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Il centro di prima accoglienza a Pantelleria
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Pantelleria e Lampedusa: le criticità dell’approccio Hotspot

Intervista all'Avv. Nicola Datena, socio ASGI tra i curatori dei rapporti

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ASGI (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) dalla fine del 2018, in seno al progetto InLimine 1, con il sostegno di Open Society Foundation, effettua dei monitoraggi della situazione presso le zone di frontiera in cui viene applicato l’approccio hotspot nella gestione dei migranti 2. Attraverso queste osservazioni si vuole mettere in luce e criticare il sistema hotspot, utilizzato nei luoghi di sbarco in maniera spesso arbitraria.

Insieme all’Avvocato Nicola Datena, membro ASGI e parte della delegazione che ha effettuato i sopralluoghi a Pantelleria 3 e Lampedusa 4, abbiamo commentato gli ultimi Report pubblicati nell’agosto scorso da ASGI circa la situazione attuale nelle due isole siciliane.

Per quanto riguarda Pantelleria, è il secondo anno 5 che una delegazione di ASGI si reca sull’isola per condurre attività di monitoraggio e raccolta dati sull’hotspot, con l’unico scopo di mettere in luce le criticità del sistema e metterlo in discussione.

Il centro di prima accoglienza a Pantelleria

Durante il sopralluogo giuridico, la vostra delegazione ha organizzato degli incontri con i vari attori coinvolti nella gestione delle politiche migratorie. Come hanno risposto le realtà locali? Entrare in contatto con i soggetti interessati è stato complesso?

Sì, il nostro intento è sempre quello di organizzare degli incontri con gli attori presenti sul territorio. Il primo anno le istituzioni sono state molto più disponibili, quasi come se fossero inconsapevoli delle violazioni che perpetrassero. Abbiamo fatto un lungo incontro con il sindaco e con l’assessore alle politiche sociali. Poi, dopo il primo report, quindi al secondo anno di monitoraggio, nessuno ci ha più voluto incontrare. La Prefettura ha solo risposto, per iscritto, alla nostra richiesta di accesso civico. Il Comune inizialmente ci aveva detto sì, ma dopo, a causa di numerosi impegni personali dell’assessore, non ci ha mai incontrati. In ogni caso, tutto si svolge alla luce del giorno, quindi non è difficile capire come viene gestita la situazione. La gestione è abbastanza casalinga, nel senso che agiscono esclusivamente nell’ottica di tamponare un’emergenza, cercando di adoperare gli strumenti di cui dispongono senza troppo stare attenti a rispettare i diritti delle persone.

Uno degli aspetti più critici, emersi durante il sopralluogo, riguarda l’ambiguità della destinazione giuridica e le condizioni materiali inadeguate dell’ex Caserma Barone. Potrebbe spiegarci quali implicazioni comporta questa ambiguità?

Sì, anche a Pantelleria si applica l’approccio hotspot e, fino a poco tempo fa, senza che quello fosse stato dichiarato punto di crisi. Quindi l’ex Caserma Barone non era giuridicamente un hotspot, ma venivano comunque seguite le procedure previste per i centri di crisi, cioè: pre-identificazione dei migranti appena arrivati e, sulla base di poche informazioni contenute nel foglio notizie, trasferimento a Trapani. Prima del trasferimento, le persone venivano trattenute in questo edificio che, visto da fuori, sembra abbandonato, una struttura militare; assolutamente inadeguata a ospitare le persone, è composta semplicemente da due locali; mentre, per i momenti di sovraffollamento, le persone dormono in tenda o all’esterno su dei materassi. Esiste anche un container destinato all’accoglienza di donne e minori.

