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Ph: Alarme Phone Sahara

Le morti taciute nel deserto: come il Niger è diventato la frontiera più esterna dell’UE

Intervista a Moctar Dan Yayé, attivista di Alarme Phone Sahara

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Negli ultimi anni, l’organizzazione Alarme Phone Sahara, che ha sede ad Agadez, in Niger, ha avuto un ruolo centrale nel fornire supporto concreto alle persone in movimento attraverso il deserto, cercando al contempo di dare risonanza ad un fenomeno troppo spesso ignorato nella narrazione delle migrazioni: la trasformazione della rotta trans-sahariana, un tempo sicura, in una delle più pericolose al mondo, a causa delle politiche migratorie repressive adottate su impulso dell’Unione Europea.

Il controllo della rotta che attraversa il Niger – congiungendo l’Africa centrale e occidentale al Maghreb – è divenuto un nodo centrale delle politiche di esternalizzazione delle frontiere dell’Unione, che hanno come fine ultimo quello di ostacolare lo spostamento delle persone verso nord, attraverso azioni giuridiche, militari e finanziarie, spesso di dubbia legittimità. 

Il Niger, Paese estremamente povero, ultimo nell’indice di sviluppo umano delle Nazioni Unite, dipende in maniera molto forte dagli aiuti esterni, e ha intravisto nel tema migratorio una possibilità di attirare e aumentare i finanziamenti europei. Così, il Niger è diventato un fedele alleato dell’Unione, tanto che oggi può essere definito come la frontiera più esterna d’Europa. La chiave di volta è stata la promulgazione della nuova legislazione nigerina in materia migratoria: la legge 36 del 2015, nota come legge “La Valletta“, che ha formalmente l’obiettivo di contrastare il traffico illecito di migranti, ma nella pratica criminalizza le persone in movimento, e danneggia gravemente il tessuto economico e sociale del Niger.

Della complessa situazione nigerina ci parla Moctar Dan Yayé, attivista di Alarme Phone Sahara, che fornisce una testimonianza diretta di quanto sta accadendo nel Paese, e delle conseguenze fatali dell’implementazione delle nuove politiche di contenimento delle migrazioni.

Di seguito l’intervista che è stata realizzata da Laura Angius per l’episodio «Agadez, Niger. La porta (blindata) del deserto» di Radio Melting Pot (ottobre 2022). La traduzione è di Riccardo Biggi, il doppiaggio di Raffaello Rossini (in francese qui).

Le interviste di Radio Melting Pot
Le interviste di Radio Melting Pot
Intervista a Moctar Dan Yayé, attivista di Alarme Phone Sahara
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Moctar Dan Yayé. Manifestazione a Zarzis (Tunisia) 6 settembre 2022. Ph: Silvia Di Meo

Ci puoi raccontare dei processi che dal 2015 hanno portato alla drastica diminuzione delle migrazioni attraverso il Niger, paese nel quale teoricamente dovrebbe valere il principio di libera circolazione dei cittadini dell’ECOWAS (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale), e quanto è stata determinante l’influenza dell’Unione Europea?

Come sappiamo il Niger è un paese che storicamente, da lungo tempo, costituisce una zona di passaggio tra l’Africa del Nord, Magrebina, e l’Africa Occidentale. E’ bene ricordare la presenza di un’antica rotta carovaniera per il trasporto del sale che andava da Kano a Tripoli. Storicamente, la città di Agadez è sempre stata un crocevia ed è stata proprio la migrazione a rendere la città ciò che è adesso: specialmente la Moschea tradizionale, simbolo della città, è stata costruita da stranieri di passaggio. Diciamo, quindi, che la migrazione fino a pochissimo tempo fa è stata un fenomeno naturale, una caratteristica culturale della città e una fonte di sostentamento per i suoi abitanti che non si sono mai fatti delle domande sulla legalità o l’illegalità della mobilità perché è una delle attività quotidiane nelle quali sono coinvolte le loro famiglie.

