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Respingimenti collettivi e condotta colpevole nella giurisprudenza della Corte EDU

I punti principali del documento di ASGI

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Il testo elaborato dall’Associazione per gli studi Giuridici sull’immigrazione (ASGI) sviluppa un’analisi delle sentenze della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) a partire dalla recente sentenza A.A. c. Macedonia del Nord e propone un raffronto tra la progressiva limitazione di tutela delle persone respinte da parte dei giudici di Strasburgo e la tragica attualità degli eventi di Melilla dello scorso giugno.

Il documento prende in rassegna alcuni casi di respingimenti sommari ai confini terrestri, analizzando di volta in volta le modalità con cui la Corte EDU ha giudicato le autorità statuali responsabili e colpevoli di respingimento sommario, con l’intento di evidenziare gli orientamenti interpretativi che hanno cristallizzato il principio di “condotta colpevole” che permea i giudizi in oggetto.

Foto di archivio (agosto 2015)

L’analisi prende le mosse dai fatti dell’estate 2015, quando a causa della crisi migratoria legata ai conflitti in Siria la Macedonia del Nord registrò in un mese e mezzo 18.750 manifestazioni di volontà di presentare domanda di protezione internazionale; il 19 agosto la Macedonia del Nord dichiarò lo stato di emergenza sui luoghi di transito alla frontiera di Bogorodica e Tabanovce (rispettivamente ai confini greco e serbo). La risposta dell’UE a questa richiesta di aiuto fu accolta primariamente dalla Germania, che si mostrò disposta ad accogliere i cittadini stranieri legalizzando il canale di transito che dalla Macedonia del Nord portava i cittadini stranieri verso il nord Europa: per sette mesi, i cittadini partivano dalla stazione di Idomeni (Grecia), entravano in Macedonia dove manifestavano l’intenzione di richiedere asilo; da questo momento, la legge imponeva la necessità di formalizzare la domanda di asilo entro 72 ore o di lasciare il Paese. La maggioranza del flusso manifestava una volontà fittizia per poter transitare nel territorio e uscirne entro le 72 ore, proseguendo in Serbia e successivamente in Ungheria o in Croazia. Si stima che i passaggi giornalieri di cittadini stranieri quando il meccanismo era implementato a pieno regime riguardò circa 10mila persone.

La strategia fu dunque di consentire un flusso legale di persone attraverso il territorio macedone, contingentato sulla base di una equivalenza tra migranti in ingresso e migranti in uscita dal paese. L’esperimento del transito legalizzato avviato quell’estate subì una brusca interruzione quando l’8 marzo 2016 vennero ripristinati i controlli alla frontiera macedone. Improvvisamente, il canale macedone percorso per mesi dai migranti fu giudicato illegale e portò alla criminalizzazione di tutti coloro che ancora intendevano attraversarlo. In questo contesto, il 14 marzo i ricorrenti (si tratta di una famiglia di Aleppo e di altre persone di nazionalità afghana, irachena e siriana) presero parte alla “March of Hope”, una marcia di protesta che coinvolse circa 1.500 persone migranti, sostenute da attivisti, volontari e giornalisti. La reazione del governo macedone fu durissima: giornalisti e attivisti furono sanzionati e allontanati dal territorio, affinché non ci fossero testimoni di quanto stava accadendo, ossia una vera e propria espulsione di massa.

I respingimenti sommari

Dal punto di vista giuridico, i respingimenti sommari sono definiti come “qualsiasi misura che costringa degli stranieri, in quanto gruppo, a lasciare un paese senza un esame ragionevole e obiettivo della situazione particolare di ciascuno di loro”. La prassi dei respingimenti sommari è condannata dall’art. 4 prot. 4 CEDU.
In tema di respingimenti sommari alle frontiere terrestri, la Corte EDU venne interpellata nel 2015, per degli episodi di respingimenti sommari da parte delle autorità spagnole oltre le enclave di Ceuta e Melilla.

