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Status di rifugiata per gravissime violazioni dei diritti umani fondamentali legati all’appartenenza al genere femminile

Tribunale di Bologna, decreto del 14 settembre 2022

Il Tribunale di Bologna ha riconosciuto lo status di rifugiata ad una giovane donna proveniente dalla Guinea la quale era stata diniegata dalla Commissione per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Bologna.

In sede di audizione avanti alla Commissione, la donna dichiarava di:

  • essere stata maltrattata dal padre che la picchiava ed emarginava dalla famiglia perché la stessa si rifiutava di subire un matrimonio combinato con un uomo molto più grande di lei cui era stata promessa in sposa sin dalla nascita dal padre in cambio di un prestito in denaro;
  • essere stata cacciata dalla famiglia dopo essere rimasta in cinta di un giovane di cui si era innamorata;
  • essere stata sottoposta, per punizione, dopo il parto, alla pratica dell’escissione;
  • essersi allontanata dal proprio paese lasciando il figlio, con la prospettiva di un lavoro in Libia per poi scoprire di essere stata comprata e di essere costretta a prostituirsi per riscattare la propria libertà.

La donna asseriva di non poter più fare rientro nel proprio paese di origine per il rischio di essere esposta a più violazioni dei diritti umani costituenti motivi di persecuzione: essere punita dal padre e dai suoi zii con violenza e torture per avere rifiutato il matrimonio combinato e per essersi allontanata dal villaggio.

Si trattava, evidentemente, di gravissime violazioni dei diritti umani fondamentali legati indissolubilmente all’appartenenza al genere femminile.

Il tribunale di Bologna, in base alle COI, ha confermato la coerenza ed attendibilità delle dichiarazioni della donna:

  • sia riguardo alla minaccia di matrimonio forzato appurando che “il numero di matrimoni precoci o forzati in Guinea è uno dei più alto dell’Africa Sub Sahariana”;
  • sia in merito alla pratica delle MGF, precisando che le stesse COI confermano un altro dato importante ossia che “la Guinea ha il secondo tasso più alto al mondo di mutilazioni genitali femminili dopo la Somalia – il 97% delle donne tra i 15 e i 49 anni è stato sottoposto a mutilazione”. In particolare, rispetto al fatto che la procedura sia stata praticata da adulta e non da bambina, il Tribunale evidenzia che “le MGF sono spesso viste come una porta d’accesso al matrimonio e un modo per preservare la purezza di una ragazza, e continuano in Guinea a causa dell’estrema pressione sociale e del timore dei genitori di essere esclusi dalla comunità o di temere che le loro figlie non si sposino mai se non si sono sottoposte alla procedura” (Plan International, Combatting Female Genital Mutilation (FGM) in Guinea)”.

Alla luce di tali constatazioni, il Tribunale di Bologna afferma che “il timore della ricorrente deve ritenersi fondato. Innanzi tutto, il fatto di aver già subito atti di persecuzione costituisce serio indizio della fondatezza del timore della richiedente di subire persecuzioni future, ai sensi dell’art. 3, comma 4 del d.lgs. n. 251/2007”.

Infatti, il Tribunale di Bologna osserva che nel caso in cui la donna abbia già subito atti di persecuzione, il timore è rappresentato dal “rischio di essere sottoposta a un’altra forma di FGM e/o soffrire conseguenze di lungo periodo particolarmente gravi derivanti dalla pratica iniziale oppure essere sottoposta ad altra forma di persecuzione in quanto donna e, quindi, appartenente ad un particolare gruppo sociale legato al genere, alla luce delle pertinenti informazioni sul paese di origine.”

Non solo. Il Collegio riconosce che l’essere donna costituisce un motivo di persecuzione in quanto “il genere può essere propriamente considerato come una categoria che individua un gruppo sociale, essendo le donne un chiaro esempio di un sottoinsieme sociale definito da caratteristiche innate ed immutabili, e venendo spesso trattate in modo diverso dagli uomini (UNHCR, Linee Guida In Materia Di Protezione Internazionale “Appartenenza ad un determinato gruppo sociale” ai sensi dell’art. 1(A)2 della Convenzione del 1951 e/o al relativo Protocollo del 1967 sullo status dei rifugiati)”.

In tale senso, il Tribunale riconosce che il matrimonio forzato e le MGF sono atti di persecuzione e forme di violenza sulla donna da condannare richiamando la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica siglata ad Istanbul in data 11 maggio 2011 laddove essa definisce “le MGF e i matrimoni forzati (insieme con la violenza domestica, le molestie sessuali, lo stupro, i delitti commessi in nome del cosiddetto “onore”) come gravi violazioni dei diritti umani delle donne e delle ragazze e principale ostacolo al raggiungimento della parità tra i sessi”.

Si richiama la giurisprudenza della Cassazione che con l’ordinanza 12647/2022, ha confermato l’orientamento per cui la violenza fisica e psichica esercitata su una donna per costringerla al matrimonio, rappresenta un’ipotesi di violenza di genere (Cass. 12333/2017, Cass. 25567/2020, Cass. 13932/2020, Cass. 16172/2021).

In particolare, una recente ordinanza della Cassazione 8980/2022 ha affermato che gli atti di mutilazione genitale femminile sono “atti di persecuzione per motivi di appartenenza ad un determinato gruppo sociale che giustificano il riconoscimento dello status di rifugiato”.

Si ringrazia l’Avv. Sara Dori per la segnalazione e il commento.


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