Sfortunatamente, da qualche anno, la visione Occidentale della mobilità umana ha cominciato a influenzare la comprensione della migrazione delle persone dal sud globale al nord globale con un approccio drastico che mira in tutti modi a impedire alle persone di spostarsi verso il nord. 

L’Europa si è, dunque, fatta fortezza e possiamo dire che, a partire dal 2015, ha inventato la cosiddetta “crisi migratoria“. Io e altri attivisti pensiamo che in realtà non si tratti di una vera e propria crisi ma che, attraverso delle tecniche mediatiche e politiche, questo fenomeno sia stato trasformato in una crisi. Così, nel 2015, in seguito al vertice de La Valletta, il Niger è stato scelto come luogo strategico per impedire alle persone di partire verso il nord perché, secondo le ricerche condotte, la maggior parte dei migranti sub-sahariani che arrivavano a Lampedusa dicevano di essere passati dal Niger, da Agadez. Questa informazione ha iniziato ad avere risonanza e si è dunque deciso che quello era il punto in cui bloccare le persone sul loro tragitto verso il nord. Tutto ciò ignorando completamente la realtà della mobilità umana in questa regione dal momento che non tutti coloro che partono dall’Africa sub-sahariana e passano per il Niger hanno l’intenzione di andare in Europa. Non vogliono andare tutti in Europa. La maggior parte si vuole fermare nei paesi del Maghreb, specialmente l’Algeria e la Libia, eppure si presuppone che vogliano tutti andare in Europa. 

Sfortunatamente, le misure di restrizione adottate sono in contrasto con i protocolli e gli accordi che storicamente esistono in questa regione, ovvero gli accordi di libera circolazione dell’ECOWAS. Inoltre, queste politiche ignorano il fatto che l’economia di Agadez, del Niger e della regione in generale sia basata sulla mobilità umana. 
Senza tenere conto di tutto ciò, sono state adottate misure per limitare la circolazione delle persone. 

Quindi, vedete che c’è stato un cambiamento enorme dopo il 2015 perché siamo passati da un fenomeno naturale e normale ad un fenomeno criminale per cui si dà la caccia alle persone.

In che modo viene concretamente data esecuzione alle politiche di limitazione delle migrazioni? Le autorità locali sono aiutate anche dalla presenza militare europea?

Ciò che bisogna sapere quando parliamo di politiche per la limitazione del movimento è che il nostro paese e altri paesi come il Niger non avevano mai considerato la migrazione come una minaccia da contrastare poiché è sempre stata vista come un fenomeno naturale, anche dallo stato. Fino a qualche anno fa, non esisteva in Niger una politica nazionale sulla migrazione perché la si è sempre considerata come una cosa normale di cui non ci si deve preoccupare. 

Attualmente, nella pratica, la volontà dell’Europa di farsi fortezza esternalizzando i suoi confini, ovvero delegando il controllo delle sue frontiere a paesi come il Niger, si attua attraverso mezzi finanziari e tecnici per creare degli strumenti per impedire alle persone di salire verso il nord. 

In Niger, in concreto, la politica di restrizioni può essere direttamente ricollegata alla legge 36 del 2015 1 che è stata emanata per criminalizzare la mobilità delle persone sub-sahariane verso il nord, al di là di Agadez. La legge è stata concepita in maniera strategica, facendo riferimento, in teoria, alla lotta al traffico di persone o al traffico di esseri umani ma, nella realtà, si tratta di una legge che limita il movimento di tutti coloro che cercano di lasciare Agadez per il nord. Questa legge viene attuata tramite l’aiuto dei finanziamenti europei 2 e l’appoggio tecnico anche delle Nazioni Unite che tramite le loro strutture agiscono per mettere in pratica la criminalizzazione prevista dalla normativa. Dunque, per l’applicazione della legge, è previsto che tutti i veicoli che vengono intercettati al di là di Agadez, diretti verso il nord, debbano essere fermati, e, se si riesce a bloccarli, i veicoli vengono portati nei campi militari, gli autisti sono automaticamente imprigionati e i migranti riportati al punto di partenza. Così vengono messe in pratica, concretamente, le politiche di restrizione.