Dopo la valutazione del caso, la Corte escluse l’illegittimità di quel respingimento istituendo la deroga alla responsabilità statale legata alla cosiddetta “condotta colposa” del ricorrente, ossia la circostanza in cui il ricorrente abbia agito in modo tale da “giustificare” l’espulsione. I criteri per giudicare colposa la condotta del corrente sono tre: 1) l’attraversamento della frontiera senza autorizzazione non avvalendosi di “canali legali ed effettivi” di ingresso; 2) l’aver approfittato del numero elevato di persone per attraversare la frontiera; 3) il ricorso all’uso della forza al punto da mettere in pericolo la sicurezza pubblica. In quella circostanza, dunque, la mancata valutazione dei casi individuali da parte delle autorità spagnole sarebbe stata motivata dalla condotta colposa degli stranieri coinvolti.

Questa decisione è diventata un precedente fondamentale per i casi seguenti, in cui la Corte ha fatto ricorso a questi principi interpretativi nei casi di presunte violazioni del divieto di respingimenti collettivi ai confini terrestri – quale il caso Shahzad, in cui un piccolo gruppo di cittadini pakistani furono costretti ad attraversare irregolarmente il territorio ungherese perché i canali previsti dal sistema informale delle liste di accesso ai valichi di Roske e Tompa erano stati loro interdetti. Il gruppo fu sottoposto a trattamenti violenti, nonostante non avesse opposto alcun tipo di resistenza. In quel caso, le autorità ungheresi furono condannate, dal momento che non furono trovati dei canali effettivi e genuini di ingresso in Ungheria da parte del gruppo.
La Corte si concentrò sull’inesistenza di un sistema genuino ed effettivo al Paese anche in un caso di espulsione sommaria di un numeroso gruppo afghano avvenuto in Croazia, e ciò condusse alla condanna delle autorità croate per il respingimento attuato.

MK, Gevgelija - 9 luglio 2015. Foto Michal Pavlásek
MK, Gevgelija – 9 luglio 2015. Foto Michal Pavlásek

La giurisprudenza della CEDU in materia di respingimenti collettivi

Nel caso in Macedonia del Nord, sembra che la Corte, nell’assolvere le autorità dall’accusa di respingimento sommario, abbia giudicato dirimente le modalità e le ragioni dell’attraversamento del confine da parte del gruppo: in quel caso, secondo le dichiarazioni della CEDU, sarebbero stati i ricorrenti a esporsi al respingimento, non avvalendosi delle procedure ufficiali di ingresso in Macedonia del Nord (elemento, a giudizio della Corte, che avrebbe evidenziato la mancanza di un interesse reale a richiedere asilo) ed avendo approfittato dell’elevato numero del gruppo per tentare l’attraversamento illegale. Dunque, l’attraversamento irregolare e il “movimento secondario”, ossia il transito in un paese senza richiesta di asilo, sono stati qui elementi penalizzanti nella valutazione del respingimento. La sentenza inoltre esclude la rilevanza della violenza come elemento costitutivo rilevante nella definizione di “condotta colpevole”.

L’analisi di ASGI evidenzia tuttavia come la posizione della Corte risulti particolarmente critica anche sotto l’aspetto probatorio: rimarrebbe in capo allo Stato dimostrare l’esistenza di norme e procedure entro le quali effettuare una valutazione individuale dei requisiti di ingresso e dell’eventuale intenzione di chiedere protezione, mentre ricadrebbe sulla parte lesa l’obbligo di dimostrare l’inefficacia delle misure previste a tutela dei diritti fondamentali – e in tal senso ASGI rileva un marcato sfavore nei confronti dei ricorrenti, dove a fronte di numerose testimonianza autorevoli di organizzazioni internazionali e di fonti ministeriali, la Corte ha ritenuto di prendere in considerazione dei deboli elementi di prova dedotti dalle autorità statuali.

