazione. Infatti, il processo di espulsione e displacement delle persone migranti dalla città di Atene si è subito associato all’operazione repressiva cominciata dal governo di Nea Demokratia appena arrivato al potere [ndr nel 2019], con la pulizia degli squat di Exarchia 6

È stato l’inizio di un processo, il primo tassello fondamentale, che poi si è sviluppato con la chiusura dei campi e con la chiusura dei progetti Estia. Il tentativo di normalizzare Exarchia è stato perseguito eliminando le soggettività migranti dal quartiere – obiettivo in larga parte raggiunto -, ed è solo in parte paragonabile con quello che sta succedendo ora ad Eleonas, perché sono due contesti molto diversi. 

Exarchia è un quartiere studentesco già profondamente caratterizzato da un’economia orientata ai consumi, mentre Eleonas è un quartiere fantasma, dove cinquant’anni fa c’erano le fabbriche ed ora è una distesa di terreni vuoti, aziende di trasporti, discariche abusive, accampamenti informali di rom, il grande mercato delle pulci domenicale. 

C’è vita ma non è la vita ufficiale, è la vita che è già stata in larga misura espulsa dal tessuto sociale urbano ed è stata confinata. Il tentativo ora di rigenerare Eleonas dimostra la volontà di eliminare queste sacche di vita urbana marginale, anche da un contesto di un’area post-industriale semi abbandonata. Lì ci vogliono costruire lo stadio, ci vogliono costruire infrastrutture nuove, è un ampio progetto di rigenerazione.

Puoi parlare più nel dettaglio delle condizioni di vita nei campi della terraferma, sia di Eleonas che degli altri?

Dunque, il campo di Eleonas viene creato nel 2015 grazie alla cooperazione tra UNHCR e governo. Viene pensato come struttura per soggetti vulnerabili che era meglio non rimanessero negli hotspot delle isole: per il loro orientamento sessuale, per persone con disabilità o affette da patologie, per famiglie numerose con bambini piccoli, etc. Eleonas nel corso degli anni viene dipinto dai media come un modello di campo ideale, per quanto io sostenga che non possa esistere il campo ideale, poiché, per quanto possa essere meglio di altri, è pur sempre un posto dove le persone vivono dentro dei container, segregate dalla società. Però è un’idea condivisa anche dagli abitanti stessi del campo, che a Eleonas si viva comunque meglio, ed è per questo che la gente finora è stata disposta a lottare in modo così deciso per bloccare i cosiddetti trasferimenti volontari. 

Infatti, la situazione negli altri campi dell’entroterra è disperata. Quest’anno ho avuto la possibilità di visitare molti di questi campi, ho parlato con tantissime persone e tutti mi dicono la stessa cosa: la vita in questi posti è disumana. 

Questo per ragioni di ordini diversi: innanzitutto le condizioni materiali insostenibili, perchè si vive all’interno di moduli container dove è troppo caldo d’estate e troppo freddo d’inverno, l’elettricità salta continuamente, sovrappopolamento, con sette persone invece che due per modulo. 

Un altro elemento delle condizioni materiali è l’impossibilità di accedere ai servizi essenziali che permettono di vivere una vita in sicurezza e in salute. A causa dell’isolamento dei campi, raggiungere gli ospedali è quasi impossibile, e poi c’è un continuo scarica barile per cui in ospedale dicono alle persone che devono rivolgersi ai medici dei campi, e nei campi dicono alle persone che devono andare in ospedale. Il risultato è che la gente si ammala e muore dentro i campi, e muore proprio, non sto esagerando. 

Inoltre, una buona metà dei campi sono stati costruiti su terreni militari e di questi alcuni erano poligoni di tiro, quindi aree dove il suolo è inquinato da metalli pesanti, non un contesto salubre. Un altro fattore è il cibo: ho visto con i miei occhi i richiedenti asilo durante le proteste versare per terra il cibo che viene loro consegnato e i cani rifiutarsi di mangiarlo. 

Oltre agli elementi materiali ci sono poi quelli sociali: la vita è completamente segregata e le possibili interazioni solo limitate alle persone che vivono nel campo, perché questi posti sono strategicamente costruiti in zone disabitate e sconnesse dai trasporti pubblici. 