Il problema più grosso determinato dall’assenza di una qualificazione giuridica di questo luogo è che non esiste alcuna base giuridica su cui le persone possono essere trattenute. Perché, quella che si consuma all’interno, è una vera e propria detenzione. Le persone vengono private della libertà personale il cancello non è chiuso a chiave , ma è presidiata dalle forze dell’ordine e quindi le persone non escono. Inoltre, vengono private del telefono cellulare, quindi non hanno possibilità di comunicare con l’esterno. In condizioni normali la detenzione dura tre o quattro giorni, il tempo necessario per riorganizzare il trasferimento a Trapani, le persone vengono sostanzialmente detenute e private di qualsiasi contatto con l’esterno. In condizioni di cattivo tempo o altre difficoltà ad effettuare il trasferimento verso Trapani la detenzione si protrae e si è protratta anche fino a 10/12 giorni.

I cancelli del centro di prima accoglienza a Pantelleria

Tutte queste violazioni della libertà personale avvengono senza che venga seguito un procedimento prestabilito o senza alcuna autorizzazione da parte di un’autorità giudiziaria o di un giudice. Tutto questo costituisce una violazione dell’art. 13 Cost., che permette la limitazione della libertà di una persona soltanto dietro convalida di un giudice, entro 96 ore dal trattenimento. Inoltre non viene fatta alcuna distinzione tra le persone: donne, adulti, bambini.
Questo approccio di massa non permette di individuare le vulnerabilità o dei bisogni particolari.
Quindi qua con la giustificazione dell’emergenza, si tende a violare i diritti fondamentali delle persone e ad approcciarsi a questo fenomeno in modo un po’ superficiale e senza l’applicazione delle norme che pure esistono.
Adesso hanno individuato un luogo definito formalmente “punto crisi” e hanno aperto questa struttura che funziona ufficialmente da hotspot. Ma pur applicando l’approccio hotspot sorretto da una base giuridica, la situazione rimane critica perché basato sulla detenzione e sulla gestione quasi monopolizzata da parte delle forze di polizia degli arrivi, dell’informativa legale e di tutto il resto. Si cerca di isolare il migrante appena arrivato dalla società civile, che invece potrebbe aiutarlo: dargli informazioni utili, creando/contattando rete di supporto sul territorio. È possibile anche che migrante abbia amicizie, parenti, familiari, conoscenti, che può attivare per difesa.

Il centro di prima accoglienza a Pantelleria

Come emerge dal report, un altro aspetto critico, riguarda l’informativa legale. Come avvengono le comunicazioni e cosa comporta effettuare l’informativa nel momento subito successivo allo sbarco?

I migranti che giungono sulle coste di Pantelleria vengono immediatamente trasportati, dalle Forze di Polizia, in una struttura in cui cominciano la compilazione del foglio notizie, che altro non è se non un listone con delle caselle da barrare. Nella maggior parte dei casi, le persone non capiscono né il contenuto delle domande, né perché vi debbano rispondere.
L’ambiente non crea di certo le condizioni per far emergere vulnerabilità o altri dati importanti, come ad esempio l’età. Tutto avviene in modo molto rapido e inadeguato. La persona presente per tradurre non è un mediatore culturale, questo crea un ulteriore ostacolo. La scelta tra chi successivamente al trasferimento a Trapani sarà inserito in un circuito di accoglienza in quanto richiedente asilo e chi invece destinata alla detenzione e rimpatrio, perché migrante “economico”, dipende esclusivamente da quel momento totalmente inadeguato.
Seppur è possibile chiedere asilo all’interno di un CPR, farlo dopo il trattenimento comporta comunque delle difficoltà ulteriori: procedura accelerata, poco tempo per preparare l’audizione in Commissione Territoriali, tempi dimezzati per impugnare l’eventuale decisione negativa e, soprattutto, l’impugnazione in questo particolare caso non sospende automaticamente l’allontanamento. Quindi si potrebbe essere rimpatriati anche nelle more della decisione da parte del Tribunale, con conseguente impossibilità di essere audito.
Tutto questo in una cornice che prevede un’informativa legale scadente, rapida e inadeguata. Avviene tutto attraverso la distribuzione di volantini e brochure informative, che ovviamente non sono sufficienti. Una persona appena sbarcata, spesso non ha gli strumenti né per leggerle, né per capirle; sia in ragione della sua alfabetizzazione, ma anche in base al suo grado di comprensione di ciò che gli sta accadendo.
Questa attività non andrebbe fatta subito dopo lo sbarco, ma in modo adeguato, secondo le esigenze individuali di ogni persona, seguendo delle modalità individualizzate.

