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Ordinato l’ingresso di un attivista saharawi al fine di domandare asilo in Italia

Tribunale di Roma, ordinanze del 24 maggio e 15 luglio 2022

Il Tribunale di Roma con due ordinanze ha ordinato al Ministero degli Affari Esteri il rilascio di un visto di ingresso sul territorio nazionale, al fine di presentare domanda di protezione internazionale, in favore di un attivista saharawi, di cittadinanza marocchina, segnalato in Banca Dati SIS quale terrorista.

Il ricorrente aveva vissuto in Italia da minorenne ed era rientrato in Marocco nel 2008 per far visita ai propri familiari. In tale occasione era stato vittima di gravi atti di persecuzione culminati con un lungo periodo di sparizione forzata, detenzione arbitraria e torture da parte delle autorità marocchine. Liberato nel 2015 a seguito di importanti pressioni ad opera della comunità internazionale, egli trovava rifugio in Tunisia con il supporto di Amnesty International. In tale Paese tuttavia non otteneva alcun titolo di soggiorno, non aveva accesso alle cure di cui necessitava e continuava a subire atti di persecuzione da parte delle autorità del Paese, che lo costringevano ad interrompere la sua opera di denuncia pubblica delle torture subite.

Ritenendo concreto il rischio di un suo rimpatrio in Marocco, questi adiva il Tribunale di Roma (in sede di riassunzione dal Tribunale di Firenze, al quale aveva chiesto che fosse ordinato il reingresso in virtù del precedente soggiorno in Italia), domandando che fosse accertato, anche in via d’urgenza, il suo diritto a presentare domanda di protezione internazionale in Italia.

Le due ordinanze cautelari in commento hanno accolto le richieste difensive, ordinando al Ministero degli Affari Esteri di emanare tutti gli atti necessari per consentire il suo ingresso in Italia (primo provvedimento) nonché, a seguito di integrazione del contraddittorio con il Ministero dell’Interno, confermando la prima decisione ed assegnando un termine ad hoc per l’esecuzione dell’ordinanza (secondo provvedimento).

Le pronunce appaiono rilevanti sotto diversi aspetti:

  • il Tribunale di Roma ha escluso, sottolineando la natura precettizia dell’art. 10 co. 3 Cost., che la presenza in Italia costituisca una condizione necessaria per la presentazione della domanda di asilo ed ha rilevato che, al fine di dare attuazione alla previsione costituzionale (consentendo l’ingresso in Italia per la formalizzazione della domanda), è possibile sia riferirsi all’art. 25 Reg. CE 810/2009 sul visto umanitario, sia demandare all’Amministrazione di individuare il “mezzo più idoneo a consentire l’ingresso, una volta accertata l’esistenza del diritto a presentare domanda di protezione internazionale in Italia”;
  • il Tribunale di Roma ha altresì posto a sostegno della decisione la sussistenza di un “solido legame (anche definito “criterio di collegamento”) con lo Stato italiano, desunto dal pregresso soggiorno in Italia (anche da minorenne), dall’incolpevole mancato reingresso (dovuto alle persecuzioni patite ed alla segnalazione SIS) e dalla presenza di plurime collaborazioni lavorative (tra cui quella come difensore dei diritti umani per Amnesty International Italia);
  • particolare enfasi è stata posta sul diritto ad ottenere un controllo giurisdizionale sull’operato dell’Amministrazione, ritenendosi non conforme ad uno stato di diritto l’opzione interpretativa che vorrebbe che il rilascio di un visto umanitario (o comunque di un titolo per l’ingresso ai fini della presentazione di domanda di asilo) fosse “rimesso alla sola discrezionalità della pubblica amministrazione senza che sia possibile alcun sindacato giurisdizionale in merito o alcuna applicazione giurisprudenziale di tale istituto”;
  • in conseguenza di quanto sopra il Tribunale di Roma, sancendo la possibilità di un accertamento anche giurisdizionale del diritto di un singolo a chiedere protezione internazionale in Italia, ha altresì rigettato l’argomento del MAE, secondo cui il visto umanitario ex art. 25 Reg. CE 810/2009 costituirebbe una prerogativa dell’Amministrazione di ciascuno Stato membro, attuata in Italia solo nell’ambito dei “corridoi umanitari” o delle “evacuazioni umanitarie” e dunque mediante “canali di ingresso ben strutturati che preved[ono] il coinvolgimento di diversi attori e la selezione dei beneficiari tra quelli che presentano maggiormente i requisiti per ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato”;
  • le ordinanze in commento hanno riconosciuto l’ampia scala di persecuzioni da parte delle autorità marocchine nei confronti di attivisti ed attiviste saharawi (“le autorità hanno continuato a violare i diritti degli attivisti saharawi pro-indipendenza attraverso arresti arbitrari, maltrattamenti e molestie. Difensori dei diritti umani, giornalisti, utenti dei social media, accademici e attivisti hanno continuato a subire la repressione del legittimo esercizio della loro libertà di espressione e pesanti condanne sulla base di false accuse”);
  • il Tribunale di Roma ha altresì constatato che per il ricorrente “la Tunisia non può essere considerata paese terzo sicuro”, considerati l’involuzione delle garanzie democratiche (a partire dall’indipendenza e terzietà del potere giudiziario), il mancato riconoscimento di qualsivoglia titolo di soggiorno o protezione nel corso degli anni trascorsi nel Paese (nonostante abbia aderito alla Convenzione di Ginevra) nonché le pressioni subite dalla polizia tunisina affinché questi non portasse avanti la propria attività di denuncia dell’operato delle autorità marocchine e rinunciasse al proprio impegno politico;
  • è stato ribadito il diritto a fare ingresso in Italia pur in presenza di una segnalazione all’interno della banca dati SIS (artt. 25 Reg. CE 810/2009 e 6 par. 5 Reg. UE 399/2016) ed è stata sottolineata dal Tribunale di Roma (che su richiesta del Ministero degli Affari Esteri aveva coinvolto nel giudizio cautelare il Ministero dell’interno affinché spiegasse “la natura e le ragioni della segnalazione e le fonti sulle quali è basata”) l’importanza di un contraddittorio effettivo tra le parti e di un vaglio giurisdizionale nel merito, sicché la mancata disclosure degli elementi richiesti (cui il Ministero dell’Interno si era nei fatti sottratto allegando affermazioni generiche ed opponendo la qualifica di riservatezza della corrispondenza che ne era alla base: “nessuna risposta soddisfacente è stata fornita”) ha imposto una conferma del provvedimento cautelare;
  • il Tribunale di Roma ha sottolineato la necessità di garantire, ai sensi della l. 124/2007 (art. 24, co. 4), il diritto di difesa dinanzi a documenti rientranti nelle classifiche di segretezza nonché il rigoroso rispetto dei termini e delle procedure ad esse sottostanti, lamentando in ogni caso il parallelismo tra le allegazioni addotte dal Ministero dell’Interno a sostegno della segnalazione SIS e gli atti persecutori patiti dal ricorrente in Marocco, che ricorre ampiamente ad un uso strumentale della legislazione per il contrasto al terrorismo;
  • da ultimo, le pronunce in commento ribadiscono la necessità di considerare il rischio di refoulement indiretto, vale a dire, nel caso del ricorrente, il fatto che l’impedimento all’ingresso in Italia attraverso la segnalazione SIS avrebbe aggravato la possibilità di un suo rimpatrio dalla Tunisia al Marocco, con conseguente violazione dell’art. 3 C.E.D.U..

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Si ringraziano l’Avv. Cleo Maria Feoli e l’Avv. Andrea Dini Modigliani per la segnalazione e il commento.