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Il mare è un macello

Nono giorno, 4 ottobre

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Lampedusa-Linosa. 36°02′ N – 14°11′ E

Tanimar ha abbandonato Lampedusa. Siamo in navigazione verso Malta, dove forse incontreremo un imprenditore delle industrie dell’allevamento del tonno. Nel passato alcune di queste grandi gabbie sono divenute ancore di salvezza per migranti naufraghi. C’è un’immagine che è divenuta famosa e che abbiamo in testa. Le gabbie si muovono nel mediterraneo, così come le crociere per turisti, i mercantili, le navi militari e quelle della flotta civile. Questo mare è al centro non solo di processi di mobilità di ogni tipo, ma anche di iper-estrattivismo. Dietro ogni merce, sappiamo, c’è un rapporto sociale, un rapporto di produzione. Dietro ogni imprenditore, diversi strati e intensità di sfruttamento. Abbiamo la fortuna di raccogliere per telefono la testimonianza di un operaio subacqueo che ha lavorato nel settore. Questo il suo racconto.

I tonni sono comprati in Sardegna, messi in una gabbia e trainati a Malta. Vanno a mezzo nodo, ci mettono un mese a portarli giù a Malta. Molti animali muoiono durante il trasporto. Poi vengono ingrassati, a fine ottobre inizia la mattanza. Sono 25 gabbie, con circa 2 mila tonni ognuna. Girano un sacco di soldi, non puoi immaginare.

Io facevo il raccoglitore, eravamo un gruppo di venti persone che si immergevano. Tunisini, libici, italiani, spagnoli, maltesi. Tunisini e maltesi si capivano fra di loro, noi italiani con gli spagnoli. Solo i maltesi erano a contratto, in regola, c’era un clima da nonnismo; i lavori più pesanti li facevamo sempre noi. Un lavoro da disperati, per tutti. Alle 4 del mattino si partiva da Valletta e poi finivamo per le 8/9 di sera, sette giorni su sette, per tre mesi sino a gennaio. Sempre in acqua, per la fatica devi mangiare sempre. L’acqua è fredda.

Io mi dovevo immergere e mettere dei palloni d’aria per far risalire le gabbie in modo tale che i tonni avessero meno spazio. Poi toccava agli sparatori, un solo colpo in testa con una specie di lupara di mare. Se si sbaglia il colpo, i tonni impazziscono e iniziano a saltare. I giovani a volte si divertivano, li inseguivano con i pugnali per finirli. Si facevano chiamare i cowboy del mare. Ma nella maggior parte dei casi i tonni si facevano ammazzare senza reagire. Sono bestie enormi, ti danno una musata e ti ammazzano. Ma non succedeva. Anche dalle reti non scappavano, era curioso. Imparavano a girare in tondo e poi continuavano.

Il tonno non si deve rovinare, altrimenti i giapponesi non te lo comprano. Anche gli sparatori stanno con le bombole in mezzo ai tonni. Sangue ovunque, non puoi immaginare. Quelli grossi che non riuscivano ad emergere una volta morti, gli mettevamo l’aria compressa nel culo per farli salire in superficie. Il mare è un macello, un inferno.

Poi una volta morti li dovevamo portare alla nostra barca dove venivano issati. Li prendevano per il muso e con le pinne li trainavamo. Sempre facendo attenzione a non lasciare un solo graffio sulla pelle. Le gabbie prima erano sotto costa, poi li hanno obbligati a portarle qualche miglia fuori. È una devastazione ambientale. I bagnanti si ritrovavano ricoperti di olio e di sangue. Ogni tanto saliva un ispettore maltese, metteva una gopro nella vasca e diceva che c’erano troppi tonni nella gabbia. Non succedeva nulla, gli avranno dato delle mazzette.

È un lavoro da disperati, come quello dei raccoglitori di pomodori. La paga ufficiale di un operaio a Malta è 4.50, a noi pagavano 10 euro l’ora in nero, ma è comunque un lavoro da disperati. Mi davano i soldi in una busta. Sapevano di me solo il nome, manco il cognome. Non ero nessuno io. Non ci sono immagini, non c’è giornalismo che entra. Nessuno protesta, è tutto offshore, è un lavoro da schiavi. Non ci mettono nulla a buttarti a mare se vogliono, nessuno sa chi sei, nessuno sa dove sei. I tunisini comunque erano contenti, abitavano tutti insieme e si facevano dei bei soldi, si costruivano la casa al loro paese.

Si lavorava con tutte le condizioni di tempo, sempre dentro queste gabbie, con le onde che le sbattono da tutte le parti. Sempre in acqua. Immagina le gabbie che sbattono contro le barche e tu ci sei in mezzo ad aiutare a issare i tonni. Sino a mare forza 5 ti facevano lavorare. È un lavoro massacrante, io ero fra i più anziani. Non ti potevi ammalare, dovevi andare sempre, eri lì per quello. Se ti fai male, sono tutti affari tuoi. Se hai la febbre, lavori con la febbre. Uno di noi ha perso un dito ed è rimasto sino a sera nelle vasche, non è che lo hanno portato subito in ospedale. L’attrezzatura te la devi portare tu, sei tu che pensi alla tua sicurezza. Ti danno le bombole, non ti dico che bombole erano.

Poi i tonni venivano condotti alle tre navi giapponesi che stavano lì intorno, enormi, tutte bianche. Quando gli operai, tutti giapponesi, iniziavano a tagliare con la motosega, uscivano fiumi di sangue dalle fiancate. I giapponesi ti facevano la comanda, 10 tonnellate per lunedì, 30 per martedì, e così via. E tu andavi nelle gabbia a sparare e raccogliere. Ero come un raccoglitore di pomodori, però in acqua. Il mare è un macello. I tonni che venivano scartati ce li portavamo a casa. Mangiavamo sempre tonno, poi ho iniziato a sentirmi male, anche mia moglie. Intossicazione da metalli pesanti, immagino. La mattanza finisce quando l’ultimo tonno è ucciso, fai i conti tu, 2000 per 25 gabbie. Riforniscono tutto il mercato del sushi in Europa, il sushi è ormai come la pizza. Mai più farò questo lavoro, la puzza del sangue non te la togli più di dosso. Il mare è un macello.

L'equipaggio della Tanimar

Siamo un gruppo di ricercatrici e ricercatori delle università di Genova e Parma. Per due settimane, dal 26 settembre all’11 ottobre, attraverseremo il Mediterraneo centrale facendo tappa nei principali snodi della mobilità migrante e del controllo confinario europeo: Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Malta.