Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Lampemusa. L’isola dei tesori?

29 settembre, quarto giorno

Start

È notte. Tanimar si sta avvicinando a Lampedusa dopo 14 ore di navigazione. Ci accoglie con le luci di una base dell’aeronautica militare, ma anche di molti pescherecci al lavoro. Una motovedetta ci viene incontro puntandoci i suoi potenti fari addosso. Stanno pattugliando. Chi siamo noi? Clandestini? Turchi? L’ennesimo sbarco? Si chiederanno. Siamo nell’isola frontiera. Dopo 60 secondi di un interrogatorio marino senza parole, i fari si spengono e i militari vanno via. Entriamo in porto. La musica a pieno volume di un locale alterna canzoni neo melodiche con le canzonette dell’estate. La mattina nel Bar dell’Amicizia decine e decine di turisti fanno la coda per la colazione. È l’isola frontiera, è l’isola turismo. Che ci racconterà l’equipaggio di terra che sale a bordo? Che voci avrà raccolto sui moli e nell’isola? Già dall’arrivo è evidente la diversa scala di tutto ciò che si muove e agisce qui: risorse, denaro, Stato e militari, pesca, turismo, migranti. L’isola dei tesori?

Le immagini che accompagnano questo testo hanno come sottofondo la musica di Giacomo Sferlazzo, artista, musicista e attivista lampedusano. Nella cornice di Porto M – circolo culturale legato alla storica attività del collettivo Askavusa – siamo spettatori di Lampemusa – Spettacolo sulla storia di Lampedusa, in cui Giacomo alterna teatro popolare, canzoni d’autore e riflessioni politiche sul ruolo dell’isola nello scenario mediterraneo. Legandosi poeticamente al passato di pesca, scambi, connessioni e isolamento della sua terra, alla fine dello spettacolo arriva inevitabilmente una riflessione più prosaica sulle migrazioni attuali che caratterizzano la vita di Lampedusa dalla seconda metà degli anni ’80: «Lampedusa è stata descritta alternativamente come ‘isola dei respingimenti’ o ‘isola dell’accoglienza’. Ma entrambe le immagini non danno conto della realtà». Questa lettura binaria non coglie le complessità di una situazione piena di contraddizioni e di conflitti che, come equipaggio di terra in preparazione dell’arrivo di Tanimar da Pantelleria, stiamo tentando di esplorare, riallacciando le relazioni costruite nel tempo durante precedenti soggiorni etnografici.

Dintorni di via Roma. Un pescatore lampedusano ci parla lungamente delle emozioni contrastanti di un salvataggio: da un lato, le conseguenze della crescente criminalizzazione dell’aiuto in mare e il pericolo del sequestro della barca; dall’altro, mostra la pelle d’oca per l’impatto emotivo di quel momento. Il suo coinvolgimento entra in cortocircuito con la restituzione di un discorso più ampio su migrazioni e sbarchi che si intreccia con la frustrazione del vivere in un’isola militarizzata e il risentimento per l’abbandono delle istituzioni: «Qui sembra di essere in guerra… Contro i clandestini… Per ogni clandestino ci stanno tre sbirri… Sull’isola c’è troppa legge… E a noi lampedusani ci mancano servizi essenziali come l’ospedale… E hai visto l’isola quanto è sporca e piena di buche?».

Questo sentimento di frustrazione è un tratto comune delle classi popolari – e non solo – dell’isola, trovando eco nei dibattiti sui moli del porto di Lampedusa in occasione degli sbarchi, oltreché nei successi elettorali degli ultimi anni: «L’accoglienza l’abbiamo inventata noi lampedusani… Ma questa qui non è accoglienza, è business… Io non ce l’ho con i migranti, ce l’ho con il sistema…», sentiamo ripetere in un’isola in cui mancano i servizi ed è facile che il risentimento proletario si traduca in aperta ostilità verso chi arriva dal mare.

La pandemia inasprisce ulteriormente tali contraddizioni, rendendo non più tollerata l’uscita informale dei migranti dall’hotspot attraverso un buco nella recinzione. Oggi il perimetro del centro, blindato e sorvegliato capillarmente, non ha più vie di fuga: il migrante si trasforma in un “fantasma”, una figura invisibile che al tempo stesso – o proprio per questo – diventa una minaccia sempre più incombente. Le occasioni di incontro tra migranti e isolani sono ridotte al minimo e iper sorvegliate: l’unico incrocio possibile si verifica nelle fasi concitate tra la procedura di sbarco e il trasferimento all’hotspot.

Le uniche persone della società civile che vanno al molo fanno parte del Forum Lampedusa Solidale, rete di attivismo locale al sostegno ai migranti: «Il Forum ha anime diverse: abitanti locali sensibilizzati al tema, parrocchiani, operatori di Mediterranean Hope… Purtroppo la pandemia ha abbassato le energie perché ha ridotto gli spazi di attivismo… E poi non incontrandoli più sull’isola alcune persone hanno perso stimoli… Il vecchio parroco che stava con noi sul fronte migratorio è stato trasferito…», ci racconta un’attivista del Forum.

Di fronte a questo scenario, come facciamo a restituire un discorso che tenga insieme questa complessità a partire dalle nostre prime impressioni? Come si evolverà la situazione e in che modo prenderanno forma queste tensioni dopo il 25 settembre?

L'equipaggio della Tanimar

Siamo un gruppo di ricercatrici e ricercatori delle università di Genova e Parma. Per due settimane, dal 26 settembre all’11 ottobre, attraverseremo il Mediterraneo centrale facendo tappa nei principali snodi della mobilità migrante e del controllo confinario europeo: Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Malta.