Qual è l’atteggiamento nei confronti dei Minori stranieri non accompagnati?

Non esiste una procedura differenziata, quando arrivano subiscono lo stesso identico trattamento inoltre permanendo in condizioni di totale promiscuità. Per tanto, al minore, viene chiesto uno sforzo doppio: essere in grado di leggere tutti i documenti, comprendere e rispondere in modo attento. Poi forse potrebbero essere ascoltati dalle istituzioni. Purtroppo, dal momento che quest’ultime operano secondo un atteggiamento costantemente emergenziale, è difficile dare adeguato spazio a tutte le persone. Quindi la gestione “emergenziale” porta in seno con sé la soppressione di molti diritti e non c’è la minima cooperazione a cercare di rendere la situazione più umana.

Lampedusa, invece, è sempre stata teatro di politiche e prassi di confinamento dei migranti stranieri, che giungono sulle coste italiane. Sull’isola agrigentina ASGI svolge i suoi sopralluoghi sin dall’inizio del progetto InLimine e ne registra sempre numerose violazioni di diritti e criticità.

Fotografia scattata a fine luglio da persone trattenute nell’hotspot di Lampedusa

In incipit, risulta imprescindibile richiamare l’importantissima sentenza emanata dal Tar Palermo, circa l’accesso della società civile nei luoghi di trattenimento. Ci parlerebbe del ricorso di ASGI e del valore di questa pronuncia?

L’interlocuzione con le autorità competenti del territorio è stata sempre difficile. L’ASGI riusciva comunque a monitorare la situazione attraverso diversi accessi civici e attività di supporto legale, ma le richieste di accesso alla struttura e visita dei locali adibiti ad Hotspost a Lampedusa sono state sempre state negate per ragioni di sicurezza, per presenza di emergenze o per il Covid. Quindi si è deciso di aprire questo contenzioso per affermare il diritto della società civile di entrare in questi posti perché, appunto, la normativa europea lo consente e poi, insomma, la trasparenza della pubblica amministrazione è fondamentale ed è importante che i cittadini siano consapevoli di quello che succede nei post pubblici, delle prassi poste in essere dall’amministrazione.
È importante vedere fisicamente questi luoghi, sia per dare una tutela adeguata alle persone che vengono coinvolte in questo dispositivo, sia per poi restituire alla società civile quello che succede lì e la prefettura si è sempre opposta.
Anche al nostro ricorso la Prefettura si è costituita, sostenendo che non c’era un diritto dell’ASGI di accedere in questi luoghi. Però il TAR di Palermo effettivamente, dopo un lungo procedimento, ci ha dato ragione 6; sottolineando l’importanza che la società civile ha nel presidiare questi luoghi e l’importanza della trasparenza della pubblica amministrazione, del suo agire.

In questo modo ASGI è stata riconosciuta come ente a tutela degli stranieri richiedenti protezione internazionale ed essendo quello un luogo dove i migranti e richiedenti asilo possono essere trattenuti, l’ASGI può accedervi e ha un ruolo diverso dalle istituzioni. Perché, se è vero che la prefettura possiede un potere/dovere di controllo che gli consente di effettuare visite ispettive, per controllare che tutto proceda regolarmente; la società civile, invece, non ha un ruolo di controllo, ma di testimonianza e di presidio su quello che fa la PA. Questo ci ha permesso di sottolineare l’assurdità delle condizioni del centro. Infatti, quando la delegazione è entrata era vuoto, c’erano solo una quarantina di persone ed era tutto pulito. Però, attraverso i dati ottenuti grazie agli accessi civici richiesti negli anni e al monitoraggio sistematico effettuato anche sul campo, sapevamo che c’erano state sistematiche situazioni di sovraffollamento. Per altro, proprio il giorno prima erano state trasferite 90 persone. Questo vuol dire che fino al giorno prima c’erano 120/130.
L’aver svuotato il locale è la conferma che lo Stato riconosce che sta compromettendo i diritti di persone e cerca di occultare l’evidenza, sia attraverso l’atteggiamento ostruzionista posto in essere per le richieste di accesso, sia nascondendo il proprio operato.