Infine, per quanto riguarda la domanda se i militari nigerini siano aiutati dall’Europa, in effetti in Niger sono presenti quasi tutte le basi militari europee: Spagna, Italia, Francia, Germania hanno una presenza militare in Niger e collaborano con l’esercito nigerino. 

La narrativa dunque è quella di combattere l’insicurezza. Ma ci sono due cose da tenere a mente: il fatto che la migrazione non era nulla di preoccupante per le popolazioni locali e il fatto che la stessa è stata poi messa nella testa delle persone e nei discorsi politici associandola ai crimini transnazionali di droga o di altro tipo. Ed è proprio nella logica di combattere questi crimini transfrontalieri che le basi militari straniere, soprattutto europee, sono state messe al fianco dei nigerini. Non si dice esplicitamente che queste agiscano contro i migranti, si parla piuttosto di protezione delle frontiere o del controllo delle stesse contro le armi ed altri rischi. 

Dunque, attraverso la missione Eu-Cap Sahel 3, vi sono militari europei che lavorano insieme alle forze di difesa e sicurezza nigerine e, oltre a ciò, vi sono basi militari europee disseminate in diverse aree del Paese 4. Ecco come si materializza la militarizzazione ed il rafforzamento del controllo appoggiato e accompagnato dalle politiche e dagli stati europei. 

Sebbene non se ne parli, a seguito dell’adozione di queste politiche migratorie così repressive, il passaggio attraverso il Sahara è ormai divenuta ancora più mortale della traversata del Mediterraneo centrale. In che modo la criminalizzazione della migrazione, che dovrebbe essere teoricamente rivolta a combattere il traffico di migranti, ha in realtà creato delle condizioni ancora più pericolose per le persone dirette verso Nord e incentivato la violazione dei diritti umani?

Per parlare delle conseguenze dirette delle misure di restrizione e politiche di contrasto alla migrazione, è lecito dire che la legge 36, che dovrebbe, su carta, proteggere le vittime di traffico, rende invece le persone migranti ancora più vulnerabili.
Prima che questa legge venisse emanata, la migrazione dal Niger al nord avveniva in maniera ordinata e organizzata. Ad Agadez, coloro che si occupavano del trasporto dei migranti erano persone conosciute, che lavoravano alla stazione sotto gli occhi di tutti. I passeggeri venivano registrati e tutti i dettagli del viaggio erano conosciuti: il numero delle persone trasportate così come il nome delle persone incaricate di trasportarli verso la Libia o verso l’Algeria. Inoltre, ogni settimana, non vi era una macchina che da sola affrontava la rotta attraverso il deserto ma il viaggio si affrontava tramite dei convogli perché era legale; se un’auto aveva un guasto, gli altri veicoli del convoglio potevano immediatamente prestare soccorso.
Ma dopo l’emanazione della legge 036 del 2015, questa attività è stata criminalizzata ed impedita.
Tuttavia è impossibile impedire alle persone di muoversi: quindi oggi abbiamo nuove rotte create dagli stessi autisti, che sperimentano indipendentemente nuove vie per sfuggire ai controlli, evitando di seguire le rotte già conosciute, spesso prendendo strade più lunghe e tortuose per scappare. Ciò aumenta la vulnerabilità. E quando una macchina va in panne, su una rotta sconosciuta, inventata dallo stesso autista, nel mezzo del deserto, nessuno riuscirà a ritrovarla: senza un veicolo di soccorso è difficile sopravvivere per più di 48 ore nel deserto, a causa della mancanza d’acqua e delle condizioni climatiche estreme: quando fa caldo fa terribilmente caldo, e quando fa freddo fa terribilmente freddo; in entrambi i casi le persone non riescono a sopravvivere.
Succede anche che alcuni autisti, per evitare di essere arrestati, abbandonano i passeggeri in mezzo al deserto e fuggono alla vista delle forze di sicurezza. Tutto ciò ha contribuito ad aumentare la vulnerabilità delle persone migranti, nonostante la legge sia nata per proteggerle. Attualmente una questione importante di cui parlare è il numero di morti nel Sahara, che si dice superi quello dei morti e dispersi nel Mediterraneo.
Allora, in effetti è probabile che sia così, ma non è possibile avere delle cifre sicure, semplicemente perché in precedenza nessuno sapeva che cosa succedesse alle persone nel deserto, prima di arrivare al Mediterraneo.

