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Linosa. Isolitudine.

5 ottobre, decimo giorno

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35° 30′ N, 12° 36′ E

Isolitudine: s.f. (“isola”+ “solitudine”) izoli’tudine. Disposizione dell’animo corrispondente a sentimenti di intermittente euforia e malinconia, tensione verso il superamento eroico di barriere geografiche ed emotive, permanente stato di luminosa predisposizione verso il futuro, tormentata ricerca di un altrove talora impossibile” (Catalogo della mostra temporanea Isolitudine, Fondazione Merz, presso Cantieri Culturali della Ziza, Palermo. Curatori: Agata Polizzi, Laura Barreca, Valentina Bruschi, Beatrice Merz)

Da Lampedusa a Linosa percorriamo 25 miglia, spinti dal vento di scirocco. Forse la barca assomiglia più a una fionda, uno slancio per andare via, per lasciare un sentire che non ha ancora trovato deposito. La scia di parole che emerge dalla terra che abbiamo lasciato necessita di un tempo per essere pronunciata. Le parole hanno la forma di matasse, piccoli o grandi gomitoli di contraddizioni. Riuscire a prendere un solo filo significa abbandonare delle certezze, graffiare storie confezionate e non pretendere che si possa costruire un vocabolario risolutivo.

Linosa spunta come un piccolo pugno di terra. Né nelle dimensioni né nelle tonalità imita Lampedusa. I vulcani hanno seminato una scala cromatica che si fa terra gialla, marrone e rossiccia. Alcuni dicono che la salvezza di questo chicco galleggiante sia la mancanza di un porto, altri accusano la stessa assenza come rovina. Rimane in bilico come fosse una zattera in un tempo sospeso.

Esistono segni del passato che presenziano poi come profezia: Linosa non era rappresentata sulle carte. Forse per questo Giovanni Tamarshammer, il 27 agosto del 1817, dichiarò il proprio possesso sull’isola.

Oggi, pare che i molti uffici della legittimità istituzionale se ne siano dimenticati.

Le cose avvengono per portate – reti di influenze, contatti personali, ecc. – oppure attraverso uomini che incarnano l’istituzione.

Sullo Stato  

Incontriamo L. davanti alla casa comunale di Linosa, dove per oltre trentacinque anni ha rappresentato lo Stato sull’isola, fino a diventare l’ultimo funzionario comunale in servizio. Ora è andato in pensione, ma dopo oltre undici mesi nessuno lo ha ancora sostituito. «A Linosa nun avimu nenti… anzi l’unico problema che non abbiamo qui è l’acqua, perché il dissalatore funziona». Il suo punto di vista sulla presenza dello Stato è negativo: «nel 2021 ho ricevuto come economato solo tremila euro dal bilancio del Comune per le spese di Linosa». «In passato» – continua – «per comprare il toner della stampante, necessario per le attività amministrative, ho dovuto anticipare io, a mie spese, l’acquisto per evitare di rimanere senza cartucce». Anche il diritto-dovere di voto qui, come a Lampedusa, è messo in discussione, sfumato: «nel primo decennio degli anni Duemila, come linosani abbiamo consegnato ufficialmente le schede elettorali prima di una delle tornate in programma. Per testimoniare che qui a Linosa votare non vale nulla abbiamo fatto un gesto ufficiale, non le abbiamo strappate o bruciate…le abbiamo consegnate ufficialmente alla sede comunale di Linosa». Qui, cinquant’anni dopo il “rifiuto del voto” che i lampedusani misero in atto nel 1964, si ripete, quasi come un rito lo stesso gesto. Emerge dalle sue parole, una visione identica a quella di molti altri linosani: «siamo uno scoglio di Lampedusa…dipendiamo in tutto e per tutto da loro».  

Sull’istruzione 

Salutiamo L. per incontrare le insegnanti e gli insegnanti dell’Istituto scolastico “L. Pirandello” (succursale dell’omonimo istituto di Lampedusa). Ci ricevono, in quella che ci pare essere la Sala Professori, e percepiamo subito la loro voglia di raccontarci le loro difficoltà. «Il diritto allo studio a Linosa è fantascienza», ci dice subito una maestra. «Il corpo docente per quest’anno è al completo rispetto al fabbisogno» – continua una sua collega – «ma è sempre più difficile trovare docenti disposti ad insegnare a Linosa». Il motivo è presto detto: «l’abrogazione del raddoppio del punteggio per i docenti che decidevano di insegnare qui ha ridotto drasticamente l’attrattività delle isole minori da parte dei colleghi, che così trovano meno incentivi per venire a Linosa». Una scelta che non ha tenuto conto delle diversità tra le isole minori del nostro Paese.

