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Una solidarietà svuotata

3 ottobre, ottavo giorno

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Lampedusa. 35°31’ N – 12°35’ E

«Lampedusa di per sé è già un hotspot… Quando sei in un’isola, anche se riesci a uscire dal centro, alla fine dove vai? Ti fai un giro, prendi una boccata d’aria, fai la spesa, compri le sigarette… Ma finisce lì. Anche se molti migranti quando arrivano non lo sanno e chiedono dov’è la stazione, Lampedusa è un’isola e qui si rimane bloccati… L’hotspot è Lampedusa».

Le parole di un’avvocata vicina ai movimenti sociali, che da anni si occupa del tema migratorio in Sicilia – raccolte in periodo pre-pandemico – evidenziavano già la dimensione detentiva dell’accoglienza delle persone migranti a Lampedusa. All’epoca, però, un “buco” nella recinzione permetteva l’uscita informale dal centro, probabilmente seguendo una logica di decompressione dell’hotspot nei momenti di sovraffollamento e di diminuzione del rischio di rivolte. La possibilità di muoversi liberamente sull’isola si traduceva in un incontro che, insieme a forme di contestazione e ostilità, produceva anche momenti di scambio e supporto a favore delle persone in viaggio: «Ancora adesso sono in contatto con molti ragazzi passati di qua… Quando venivano qui in paese ci si incontrava e si passava dei bei momenti insieme, si creavano delle relazioni, diversi di loro li ho anche ospitati a casa… Oggi è diverso, non li vediamo proprio i migranti… Paradossalmente in qualsiasi paese d’Italia vedi più facce nere che a Lampedusa», ci racconta un abitante dell’isola mostrandoci fotografie dei numerosi incontri del passato.

La situazione si modifica con la pandemia e l’inaugurazione delle navi quarantena, “hotspot galleggianti” che per due anni hanno facilitato l’alleggerimento del centro cancellando la presenza migrante agli occhi dei turisti e della popolazione locale, affermando un nuovo paradigma che trova espressione nella chiusura definitiva del “buco” e nella completa invisibilizzazione della presenza migrante. In questa fase post-pandemica, in cui le navi quarantena hanno smesso di operare, il centro è sorvegliato capillarmente e blindato, rendendo di fatto impossibile ogni forma di relazione tra abitanti dell’isola e migranti.

La reclusione dei migranti dentro l’hotspot non ha solo risvolti inerenti alla violazione dei diritti di queste persone, ma ha anche un’importantissima rilevanza sociale e politica. Per meglio dire, il punto non è solo che si priva di libertà qualcuno che tecnicamente per lo Stato ha commesso un reato di tipo contravvenzionale – come è quello di immigrazione clandestina – che non prevede la reclusione. Il punto è che questa situazione nel tempo cambia completamente il modo in cui le persone migranti interagiscono con gli attori del contesto locale.

In che modo allora, ci chiediamo, la nuova gestione istituzionale degli sbarchi e dell’accoglienza ha inciso sulle forme di solidarietà nell’isola? Con quali modalità oggi si può fare attivismo a Lampedusa?

Con la detenzione dei migranti all’interno dell’hotspot, la sola attività di supporto diretto resta la presenza della società civile agli sbarchi sull’arena politica del Molo Favaloro: «In un molo in cui ci si mette in fila, tutti in ordine, noi siamo gli unici senza divisa… Per noi è importante agli sbarchi salutare le persone, portare loro un ristoro, una tazza di tè… Ma soprattutto un sorriso, un abbraccio… Li guardiamo negli occhi uno a uno. Nonostante siamo sempre meno, proviamo a continuare ad affermare nei fatti la solidarietà alle persone… Oggi quello è l’unico spazio in cui le vediamo». Chi parla è una volontaria del Forum Lampedusa Solidale, rete di attivismo locale che, dalla pandemia in poi, ha subito una forte flessione in termini di partecipazione e motivazioni. Se il soggetto con cui si è in relazione per co-costruire il senso dell’azione sociale scompare, si resta sospesi, confusi e alcuni mollano.