Uno dei nostri obiettivi nel fondare la nostra organizzazione, Alarme Phone Sahara, era proprio quello di dare visibilità a quello che succede alla persone nel deserto, in termini di diritti umani, morti e dispersi, ancor prima di arrivare sul Mediterraneo, perché tutti i media e i politici invece erano più concentrati su ciò che succedeva in mare.
Questo anche perché in mare, quando vi è una vittima, la marea a un certo punto porta a galla il corpo, mentre il Sahara, il deserto, è una tomba aperta: quando una persona muore, dopo un paio d’ore, se c’è del vento o un po’ di mal tempo, il corpo viene coperto dalla sabbia, perciò non lo si vede e non se ne parla.

Dunque questo è uno degli obiettivi che ci ha motivato a creare la nostra organizzazione, Alarme Phone Sahara, ed ha funzionato. Perché in effetti all’inizio non si parlava di ciò che succedeva nel deserto, non vi erano informazioni, ma a furia di diffondere documentazione e denunce, abbiamo cercato di sensibilizzare l’opinione nazionale e internazionale sulla questione. Così questa ha iniziato ad essere presa in considerazione, fino al punto che, nel 2018, mi pare che Filippo Grandi (n.d.r. Alto Commissario dell’UNHCR) abbia detto che è possibile che il numero di morti del Sahara sia il doppio di quelli del Mediterraneo. Noi abbiamo continuato a denunciare, ma non ci permettiamo di parlare di cifre, perché non sappiamo il numero esatto: può essere il doppio, può essere il quadruplo o il triplo, o meno, non lo sappiamo. Per noi è importante sottolineare che un morto è già troppo, e ritengo che sia rilevante che, grazie al rumore che abbiamo fatto, l’opinione pubblica è quantomeno arrivata a comprendere che anche il deserto è mortale; non soltanto il Mediterraneo o il mare, anche il deserto è una tomba per i migranti.

L’hai già descritto in parte, ma potresti parlarci ulteriormente dei rischi che corrono le persone nel deserto e che cosa succede a chi vi viene respinto o abbandonato? In che modo Alarme Phone riesce a intervenire in questi casi?

I rischi di cui ho parlato, legati alla traversata nel deserto, non sono gli unici effettivamente. Hai appena menzionato una parola della quale non ho ancora parlato, cioè i respingimenti 5. Infatti, al di là delle vessazioni subite dalle persone che risalgono verso l’Algeria e la Libia, causate dalla legge 36 del 2015, attualmente non può essere ignorato il fenomeno dei respingimenti che l’Algeria svolge sul suolo nigerino da qualche anno. 

Ci sono moltissime persone che negli ultimi anni sono state respinte dall’Algeria in Niger 6. Questo fenomeno è cominciato nel 2014, coinvolgendo i cittadini nigerini, ma a partire dal 2015 e ’16, l’Algeria ha cominciato a respingere nel deserto cittadini di tutte le nazionalità, cioè cittadini sub-sahariani ma anche Bengalesi e Siriani, che abbiamo ritrovato. Attualmente, tutto ciò succede nella consapevolezza dei politici, ma probabilmente la popolazione non ne è a conoscenza.

Assamaka, Agosto 2022

Noi di Alarme Phone Sahara cerchiamo di fornire informazioni che vanno al di là di quelle fornite dai media politici o pro – politici, e cerchiamo di dare una visione corrispondente al vero di ciò che succede nel deserto, lasciando spesso che gli stessi migranti si esprimano su ciò che vivono e che affrontano. Facciamo questo attraverso la ricerca sul campo e il monitoraggio, perché abbiamo una rete di allarme nelle diverse rotte migratorie e nelle grandi città sulle strade verso l’Algeria e la Libia, che sono i nostri occhi, e quando vedono dei migranti in pericolo, o in situazioni di vulnerabilità o di crisi, ci allertano, e noi cerchiamo di capire come reagire attraverso le nostre risorse.