«Ustica è meglio collegata con Palermo; quindi, in quel caso, la condizione di insularità per chi insegna lì è diversa rispetto alla nostra». Alcuni di essi, peraltro, vengono assegnati sia a Lampedusa che a Linosa, e sono costretti a fare la spola tra le due isole con molta difficoltà, visto i pochi mezzi di collegamento. Così, i docenti “pendolari” sono costretti a concentrare tutte le lezioni della materia in un’unica giornata della settimana. In inverno, quando c’è mare grosso la nave non parte e siamo costretti ad annullare le lezioni per quella settimana». «Quando devo venire a Linosa, per essere in classe il mercoledì mattina, devo prendere la nave il martedì, in quello che sarebbe il mio giorno libero. Una volta a Linosa, poi, posso soggiornare una sera in una piccola residenza per i docenti che vengono da Lampedusa come me; almeno questo è d’aiuto».

A queste difficoltà, infine, si aggiunge il costo del biglietto della nave che è a carico del docente: «c’è solo una diminuzione parziale della tariffa per la nave, che impiega due ore a tratta, non c’è invece alcuna agevolazione per l’aliscafo, che invece è più veloce ed impiega 50 minuti». «Nonostante queste difficoltà potremmo avere una ottima qualità della didattica qui, se solo ci fosse concesso di fare delle pluriclassi. La legge impedisce di comporle quando gli studenti per intero ciclo (es.: elementari, medie, ecc.) sono meno di otto. Attualmente l’Istituto è composto da sette studenti per le elementari e sette per le medie». «Così» ci spiegano «è complicato fare didattica».

In passato, ci raccontano, è successo che alcune famiglie si trasferissero durante l’anno a Lampedusa o, addirittura, a Porto Empedocle per poter far frequentare lì le scuole dell’obbligo ai propri figli. Un capitolo diverso, invece, riguarda l’istruzione secondaria di secondo grado. «Negli anni scorsi, e ben prima della pandemia, era stato attivato un sistema di didattica a distanza con il Liceo di Lampedusa, per i primi due anni. Dal terzo in avanti, comunque, gli studenti superiori linosani dovrebbero trasferirsi fuori dall’isola». Questo però non succede perché nonostante «la scuola sia dotata di apparecchiatura tecnologica e due docenti tutor per affiancare gli studenti, la didattica a distanza non funziona perché la connessione internet non è stabile». Così, capiamo, tutti gli studenti che terminano a Linosa il ciclo scolastico secondario inferiore, si trasferiscono sin dal primo anno fuori dall’isola. E per questo trasferimento, necessario per frequentare la scuola dell’obbligo, non è previsto alcun tipo di sostegno economico per le famiglie linosane.

Chiediamo, infine, se ricordano la scelta di consegnare la scheda e non partecipare al voto, di cui abbiamo detto prima. «Qui eravamo nel deserto», ci dice una maestra, lapidaria. «Non c’era più nemmeno la benzina». Con questa immagine del deserto in mezzo al mare, salutiamo e ci avviamo verso la via principale del paese. 

Sulla salute 

Poco dopo conosciamo T., che nella vita ha svolto molti lavori sull’isola. «Il medico di base è andato in pensione tre mesi fa, si fa fatica a trovarne un altro. Al momento siamo senza». L’unica assistenza sanitaria sull’isola è il presidio della guardia medica. «Fanno il possibile, sono tutti giovani medici; cambiano però spesso perché lavorano a turni». Anche per la vaccinazione obbligatoria «i bambini sono costretti a prendere la nave e andare a Porto Empedocle e, ovviamente, le spese di viaggio sono tutte a carico delle famiglie». Come a Lampedusa, si nasce fuori dall’isola, nel continente. Ci sono casi, però, come ci racconta E., anziano pescatore dell’isola, in cui si ritorna a Linosa per gli ultimi giorni di vita. Mentre è intento a riparare la rete che servirà per la pesca del giorno dopo, ci dice: «una signora, poco tempo fa, ha deciso di venire qui, per trascorre gli ultimi giorni di vita. Veniva da Torino».

Sul turismo

Muovendoci fra i piccoli negozi dell’isola, ascoltiamo le voci di diversi abitanti coinvolti nel settore turistico. «Con il turismo stiamo indietro. Non è come a Lampedusa. Qui non sai quando arrivi né quando parti. E quest’anno ci hanno anche tolto l’aliscafo a ottobre, con Lampedusa piena di turisti. Non si può lavorare con le agenzie e i loro pacchetti. Noi non vogliamo il turismo di massa, però qualche centinaio di turisti in più sì, viviamo di questo. Prima c’erano i turisti avventurieri, andavano in campeggio o vivevano nelle nostre case. Ora vogliono tutto preparato. Ma chi sceglie Linosa non è da albergo. Chi arriva qui non vuole avere gente attorno, vuole vedere le berte, godere della tranquillità e della natura. Lampedusa è un’isola che lavora perché ha l’aeroporto. Ma che isola è?» (K.)

