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La Cassazione si esprime sulla credibilità del richiedente attivo in Italia in un’associazione per i diritti LGBTQ+

Corte di Cassazione, sentenza n. 27658 del 21 settembre 2022

Photo credit: Pink Refugees, Verona

La Corte di Cassazione (Rel. Bisogni) ha accolto con rinvio il ricorso di un cittadino della Sierra Leone; la motivazione, che ha ritenuto di riunire i tre motivi di ricorso, merita di essere riportata per esteso nei suoi principi di diritto. Ora la parola passerà al Tribunale di Venezia per la revisione del caso; valorizzata, ai fini della credibilità, la partecipazione del richiedente all’Associazione LGBTQ+ Pink Refugees di Verona.

“In materia di protezione internazionale il giudizio sulla credibilità del racconto del richiedente, da effettuarsi in base ai parametri, meramente indicativi, forniti dall’art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 251 del 2007, è sindacabile in sede di legittimità nei limiti dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti ? oltre che per motivazione assolutamente mancante, apparente o perplessa — spettando dunque al ricorrente allegare in modo non generico il fatto storico non valutato, il dato testuale o extratestuale dal quale esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale e la sua decisività per la definizione della vertenza (Cass. 2 luglio 2020, n. 13578). Dunque, in caso di giudizio di non credibilità del richiedente, delle due l’una: o la motivazione è «sotto soglia», e allora si ricade nel n. 4 dell’art. 360 c.p.c.; o la motivazione c’è, e allora non resta se non sostenere che il giudice di merito, nel formulare il giudizio di non credibilità, ha omesso di considerare un fatto, che era stato allegato e discusso, potenzialmente decisivo, per il fine della conferma della credibilità. 

Nel caso di specie, il giudice di merito, esclusa la credibilità della narrazione del richiedente, ha negato qualsiasi rilievo, al riguardo, all’allegata partecipazione attiva del richiedente ad un’associazione LGBTQ.

Ma simile affermazione, nella sua semplicistica assolutezza, è logicamente incongruente, dal momento che, se è vero che la semplice formale adesione ad un’associazione di tal fatta, i.e. il puro e semplice possesso della tessera di un’associazione LGBTQ, non possiede di per sé alcun decisivo rilievo al fine di rendere ex post univocamente credibile la narrazione – altrimenti non credibile – concernente le persecuzioni subite, nel paese di provenienza, a causa del proprio orientamento sessuale, non altrettanto può dirsi per l’ipotesi che l’adesione all’associazione si sia tradotta in un impegno operosamente profuso a sostegno di essa. 

Difatti, mentre sarebbe irragionevole desumere con automatica certezza che la semplice iscrizione all’associazione, e cioè una condotta alla portata di chiunque senza alcun particolare impegno, indipendentemente dal proprio orientamento sessuale, renda da sola inequivocamente conto del pregresso vissuto affettivo del richiedente, non risponde invece ad un’accettabile massima di esperienza il negare che un’adesione fattiva, un impegno serio e reale, una disponibilità concreta e durevole a sostegno dell’associazione, sia da intendere almeno fino a prova contraria quale circostanza tale da far retrospettivamente luce, in ragione dell’orientamento sessuale del richiedente, sulla complessiva credibilità della sua narrazione. Inoltre, anche se valutata esclusivamente sulla base del comportamento in Italia, la domanda di protezione articolata dal richiedente asilo deve comunque essere scrutinata ai fini del possibile riconoscimento della c.d. protezione sur place”.

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Si ringrazia l’Avv. Eva Vigato per la segnalazione e il commento.