La nostra filosofia è: liberi di partire, liberi di restare. Non incoraggiamo nessuno a prendere il rischio di affrontare la traversata, ma non scoraggiamo coloro che sono già motivati a partire, perché non sappiamo cosa li spinga a decidere di affrontare un rischio simile. Spesso veniamo contattati da persone che rimangono in panne nel deserto, e attraverso la nostra rete muoviamo persone che le possano aiutare a risolvere il guasto, o indirizzare verso punti di assistenza, o che gli forniscano assistenza primaria, attraverso acqua e viveri, così da permettergli  di resistere un po’ di tempo. Tutto ciò nel quadro della nostra politica che è: non vi incoraggiamo a partire, non vi incoraggiamo a tornare indietro; cerchiamo soltanto di seguire il vostro percorso, di darvi le informazioni reali e concrete, perché è vostra la libertà di fare ciò che volete.

Rispondiamo anche a segnalazioni di allerta che ci arrivano sul sito, sui nostri profili social e dai nostri contatti; spesso arrivano da persone che si trovano fuori, in Libia, in Guinea, o addirittura in Europa, che ci chiamano per avere informazioni: noi cerchiamo di fare delle ricerche attraverso la nostra rete e i nostri partner, per vedere se riusciamo ad aiutarli, spesso anche per il ricongiungimento di legami familiari.

Un’altra delle nostre attività, sfortunatamente, è quella di rintracciare, attraverso delle investigazioni, le famiglie delle persone morte nel deserto quando ne troviamo i cadaveri, per informarle di ciò che è accaduto. Proprio l’altro ieri abbiamo seppellito un migrante senegalese: quest’uomo si era ammalato così gravemente che, quando siamo stati contattati dalla famiglia, che non riusciva più a contattarlo e ci chiedeva aiuto per trovarlo, io stesso mi sono occupato della cosa, e appena iniziate le ricerche ho appreso che purtroppo era deceduto il giorno stesso, per cui abbiamo proceduto a seppellirlo e a informare la famiglia e la sua ambasciata.

Volevo farti solo un’ultima domanda sulla comunità internazionale e le agenzie deputate alla tutela dei diritti dei migranti, per esempio l’OIM e l’UNHCR: questi attori hanno dimostrato, durante questi anni, di essere in grado di agire in maniera efficace per contrastare la gravissima situazione di pericolo in cui si trovano le persone migranti, e di dargli un supporto reale?

Mi viene da sorridere, perché da militante e attivista africano, il termine “comunità internazionale” mi fa molto ridere perché non riesco, personalmente, a definire che cosa sia questa “comunità internazionale“. Per quanto riguarda questa precisa domanda, e gli organismi che hai citato, come l’OIM e l’UNHCR che hanno come mandato la protezione e l’aiuto delle persone migranti, posso dire che, così come per la comunità internazionale, non comprendo quale sia realmente la missione fondamentale di queste organizzazioni internazionali. Prendiamo l’OIM: il nome stesso è “Organizzazione Internazionale PER la Migrazione”, dunque “PER”, ma oggi, se guardiamo ciò che queste organizzazioni fanno sul campo, abbiamo l’impressione che tutto ciò che fanno vada contro la migrazione, perché il loro obiettivo principale è rimandare le persone a casa loro, tramite il rimpatrio volontario. Non vedo invece nessuna attività volta a promuovere o incoraggiare la mobilità, sia essa regolare o irregolare, o come la vogliamo chiamare.

Questa è la prima cosa. In secondo luogo, consideriamo l’UNHCR, che è anch’essa un’istituzione incaricata della protezione delle persone che cercano protezione internazionale. Noi in Niger ci ricordiamo che, per esempio, a partire dal 2013, dopo che la comunità internazionale mise in atto l’evacuazione dei rifugiati dalla Libia per trasferirli in paesi sicuri dove avrebbero potuto trovare protezione, alcune persone sono rimaste in attesa per due o tre anni, senza sapere che cosa fare. Negli anni ci sono state molte manifestazioni di migranti, rifugiati e richiedenti asilo contro queste organizzazioni stesse, nella città di Agadez, in diverse occasioni. Anche la settimana scorsa c’è stata una manifestazione di questo tipo, per chiedere a queste organizzazioni che le loro azioni concrete rispondano ai problemi reali. Quindi le stesse persone teoricamente protette dalle organizzazioni, manifestano contro le stesse.