Fotografia scattata a fine luglio da persone trattenute nell’hotspot di Lampedusa

Anche in questo caso, per quanto riguarda gli MSNA, quali sono le principali violazioni registrate?

Come a Pantelleria, i minori non ricevo un trattamento differente rispetto agli altri migranti. Paradossalmente, nel periodo in cui i migranti venivano trattenuti sulle navi quarantena, i 15 giorni di isolamento permettevano di pensare e comprendere quello che stava accadendo. Molti minori si sono dichiarati alla Croce Rossa, la quale poi si incaricava di avvisare le autorità. Ovviamente, non sono mancati i casi in cui queste segnalazioni venivano perse o non venivano adeguatamente recepite. Tutto comunque continua ad avvenire secondo procedure sommarie e per nulla adeguate.

Qual è la percezione del migrante sull’isola? Avete avuto modo di interagire con gli abitanti?

Il fenomeno che domina tutto è proprio la criminalizzazione del migrante. Questa narrazione del migrante come persona pericolosa, quando parli con le istituzioni o anche con le persone che vivono quei posti, fomenta la gestione emergenziale del fenomeno. È una narrazione che non poggia su alcuna base, perché poi se si chiede ad un abitante di Lampedusa/Pantelleria se effettivamente i migranti abbiano mai commesso un reato, non sono in grado di risponderti. L’approccio securitario trova forza da questo tipo di narrazione.
Anche l’attività che Frontex svolge alla frontiera, si muove su questo filone narrativo. L’agenzia europea, infatti, subito dopo lo sbarco, sottopone delle persone a degli interrogatori. Questi vengono svolti senza che alle persone venga spiegato il perché o in che modo le loro risposte verranno utilizzate. Per altro, queste interviste vengono registrate come volontarie, nonostante vengano effettuate su base del tutto randomica.
E’ proprio sulla base di queste dichiarazioni, rilasciate durante le interviste “volontarie”, che una persona potrebbe essere accusata di essere uno scafista, quindi un trafficante. Si tratta di situazioni documentate, ce ne sono diversi che abbiamo individuato nei monitoraggi.
Come è possibile immaginare, molte persone rilasciano delle dichiarazioni senza però essere consapevoli degli effetti delle proprie parole.
Magari spesso mi è capitato di persone che hanno dichiarato di aver guidato la barca perché erano le uniche che si sentivano di farlo ed erano stati acclamati dagli altri viaggiatori di fortuna come degli “Eroi”.

  1. In Limine affronta i temi dell’approccio hotspot, delle politiche di gestione delle frontiere e dell’accesso alle procedure di asilo, al fine di strutturare – attraverso la ricerca sul campo, il contenzioso strategico e l’advocacy – strategie di denuncia e contrasto delle pratiche lesive delle libertà e dei diritti dei cittadini stranieri in arrivo in Italia
  2. Cosa si intende per approccio hotspot è spiegato a pag. 2 del rapporto su Lampedusa
  3. La frontiera di Pantelleria: una sospensione del diritto. Report del sopralluogo giuridico a cura dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI) e dell’Associazione Spazi Circolari, agosto 2022
  4. Report Lampedusa 2022: le criticità, InLimine (Asgi), agosto 2022
  5. Si veda anche il report del maggio 2021
  6. Sentenza Tar Palermo n.2473 del 24 agosto 2021

Serena La Marca

Laureata in Giurisprudenza, con l'ambizione di poter dare un contributo concreto circa la gestione del fenomeno migratorio.
Attualmente sono operatrice volontaria presso il SAI Casa Makeba, presente sul territorio di Bologna.
Svolgo anche volontariato per Avvocato di Strada ODV a Bologna, dove gestisco, insieme ad altr* volontar*, un help desk immigrazione.