Per esempio, dal campo di Ritsona, ad un’ora e venti di auto da Atene, ci sono solamente tre autobus a settimana che portano le persone all’ospedale più vicino, alle cinque di mattina. Dopodiché ci sono gli autobus di linea dalla cittadina più vicina, però bisogna camminare oltre un’ora sotto il sole per arrivare alla fermata. Sennò i residenti del campo si sono organizzati con un sistema di taxi che però è ovviamente molto costoso. Questo è il caso di Ritsona, che tra i campi nell’area di Atene è il più isolato, ma poi ce ne sono altri in altre regioni, che sono ancora più isolati. 

Tutto ciò ha ricadute anche economiche: così le persone faticano ad accedere al mercato del lavoro, anche quello più marginale, dove la maggior parte della popolazione migrante trova impiego. Si ritrovano a dipendere completamente dal programma di assistenza finanziato dall’Unione Europea, che consiste in 150 euro al mese. A questo si aggiunge il fatto che in media nei campi la metà della popolazione è costituita da minorenni, e intendo neonati, bambini, adolescenti. Queste categorie dovrebbero vedere garantito il loro diritto all’istruzione ma nella pratica non è così scontato: ci sono campi in cui questo funziona e campi dove non funziona, e talvolta dipende anche dalla disponibilità della famiglia, degli insegnanti… è un sistema complesso ed eterogeneo ed è difficile generalizzare completamente. 

E poi c’è l’ultimo ma centrale elemento, la condizione di perenne attesa, questa condizione di transitorietà che non passa mai, per cui le persone finiscono per spendere anni dentro questi contesti: facilmente tre anni, ma in alcuni casi anche otto anni. Magari uscendo e rientrando, perché le vicende individuali non sono mai lineari, ma infine nei campi ci si ritorna perché non si trova altra sistemazione. 

Questi sono i famosi campi dell’entroterra, e si parla di decine di migliaia di persone. Di tutto ciò gli abitanti di Eleonas sono perfettamente consapevoli, molti di loro hanno già vissuto nei campi sulle isole, molti hanno contatti diretti con persone che vivono negli altri campi, e non hanno nessuna intenzione di fare ritorno in un campo fuori dalla città. A Eleonas cammini un quarto d’ora e sei alla stazione della metro da cui puoi spostarti facilmente ad Atene. E puoi trovare lavoro, puoi accedere ai servizi, ci sono molte ONG, tutta un’economia che permette alle persone di vivere in modo più dignitoso. I bambini possono andare a scuola, puoi iscriverti alla squadra di calcio locale… puoi fare una vita quasi normale. Perciò tutti gli abitanti sono molto determinati a non lasciare il campo, sanno benissimo che il trasferimento non è nel loro interesse. 

Ho dimenticato di dire che non tutti i campi sono di container: ci sono campi, come quello di Corinto, che sono fatti di tende. Tende giganti, capannoni, divise in sezioni. A  Corinto mi pare che gli 800 abitanti vivano in 15 tende giganti, divise a loro volta in piccole sezioni interne. Lì c’è ancora meno privacy e le condizioni materiali sono ancora più difficili.

Una protesta del 16 agosto scorso (Video di Alexis Daloumis)

Veniamo alle vicende di Eleonas, dalla decisione di chiudere il campo all’organizzazione delle proteste…

Come dicevo, per anni Eleonas, letteralmente “uliveto”, è stato visto come un modello da elogiare. Addirittura nel 2020 ed inizio 2021 c’era in progetto di aumentare la capienza del campo, portandolo fino a tremila persone – progetto che però viene accantonato per la volontà del comune di iniziare il piano di rigenerazione urbana, che porta quindi alla decisione unilaterale di interrompere la relazione con il ministero e ad attribuire a questo terreno un’altra funzione. Questa decisione viene pubblicamente resa nota nel novembre 2021. 

I trasferimenti volontari cominciano abbastanza in fretta, sappiamo che tra febbraio e giugno centinaia e centinaia di persone hanno lasciato Eleonas. Nell’ultimo report pubblicato da IOM su Eleonas camp 7 si dice che nel campo vivevano ancora 1.800 persone a marzo – mentre quando il ciclo di lotta di questi mesi comincia, sappiamo che più o meno ci vivevano 600 persone. Dunque molte persone se ne erano già andate, perché non erano ufficialmente registrate nel campo e temendo una stretta sui controlli hanno preferito lasciare il campo e probabilmente anche la Grecia. Perché era meglio per loro, perché non volevano esporsi. Molti altri sono stati invece gradualmente trasferiti nei campi di Schisto, Corinto… .