Ad Agadez, per due volte, ci sono stati incendi nel campo dell’UNHCR, ad Hamdallaye, vicino a Niamey, ci sono state delle manifestazioni, anche il giorno della giornata internazionale dei rifugiati, il 20 giugno, ci sono state delle contestazioni. Per quanto riguarda l’OIM ci sono contestazioni ancora adesso. Ci sono stati anche degli arresti di richiedenti asilo, che sono stati accusati di mobilitare manifestazioni sovversive e imprigionati.

Quindi vedete che, ad oggi, la comunità internazionale, oltre a rendere più vulnerabili coloro che hanno bisogno di protezione e di cure, arriva addirittura a criminalizzarli. Si va verso una criminalizzazione, perché vi sono numerosi migranti che sono sotto la tutela di queste organizzazioni internazionali e vengono imprigionati perché manifestano, alcuni rifugiati sono messi in prigione, sono criminalizzati. E attualmente, in questi centri, vi è un incredibile sovraffollamento, che rende evidente la loro incapacità di gestire la situazione. Andando avanti, per rispondere alla tua domanda sul ruolo della comunità internazionale, spesso parliamo dei grandi investimenti fatti e delle grosse somme di denaro spese per la gestione dei migranti, dei richiedenti asilo e dei rifugiati.

Oltre 100 senegalesi registrati nel campo dell’OIM hanno iniziato una marcia da Agadez a Niamey per protestare contro il modo in cui l’OIM gestisce la loro situazione (19 settembre 2022)

Ma personalmente, dal mio punto di vista, ritengo che si tratti semplicemente di numeri, per la maggior parte. Perché dei numeri? Perché i soldi che vengono inviati, in realtà alla fine ritornano alla stessa comunità internazionale che li ha investiti. Basta guardare semplicemente i budget, i fondi di amministrazione, spesi per il personale, i loro salari, i loro alloggi, i loro mezzi di trasporto, e cosa rimane tolti questi costi. Oltre a ciò si deve considerare anche quanto viene speso per acquistare tutto il materiale utilizzato per la gestione delle frontiere, o per il controllo o la protezione: questo materiale proviene proprio dalla comunità internazionale, e dall’occidente. Per esempio, gli strumenti tecnici, le armi e i vari macchinari utilizzati, tutto ciò viene acquistato nella comunità internazionale stessa, quindi i soldi ritornano al suo interno. E al di là di questo, ci sono anche le attività di formazione, di rafforzamento delle capacità, oppure gli esperti, che vengono anch’essi dalla comunità internazionale, che li paga e gli fornisce vitto e alloggio. Dunque vedete che, del totale investito, le somme di denaro destinate direttamente alle persone che avrebbero il diritto di essere aiutate, sono in realtà scarse. Ecco, questo è il mio punto di vista sulla situazione.

Grazie mille, c’è qualcosa che vorresti aggiungere?

Credo di avervi detto tutto, vorrei solo aggiungere che semplicemente ognuno di noi, in qualità di essere umano, ha delle responsabilità. Che si tratti della comunità internazionale, della comunità nazionale o dell’individuo, abbiamo delle responsabilità, e bisogna smetterla con questa ipocrisia. Oggigiorno chiamiamo “migrante” soltanto il povero che vuole viaggiare verso il ricco, ma quando i ricchi vogliono viaggiare verso i poveri, li chiamiamo in altro modo: per esempio expat, o cose simili. E’ assurdo e ipocrita, ed oggi è necessario essere onesti con noi stessi e con ciò che diciamo; dobbiamo capire che altrimenti non facciamo che peggiorare le cose e creare maggiore vulnerabilità, perché cercare di categorizzare le persone può avere un effetto peggiorativo. Infine, vorrei dire che i media hanno un grande, grandissimo ruolo, perché il lavaggio del cervello della gente, attuato dai politici per rappresentare la migrazione come una situazione di caos e di crisi, è sempre stato realizzato tramite l’appoggio dei media e del clamore mediatico. Dunque, per queste ragioni, abbiamo bisogno di media indipendenti e liberi, che abbiano un approccio umano e onesto verso la situazione, per aiutarci a far fronte al problema.