Abbiamo incontrato anche altri attori sociali animati da spirito solidale che operano con le istituzioni, persone con competenze di tipo sanitario, ad esempio, come i medici e gli infermieri del CISOM (Corpo Italiano Soccorso Ordine di Malta, una fondazione con finalità di protezione civile): “Ho scelto di fare il medico a bordo della Guardia Costiera perché volevo sentirmi utile alla causa… Con tutte le contraddizioni, la mia è una scelta politica…”. Si tratta di soggetti che creano interferenze, tipi di interazioni diverse da quelle che avverrebbero se fossero presenti solo i militari e che, parlandoci di “contraddizioni”, restituiscono l’esperienza di tempi e spazi ridottissimi di interazione, angoscia, senso di impotenza.

A differenza di altri luoghi del dispositivo confinario europeo, a Lampedusa poi è quasi inesistente il flusso di gruppi di attivismo politico radicale contro le frontiere, non essendoci spazi e modi informali per supportare la mobilità delle persone.

Alla fine, la posta in gioco legata all’azione collettiva si è talmente ristretta da rendere necessaria la ricerca di nuovi spazi di senso. Ad esempio, quelli della produzione culturale, della formulazione e della stabilizzazione della memoria collettiva sulla questione migratoria che, però, sembrano restare all’interno di una dimensione di nicchia. Il collettivo Askavusa, che riunisce il segmento più politicizzato della società civile lampedusana, negli ultimi anni si è dedicato a un’attività di denuncia che potremmo interpretare in chiave specifica di “contro-narrazione” e di costruzione di una memoria alternativa al racconto ufficiale. Le commemorazioni istituzionali del naufragio del 3 ottobre 2013, in atto in questo momento, sono al centro di un dibattito critico che vuole mettere in discussione la narrazione ufficiale degli eventi, così come il frame narrativo “emozionale” che ostacola un’analisi storico-politica più strutturale delle morti nel Mediterraneo.

Nel contesto di una solidarietà svuotata a terra, il mare appare come uno spazio complementare di agibilità solidale e di contrasto alle necropolitiche, da guardare nelle sue interazioni possibili con l’accoglienza sulla terraferma. Come equipaggio della Tanimar, abbiamo avuto per qualche giorno come vicina di banchina la Louise Michel, nave di salvataggio tedesca che opera al largo della Libia. Come racconta l’equipaggio in un post di Twitter: «88 persone recuperate da un gommone. Questa mattina presto Alarm Phone ci ha informato delle persone in distress. Dopo diverse ore di ricerca e un difficile salvataggio dovuto al rapido avvicinamento della cosiddetta Guardia Costiera libica tutti sono ora a bordo della Louise Michel».

La solidarietà e le retoriche contrastanti che si generano a terra non si possono comprendere senza allargare lo sguardo allo spazio marittimo del Canale di Sicilia, in cui gli attraversamenti irregolarizzati e la criminalizzazione del salvataggio modificano le forme e le relazioni tra mare e terra.

Piccola nota finale

Piccola nota dell’avvocato generale della Corte di Giustizia nella conclusione sul caso della Seawatch3 (CdG\ue n. C-14\21, C-15\21 agosto 2022, nota 44): «Mi permetto, a questo punto, un’ultima osservazione. La vita umana e il suo salvataggio è, ovviamente, il valore prevalente (su qualsiasi altra considerazione). Tuttavia, il ‘dovere del Buon Samaritano’ non è esente da obblighi. Ad esempio, per quanto ciò possa avere un interesse, è ben vero che il Buon Samaritano del Testamento ha salvato la persona in pericolo senza esitazione. Tuttavia, egli l’ha trasportata in un luogo sicuro (una locanda) a proprie spese, con il mezzo di trasporto più sicuro (il proprio asino), si è preso cura di tale persona senza trasferire tale onere su altri e ha dato il proprio denaro al locandiere affinché si prendesse nel frattempo cura di lei, promettendogli che ‘ciò che spenderai in più, te lo renderò al mio ritorno’. I confronti, talvolta, sono difficili…». A buon intenditore: se una ONG vuole salvare qualcuno, che lo faccia a spese sue. In una fase storica in cui la confusione tra diritti, solidarietà e carità è così grande ci capita di sentire anche questo.


L'equipaggio della Tanimar

Siamo un gruppo di ricercatrici e ricercatori delle università di Genova e Parma. Per due settimane, dal 26 settembre all’11 ottobre, attraverseremo il Mediterraneo centrale facendo tappa nei principali snodi della mobilità migrante e del controllo confinario europeo: Pantelleria, Lampedusa, Linosa, Malta.