Arriviamo quindi al 21 di giugno quando gli abitanti del campo lanciano un assemblea pubblica di fronte al campo stesso, assieme a Keerfa, un’organizzazione antirazzista e antifascista  legata all’area dei partiti anticapitalisti di Antarsya. Antarsya è una coalizione di partiti marxisti-leninisti con cui alcuni abitanti del campo avevano già una relazione. Tra loro c’è anche Petros Konstantinos, coordinatore di Keerfa ed eletto in municipio con Antarsya, che ha subito rappresentato una sponda istituzionale per cercare un dialogo anche combattivo con le istituzioni comunali e il ministero. 

Il 21 c’era già grande determinazione, una leadership interna al campo emergeva spontaneamente, e nei giorni successivi portava a una resistenza autorganizzata molto determinata. Barricate in strada con cassonetti, occupazione delle spazio molto rumorosa, con protagoniste assolute le donne congolesi, spesso con i loro bambini. Ma anche i giovani della stessa comunità, e non solo. Molti arabi e arabe, afghani, un po’ tutte le comunità del campo, anche i somali. Ma nessuno con la determinazione delle donne congolesi. 

Quindi la prima fase della protesta dal 22 fino alla fine di giugno vede fermare i trasferimenti di massa, che prevedevano di portare alla chiusura della struttura entro la fine del mese.

E dopo questa prima fase, come hanno reagito le istituzioni e come è continuata l’estate di lotta fino ad ora?

Dall’inizio di luglio inizia la seconda fase, segnata dall’arrivo della nuova manager Maria-Dimitra Nioutsikou 8, ex direttrice del RIC [Reception and Identification Centre] di Samos e del campo di Skaramagas, altro campo di Atene che era stato chiuso poco meno di un anno prima sotto la sua supervisione, nell’agosto del ‘21. 

È l’inizio di una fase segnata da strategie molto più sottili e più subdole, per cui sono stati chiusi tutti gli uffici degli assistenti sociali che in qualche modo lavoravano per supportare le persone all’interno del campo sia da un punto amministrativo, che sanitario e psicologico. Vengono chiusi gli uffici dell’IOM. Viene interrotta l’autorizzazione all’ONG che da più tempo portava nel campo progetti socio-culturali, Project Elea. Rimangono nel campo solo i dipendenti del ministero, le guardie, la manager stessa. 

Vengono usati in questo mese diversi strumenti per rendere la vita delle persone del campo sempre più difficile, precaria e stressante. I controlli agli ingressi diventano sempre più stringenti e si impedisce alle persone di entrare e uscire liberamente come avevano sempre fatto, con il controllo di tutti i documenti all’entrata. Dopodiché iniziano ad essere espulse le famiglie che non sono ufficialmente registrate e vengono buttate per strada. 

Come si è passati quindi da una strategia graduale alla violenza degli interventi della polizia in assetto antisommossa?

Si passa a un’ulteriore fase per cui cominciano i trasferimenti notturni. Alla fine di luglio verso le tre o le quattro di mattina cominciano ad arrivare degli autobus, le persone vengono fondamentalmente caricate nel mezzo della notte per essere trasportate nei campi dell’entroterra.

Questa sequenza di trasferimenti notturni incontra però fin da subito una resistenza molto determinata, nonostante l’ovvia volontà di rendere questo processo invisibile, tant’è che il primo trasferimento viene fermato. Un secondo e un terzo vengono invece effettuati. Un quarto doveva accadere, e poi di fatto accade, la notte del 18 di agosto, ma in quell’occasione soltanto l’intervento delle forze di polizia in assetto antisommossa permette di compiere l’operazione. Gli abitanti del campo seduti di fronte al cancello insieme ai solidali vengono caricati, manganellati e gasati, solo così si riesce a garantire il “trasferimento volontario” dei nuclei familiari che avevano deciso di spostarsi.

Il giorno successivo gli abitanti del campo decidono di presidiare ancora la notte perché c’era un altro possibile trasferimento, e poi decidono di impedire alla manager, Maria-Dimitra Nioutsikou 9, l’ingresso al campo. Questo perché la manager ha dimostrato mille volte quali sono gli interessi che le stanno a cuore, e gli abitanti del campo lo hanno capito, per questo tentano di rendere il suo lavoro il più complesso possibile. E’ la manager che pianifica e organizza i trasferimenti, quindi se non entra nel campo i trasferimenti non possono essere organizzati, questa è la logica che gli abitanti del campo hanno seguito.