  1. Niger: ricorso contro la legge che criminalizza il traffico dei migranti. La Corte di giustizia dell’ECOWAS chiamata a giudicarne la legittimità, Asgi (settembre 2022)
  2. Intervista a Giacomo Zandonini di Laura Angius ed Elena Campione, Melting Pot (aprile 2021)
    The Big Wall: Il dogma del contenimento (Prima parte) – Come l’Italia ha investito 1,3 miliardi di euro per costruire un muro invisibile tra Europa e Africa (Seconda parte)
  3. EUCAP Sahel Niger, missione civile nell’ambito della politica di sicurezza e di difesa comune, è stata avviata su richiesta del governo del Niger nell’estate del 2012. Ha lo scopo di contribuire allo sviluppo di un approccio integrato, coerente, sostenibile e basato sui diritti umani fra i vari attori della sicurezza nigerini nella lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata. Di conseguenza, la missione è intesa a fornire consulenza e formazione per sostenere le autorità nigerine nel rafforzare le loro capacità. Oltre 100 esperti internazionali, la maggior parte dei quali provenienti dalle forze di sicurezza e dai dipartimenti di giustizia europei, sono impiegati in modo permanente a Niamey. Fonte: Consiglio UE
  4. Il 9 settembre il Consiglio dell’UE ha deciso di rinnovare il mandato della missione civile dell’UE EUCAP Sahel Niger fino al 30 settembre 2024, con una dotazione di bilancio di poco superiore a 72 milioni di EUR per il periodo dal 1° ottobre 2022 al 30 settembre 2024. Il Consiglio ha inoltre deciso di adeguare leggermente il mandato della missione per consentirle di scambiare informazioni classificate UE con le agenzie dell’UE nel settore della giustizia e degli affari interni. Fonte: Consiglio UE
  5. Nello specifico le persone vengono lasciate nel mezzo del deserto in un punto specifico chiamato “Point 0”, dal quale devono poi raggiungere il confine nigerino percorrendo a piedi in condizioni psico-fisiche ovviamente indignitose, 20 km da soli nel deserto, senz’acqua, senza cibo e senza cure
  6. Nei mesi di agosto e settembre 2022, almeno 4.747 persone sono state deportate dall’Algeria al Niger, secondo quanto riferito dagli informatori di Alarme Phone Sahara ad Assamaka, al confine tra Algeria e Nigeria. Da aprile a giugno 2022 APS riferisce di almeno 6.583 persone deportate. Il numero di persone deportate dall’inizio del 2022 è ora di almeno 17.105

Radio Melting Pot

For freedom of movement, for citizenship rights
Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

 

Questa nuova stagione 2024/2025 prevede la realizzazione di 8 episodi.
La prima call pubblica, che ha avuto come obiettivo quello di promuovere un protagonismo diretto delle persone coinvolte nei processi migratori, si è svolta nel dicembre del 2023 ed ha formato la redazione del nuovo progetto.

 

Il progetto è realizzato con i Fondi dell'Otto per Mille della Chiesa Valdese.

Laura Angius

Mi sono laureata in Giurisprudenza all’Università di Bologna, specializzandomi sulle politiche migratorie europee, e perfezionando la mia formazione con il Corso di specializzazione UFTDU “Migrazioni, integrazione e democrazia”. Attualmente mi occupo di immigrazione lavorando come praticante avvocato presso uno studio bolognese impegnato da anni nella tutela delle persone straniere, e svolgendo attività di consulenza legale extragiudiziale presso la casa circondariale Dozza.