Conclusioni

Nel concludere l’analisi, ASGI rileva alcuni punti fondamentali:
1. L’adesione della giurisprudenza della Corte ai principi ispiratori della politica delle istituzioni europee in tema di asilo e gestione dei confini esterni. In merito a questo, attraverso la sua analisi ASGI evidenzia come l’ingresso di cittadini di paesi terzi tramite canali non ufficiali o non autorizzati appaia un elemento sufficiente alla Corte per escludere l’illegittimità di un eventuale respingimento collettivo, e viceversa la Corte sembra aver individuato una violazione del divieto di respingimento solo in caso di ingresso dei cittadini stranieri attraverso valichi ufficiali e conseguente tentativo di espulsione da parte delle autorità.
2. Parallelismi interpretativi tra respingimenti alle frontiere terrestri e marittime. A questo proposito, ASGI evidenzia come la Corte, salvo poche eccezioni, ha sistematicamente negato il diritto a entrare nel territorio dello stato a chi si trovava in frontiera anche in condizioni di evidente vulnerabilità e bisognoso di protezione – e riporta dei casi emblematici a questo proposito, sia alle frontiere terrestri, sia a quelle marittime. In particolare, ASGI osserva come la Corte si preoccupa sistematicamente che gli Stati assicurino il soddisfacimento di bisogni primari quali il cibo e l’acqua, la cura immediata di ferite, e non un accesso alla protezione delle persone aldilà delle esigenze fisiche immediate.
3. Screditamento del ruolo di denuncia delle associazioni della società civile come realtà di monitoraggio di quanto avviene ai confini dell’Unione. Se in passato il ruolo di denuncia e di monitoraggio delle associazioni veniva inglobato dalla Corte come elemento determinante per la valutazione dei casi, sembra che tale ruolo sia stato decisamente ridimensionato negli ultimi anni; al contrario, quello che sembra risultare rilevante sono i dati formali prodotti dagli apparati amministrativi coinvolti.

Dopo Melilla, nuove strategie di contenzioso sempre più necessarie

Ph: Ongi Etorri Errefuxiatuak Bizkaia

Il documento di ASGI si conclude con un riferimento ai fatti del 24 giugno 2022 tra Nador e Melilla, dove 29 persone hanno perso la vita tentando l’ingresso in Europa. ASGI si focalizza sulla narrazione ufficiale di quei fatti prodotta dalle autorità europee e in particolare sul discorso della Commissaria europea Ylva Johansson, che plaude agli accordi tra Spagna e Marocco e definisce “incidente” l’accaduto e attribuendone le colpe ai trafficanti che traghettano i migranti in acque e terre pericolose e li inducono a commettere atti disperati. Le cose sembrano essere andate diversamente, come ricostruisce l’Associazione Marocchina per i Diritti Umani (AMDH); il 24 giugno, ci sarebbero state delle azioni repressive delle autorità marocchine e l’ennesima operazione di sgombero degli accampamenti informali, a seguito dei quali il gruppo di circa 1.500 persone si sarebbe diretto verso Melilla, dove sarebbe stato attaccato in maniera violenta tanto dalle autorità spagnole quanto da quelle marocchine.

Di fronte a eventi di questa gravità, l’Unione Europea, mediante la sua Commissaria e la narrazione ufficiale di questi eventi, definita “mistificante” dai membri di ASGI, fornisce una “pericolosa” legittimazione della violenza delle autorità statuali e dell’intero impianto istituzionale che legifera, assolve e condanna i soggetti coinvolti nelle dinamiche migratorie. ASGI ritiene urgente ragionare su strategie di contenzioso nuove, diverse dal ricorso alla Corte EDU nei casi di espulsioni collettive , puntando sulle violazioni relative non solo alle violenze subite dai migranti, ma anche alla negazione di uno spettro di diritti fondamentali ben più ampio che hanno un carattere “universale” quali il diritto all’acqua, a un riparo e al benessere psico-fisico.

Rossella Marvulli

Ho conseguito un master in comunicazione della scienza. Sono stata a lungo attivista e operatrice nelle realtà migratorie triestine. Su Melting Pot scrivo soprattutto di tecnologie biometriche di controllo delle migrazioni sui confini europei.