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Photo credit: Antonio Sempere (Ceuta, 5 febbraio 2022)

978 persone morte sulla frontiera occidentale del Mediterraneo nei primi 6 mesi del 2022

Il rapporto del monitoraggio «Diritto alla vita» a cura di Ca-minando Fronteras

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La necropolitica continua a mietere vittime. Soltanto nel primo semestre del 2022, 978 persone sono morte o scomparse nel tentativo di raggiungere l’Europa sulla rotta occidentale. Tra queste, 118 donne e 41 bambini. La rotta atlantica, continua ad essere la più mortale.

I dati raccolti e pubblicati nel mese di luglio dal collettivo Ca-minando Fronteras 1 sono spaventosi e orribili. Talmente terrificanti da sembrare surreali. E invece, sono reali. Questo non dobbiamo dimenticarlo. Come non dobbiamo dimenticare che queste morti non sono incidenti, non sono sfortuna, non sono solo un brutto destino, ma sono il risultato di una concreta scelta politica, di decisioni consapevoli e premeditate.

Uso sistematico della forza alle frontiere da parte delle autorità, detenzioni arbitrarie, respingimenti collettivi, violenze sessuali, persecuzioni. Tutto questo accede ogni giorno, ripetutamente, alle porte dell’Europa. Dal mese di maggio nei campi intorno a Melilla la violenza militare è incrementata sistematicamente, con rappresaglie due o tre volte a settimana. Gli attacchi avvengono nelle prime ore del mattino, quando i migranti ancora dormono. I soldati circondano gli accampamenti mentre dagli elicotteri viene gettato il gas per disorientare i migranti. In poche ore l’intero campo è raso al suolo. Tale pratica viene ripetuta in continuazione.

Una delle vittime ha affermato: «We lost everything, including our clothes and shoes, and it happened over and over again. After two months of that, we had nothing left to lose because they’d robbed us of our health too. But we never lost hope that we’d escape the situation because going back isn’t an option for us. We were beaten again and again; we had wounds that we couldn’t heal. It was very difficult to find medical care. The most serious thing are the fractures because they beat you so that you can’t walk or run away. If you can’t move, you’re good for nothing because often our only way to defend ourselves is to run away» 2.

La stessa violenza viene perpetrata dai soldati al confine nella zona di Beni Enzar. La causa più comune di morte qui per chi cerca di entrare in Europa è il soffocamento da gas, ferite da arma da fuoco o colpi di manganello. Anche il rifiuto di assistenza e cure mediche può portare in alcuni casi al decesso. Così come accaduto il 24 giugno, quando secondo i dati raccolti da Caminando Fronteras 62 persone sono morte in seguito agli attacchi dei militari.

Il coinvolgimento delle autorità spagnole a sostegno delle strategie militari repressive del Marocco è più che evidente. Secondo alcuni testimoni oculari, il governo spagnolo ha respinto indietro decine di rifugiati e minori non accompagnati. Questo nonostante le autorità ́spagnole fossero bene a conoscenza delle torture e trattamenti inumani e degradanti a cui erano state sottoposte le vittime.

La narrativa propugnata sia dalla Spagna che dal Marocco all’indomani degli eventi del 24 giugno ha messo al centro la violenza, come male inevitabile e necessario per il controllo dei confini. La mostra delle immagini di quelle violenze è stata usata per rafforzare l´idea della normalizzazione dell’uso della forza da parte delle autorità ai confini e, soprattutto, ha disumanizzato le sofferenze e il dolore delle vittime.

Se si osservano attentamente questi eventi il tempo sembra non essere mai passato. Che cosa li distingue dalle brutalità dell’epoca coloniale? La stessa crudeltà, la stessa assenza di leggi, lo stesso potere arbitrario di decidere chi vive e chi muore. Se Roberto Beneduce nel suo saggio Rovine postcoloniali e poteri di morte 3 ha scritto che quelle esperienze di de-umanizzazione sono ancora da qualche parte nel nostro presente, allora possiamo chiamarle per nome e citarle una ad una: Melilla, Ceuta, Libia, Lampedusa, Grecia, Siria, i Balcani e tutto il Mediterraneo. La lista è ovviamente troppo breve e si potrebbe continuare ancora, ma purtroppo non cambierebbe l’essenza di un mondo che sta annientando se stesso. Se si parla sempre di fare i conti con il passato coloniale, i fatti di Melilla ci mostrano che non si tratta di passato, ma di bruciante realtà.

Le vite delle vittime, i loro corpi, i loro sogni e desideri, ma soprattutto tutto il loro dolore e la sofferenza non possono essere dimenticati, e per quanto drammatici, tali eventi ci ricordano che il lavoro di cura e resistenza non può essere fermato, non finché l’Europa si sveglierà dal sonno della sua violenza, facendo una volta per tutte cadere i muri che ha eretto intorno a sé.

  1. Scarica il rapporto disponibile in spagnolo, inglese, francese e catalano
  2. Ivi., p. 23.
  3. Achille Mbembe, Necropolitica, Ombre corte, Verona, 2016, p. 87.

Liliya Chorna

Nata in Ucraina, cresciuta nel Sud Italia, da anni vivo in Germania, dove lavoro a diversi progetti nel campo della migrazione. Nel 2020 ho conseguito a Napoli la laurea in Comunicazione interculturale in area euro mediterranea con una tesi in Tutela internazionale dei migranti. Guardare alle migrazioni da diverse angolature, in particolare dalla prospettiva post coloniale, mi offre lo spazio per pensare e lavorare ad una collettività più giusta e solidale. Per me l'impossibile è reale.