Ma Mudira, il soprannome che hanno dato alla manager (direttore in arabo), non accetta di essere tenuta fuori dal suo campo e chiama la polizia che sfonda il presidio caricando donne, minori e solidali con scudi e manganelli, anche se erano alcuni seduti altri semplicemente in piedi davanti ai cancelli. Arrestano tutti i solidali uomini su cui riescono a mettere le mani, compreso me, che ero a distanza e filmavo quello che stava succedendo.

Veniamo accusati di 8 capi di imputazione diversi tra cui resistenza, minacce, interruzione di pubblico servizio. Ci facciamo una notte dentro al commissariato di polizia di Atene (GADA), un edificio che sembra un enorme alveare,davvero orrendo, pieno di poliziotti la cui professionalità, diciamo, lascia alquanto a desiderare. Il giorno successivo veniamo portati al processo per direttissima che viene posticipato al primo di settembre.

Una ricostruzione completa dei fatti del 19 agosto. Video di Ehsan Fardjadniya, artista visivo e registra olandese

Cosa succederà ora? Riusciranno gli abitanti a resistere ancora?

Pare che dopo quanto accaduto la tattica sia nuovamente cambiata perché l’utilizzo della forza pubblica non è passato inosservato. I video che sono stati fatti hanno fatto il giro del web, sono passati anche nelle televisioni greche ed hanno obbligato anche a delle prese di posizione tutto lo schieramento politico.

Tra l’altro mi ero dimenticato di dire una cosa importante rispetto a questo. Nella prima fase delle proteste, quella di giugno, ci sono state due manifestazioni di massa che partendo dal campo si sono dirette, nel primo caso verso il ministero (Atene – Le richieste dalla lotta degli abitanti del campo profughi di Eleonas. Indirizzata una lettera alle istituzioni greche e all’OIM. Il 28 giugno è indetta una nuova manifestazione – Melting Pot, 27 giugno 2002) e nel secondo caso verso il municipio. In entrambi i casi una rappresentanza degli abitanti del campo è andata a parlare con il personale del ministero e del municipio per trovare una soluzione di compromesso. Il tavolo del ministero si è concluso con un nulla di fatto, la discussione in municipio si è conclusa con un voto all’interno dell’aula che ha visto tutta l’opposizione sostenere le ragioni dei rappresentanti del campo, e quindi il voto della maggioranza passare con soli 2 voti su 40 a favore della chiusura del campo di Eleonas.

Per cui c’è una capacità importante di provocare dei posizionamenti all’interno della società civile 10 e anche della politica istituzionale. Non è affatto scontato che una lotta di questo tipo non rimanga completamente isolata, completamente al di fuori del dibattito politico cittadino o nazionale.

Arriviamo quindi alla notte del 30 agosto. Stanotte è previsto un nuovo trasferimento verso il campo di Schisto. Solidarity with migrants, che è il collettivo che in questi mesi è stato presente praticamente senza interruzioni nel costruire relazioni con le persone all’interno del campo, supportare le mobilitazioni e mediatizzarle, ha lanciato un appello per venire a sostenere la resistenza di fronte ai cancelli e vedremo come andrà.

È probabile che ancora una volta la controparte decida di fare ricorso all’utilizzo della forza.

La determinazione degli abitanti del campo fino ad ora è stata tale da rendere l’utilizzo della forza contro producente per la controparte ma vedremo fino a che punto gli abitanti del campo possono continuare a sostenere questo livello di esposizione, questo livello di fatica, questo livello di stress.

In questo momento si susseguono le notizie su possibili trasferimenti, che poi vengono smentiti, che poi vengono posticipati. 11.

Questo è un modus operandi che punta esplicitamente all’attrito e allo sfinimento degli abitanti stessi perché vengono costantemente esposti al rischio di essere sgomberati violentemente. Annunci di trasferimenti e smentite si ripetono rendendo la situazione molto stancante.