«La torta del turismo qui è piccola. Non è come a Lampedusa, qui c’è poco da spartire. Bisogna lasciare spazio a tutti. I vecchi si dovrebbero ritirare e lasciare che i giovani facciano. Quando c’è bisogno, qui andiamo tutti insieme. Ad esempio, volevano costruire un villaggio turistico fuori dal centro abitato che non avrebbe portato nulla ai linosani. Abbiamo bloccato l’operazione». (J.)

«Si lavorava meglio una volta. Mio marito faceva il giro dell’isola in trattore, altri invece lo facevano con l’asino. I lampedusani portano i turisti a Linosa in gommoni e barconi e non lasciano niente qui. L’isola è sfruttata da loro. Si mettono i soldi in tasca e non si preoccupano che il linosano non lavori. Qui i turisti ritornano, l’altro giorno da noi è venuto un signore che avevamo ospitato 40 anni fa». (Z.)

«Prima si viveva con la solidarietà contadina. Ci si dava una mano per costruire il tetto alla casa, per le bestie, per tutto. Il turismo ha stravolto questo modo di vita. Adesso conta il soldo. Si fatica di meno e si guadagna di più a fare il giro guidato dell’isola che a coltivare la terra. Quando faranno il porto, sarà la fine di Linosa». (F.)

Sulla pesca

In un piccolo cortile tra due case, all’ombra, due uomini anziani riparano una rete. «A 18 anni volevo comprarmi una casa e avere le mie cose, così sono partito per la Germania. Dopo otto anni, sono tornato a Linosa per restarci. Sono andato da mio padre e gli ho detto che volevo una barca per fare il pescatore. Mio padre era un uomo della Finanza ed è stato chiaro fin dall’inizio: ‘Se vuoi una barca devi prenderti la licenza, altrimenti niente’. Io faccio tutto in regola, ogni vendita la segno sul registro e così il mio equipaggio: i miei due figli e uno dei miei nipoti. L’altro per fortuna ha deciso di fare il meccanico, e ha fatto bene. Qui fanno di tutto per farti saltare il lavoro: aumentano i prezzi del gasolio, ora è passato da 40 centesimi a 1,30 euro al barile; per non parlare dei controlli: sono ridicoli. La finanza chiede solo a me i documenti, gli altri manco li vede. L’altro giorno un amico mi ha detto che mi cercavano; sono andato a sentire che volevano ed era l’ennesimo controllo a me. E sai perché? Perché sono l’unico che ha la licenza! Allora gli ho chiesto se tutte le altre barche, secondo loro, stanno in mare a prendere il sole. Li ho spiazzati ed è finita lì.

La vedete tutta questa fatica? Loro te la complicano, ma noi proviamo a continuare finché possiamo. La vecchia rete si è rotta e devo rammendarla con quella nuova che viene da Catania. Era tutta bianca ma per i fondali di Linosa serve di un altro colore. Il migliore sarebbe il nero, ma era finito e l’ho ridipinta di rosso. È a maglie piccole e va cucita su tre piani con quella vecchia. Si parte dall’alto, alternando ogni tre nodi una survedda, poi si passa alla parte sotto dove vanno aggiunti i piombini. E poi arrivano i delfini e ce le rompono. E noi non possiamo nemmeno pescarli».

Sulle migrazioni

Quello delle migrazioni è un tema minore. Ogni tanto affiora nei nostri incontri. Un’operatrice del turismo ci dice ad esempio: «Lampedusa con i clandestini ci gioca e ricatta lo stato per avere più risorse». Quando le chiediamo qual è la reazione dell’isola ai pochi sbarchi che tuttora avvengono, non mostra nessun segnale di allarme: «se c’è da aiutare, aiutiamo». In occasione delle primavere arabe, gli sbarchi a Linosa erano stati più consistenti e in quel caso le persone erano state collocate nella palestra e nel campo sportivo dell’isola. Un abitante evidenzia la difficoltà di quel momento: «Mamma mia, tutti lì ammassati, persone ferite, bambini. E che puzza che c’era. Certo, che devi fare, la popolazione comunque ha reagito in modo umanitario. Ma smettiamola di parlare di queste cose. I problemi di Linosa sono altri». Infine, c’è chi riflette sulla geopolitica degli arrivi e sullo sfruttamento: «Vengono qui, anche se pochi, perché hanno più probabilità di continuare verso la Sicilia, senza essere mandati all’hotspot di Lampedusa. Nessuno sbaglia strada, se vengono qui. Ma che vanno a fare in Sicilia poi? A essere sfruttati nei campi, vai a vedere alle Madonie come vivono. Lì raccolgono arance, mandorle, pomodori senza diritti».


L'equipaggio della Tanimar

Siamo un gruppo di ricercatrici e ricercatori delle università di Genova e Parma. Per due settimane, dal 26 settembre all’11 ottobre, attraverseremo il Mediterraneo centrale facendo tappa nei principali snodi della mobilità migrante e del controllo confinario europeo: Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Malta.