Nella notte tra il 30 e il 31 agosto una persona è morta all’interno del campo. Si tratta di Wares Ali, un 52enne pakistano che viveva nel campo con moglie e tre figli. Da sette anni viveva in Grecia, ora si trovava senza documenti. Aveva dei dolori acuti, ma l’ambulanza è arrivata dopo due ore, quando era già deceduto. Gli abitanti del campo e i solidali parlano di omicidio di stato, per la mancanza di servizi medici nel campo e per la situazione di forte stress a cui i residenti sono sottoposti. La mattina seguente la polizia ha provato addirittura a deportare la famiglia del signore deceduto, deportazione fermata da un’assistente sociale. I trasferimenti negli ultimi giorni sono stati sospesi, è convocata una manifestazione per giovedì 8 settembre. Il processo ai 6 solidali, tra cui Erasmo, è stato rinviato ad ottobre per mancanza di mediatore. Intanto continua la strategia di divisione e ricatto degli abitanti da parte della direzione, che individualmente minaccia i residenti di ostacolare le procedure d’asilo e deportare. Queste pratiche illegali di “persuasione”, manipolazione e punizione sono state condannate anche da alcune ONG operanti in Grecia 12. Come se non bastasse, il 5 settembre, c’è stato un incendio nel campo, alcuni container sono bruciati e le famiglie ora senza tetto attendono risposte dalla manager del campo 13. Seguiranno aggiornamenti. 

Alle persone in lotta, tutta la nostra solidarietà.

  1. Più di 50.000 persone sono rimaste in Grecia secondo l’UNHCR
  2. UNHCR Grecia – ESTIA: Una casa lontano da casa novembre 2015 – settembre 2021, ReliefWeb
  3. ESTIA, il programma di sostegno di emergenza all’integrazione e all’alloggio, cofinanziato dal Fondo per l’asilo, la migrazione e l’integrazione dell’Unione Europea. Alla fine del 2020, il governo greco ha assunto la gestione del programma,
  4. «Ospitiamo 18.000 richiedenti asilo negli alloggi, dai 92.000 del 2020 e dai 121 alloggi ai 34 di oggi. Il 31/12 chiudiamo tutti gli alloggi per richiedenti asilo, liberiamo 10.000 posti. Dal 20119 al 2022 se ne sono andati molti di più di quelli che sono arrivati illegalmente», un tweet del Ministro di immigrazione e asilo, Νότης Μηταράκης – Notis Mitarachi (19 agosto 2022)
  5. Grecia, la fine dell’asilo. Reportage dall’apartheid greca di Giulio D’Errico e Giovanni Marenda, Melting Pot – giugno 2021
  6. Inside Exarcheia: the self-governing community Athens police want rid of, The Guardian (26 agosto 2019) e 39 mesi di City Plaza: la fine di un’era, l’inizio di un’altra, Melting Pot (13 luglio 2019)
  7. Il rapporto IOM, marzo 2022
  8. Maria-Dimitra Nioutsikou è stata più volte denunciata per violazione dei diritti umani quando era manager del campo di Samos, è stata oggetto anche di interrogazioni al Parlamento europeo:
  9. Farò in modo che tu finisca in prigione“, ha detto la responsabile del campo a un richiedente asilo a Eleonas. Quello che Maria-Dimitra Nioutsikou sta facendo minacciando di chiudere i casi di asilo è una violazione del diritto di asilo delle persone e un uso eccessivo e improprio della legge. Fonte: Solidarity With Migrants
  10. Gli ex-assistenti sociali di Eleonas smentiscono Mitarakis e stanno dalla parte dei profughi, un testo scritto dagli ex operatori del campo i cui contratti di lavoro sono scaduti il 30 giugno 2022 – The Press Project, 29 agosto 2022
  11. Il modo in cui informa le persone del loro trasferimento è la distribuzione di un foglio scritto, che dice quando e dove avverrà il trasferimento. A ciascuno di loro viene aggiunto un annuncio diretto in cui si dice che se si rifiutano di andarsene, saranno buttati in strada, le loro pratiche d’asilo saranno bloccate e rimosse dal sistema d’asilo greco. Fonte: SWM
  12. Eleonas camp: we condemn any intimidation of residents – such hostility is inhumane and unlawful
  13. Video dell’incendio

Giovanni Marenda

Studente magistrale di Sociologia e Ricerca Sociale all'Università di Trento. Ho trascorso la maggior parte del 2020 ad Atene, in Grecia, impegnato nel lavoro di solidarietà. Sono un attivista del Collettivo Rotte Balcaniche Alto Vicentino, che promuove la libertà di movimento e supporta le persone migranti lungo le rotte balcaniche e sui confini italiani.