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«Le nostre braccia, i nostri diritti»

Un dossier di braccianti, attivisti e attiviste sulle condizioni di lavoro in Sicilia a Campobello di Mazara

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Nella realtà le olive degli spensierati aperitivi italiani sono intrisi di sfruttamento delle persone e della terra”. Si apre così il Dossier «Le nostre braccia, i nostri diritti», a cura di braccianti, attivisti e attiviste della Casa del Mutuo Soccorso FuoriMercato Sicilia, che con la collaborazione di altre associazioni, reti e comitati, ha cercato di fare il punto sulle condizioni di vita dei braccianti a Campobello di Mazara in provincia di Trapani. In questa terra dai colori vivaci, intrisa di archeologia e di memoria storica, si consuma in questi decenni una delle più atroci storie di sfruttamento e marginalizzazione in Italia, non solo in ambito agricolo, ma anche della manodopera e dell’abitare. Il dossier analizza questi tre aspetti punto per punto.

Agricoltura

Stando ai dati forniti dal Dossier, tra Campobello di Mazara, Castelvetrano e Partanna si produce il 42% delle olive da tavola consumate in Italia. Dietro questa enorme produzione, in grado di soddisfare quasi la metà del fabbisogno nazionale, vi sono “montagne di rifiuti e capanne costruite con teli ed eternit, in contesti privi di acqua, energia elettrica, servizi igienico sanitari”. La forza reclutata per il lavoro degli uliveti ammonta a circa 1.500 persone, lavoratori stagionali provenienti da ogni parte d’Italia. Inizio della giornata alle 7 e termine alle 16. Ogni lavoratore raccoglie a mano una media di 12 cassette da 20 kg al giorno. Pagamento a cottimo: circa 4/5€ a cassetta.

Lo sfruttamento dei braccianti, in realtà, risulta essere solo lo sfruttamento dell’ultimo e più debole anello della catena: se il prezzo delle olive riconosciuto ai braccianti è di circa 20/30 centesimi al chilo, quello riconosciuto al produttore è di circa 1,30€ al chilo: sottraendo i costi per la raccolta, ai produttori resta un euro al chilo. Con questo esile ricavo i produttori devono gestire le proprie aziende, spesso di piccole dimensioni, per le quali il pagamento, oltretutto, non avviene contestualmente al conferimento del prodotto, né alla fine del periodo di raccolta, ma circa 6-8 mesi dopo.

Accanto alla piccola produzione, vi è la filiera delle grandi catene distributive, con olive provenienti prevalentemente da Grecia e Spagna, vendute in supermercato a prezzi che possono raggiungere i 15€ al chilo.

Le agricolture contadine, condotte nelle piccole aziende secondo modalità antiche, radicate nel territorio e naturalmente rispettose verso l’ambiente, vengono schiacciate dal modello agricolo industriale, con fabbriche inquinanti e iper-specializzate, che oltre a costituire un danno per l’ambiente hanno perso, in ogni loro componente, quel radicamento alla terra che fa tutto il valore spirituale e immateriale della produzione contadina. Negli ultimi trent’anni, le aziende agricole italiane sono passate da 3 milioni a 1,4 milioni, e continuano a diminuire.

La rete di associazioni che ha elaborato il Dossier rivendica dunque che si possa tornare a valorizzare i circuiti di produzione locali, che rendano protagonisti i produttori di piccola scala: solo così il lavoro manuale di queste forme produttive potrà essere di nuovo riconosciuto e retribuito in maniera dignitosa.

Lavoro

Si affronta quindi il tema del lavoro nero. Secondo gli autori, per mezzo dell’invisibilizzazione giuridica, il lavoro nero ha permesso di perpetuare un sistema produttivo basato sulla manodopera a basso costo, producendo insediamenti informali di lavoratori ai margini dei centri abitati, senza tutele su orari di lavoro e retribuzione, su sicurezza e igiene. Ha inoltre forzato a permanere nell’irregolarità quei migranti che, pur muniti di permesso di soggiorno o di uno status di richiedenti asilo, hanno difficoltà a trovare un lavoro regolare. Le ore o le giornate di lavoro, pagate a cottimo anziché sulla base delle ore svolte o del salario minimo previsto dal Contratto collettivo, non sono dichiarate dal datore di lavoro all’INPS, e ciò gli permette un importante risparmio in termini previdenziali e fiscali. I migranti sottoposti a queste forme irregolari di occupazione sono privati dell’indennità di disoccupazione e, non potendo dichiarare la loro reale occupazione, possono incontrare difficoltà nel rinnovo dei documenti necessari per permanere regolarmente in Italia.

Il livello di sfruttamento dei migranti si aggrava a seconda del tipo di permesso di soggiorno posseduto, e in particolare ne risentono i richiedenti asilo e i titolari di protezione umanitaria o speciale, ovvero le categorie di migranti i cui permessi richiedono un lavoro regolare.

La rete di associazioni autrici del Dossier chiede dunque che venga ripensato l’intero impianto delle tutele giuridiche per fornire alle vittime di reato gli strumenti adeguati a impedire di permanere in condizioni di vulnerabilità, e consentire così ai migranti di emergere dall’irregolarità lavorativa e così dalla condizione di sfruttamento.

Abitare

La Sicilia è inoltre segnata da un decennale problema di integrazione dei migranti che a partire dal 2011, con la cosiddetta “Emergenza Nord Africa”, hanno cominciato ad affacciarsi sulle nostre coste. A partire dal 2011, dunque, l’alloggio dei migranti rimbalza tra campi e insediamenti informali e le strutture di accoglienza. Questa situazione è stata appesantita ulteriormente dalla graduale chiusura di vie di accesso ordinarie, una scelta politica che ha fatto di tutti coloro che non rientrano nel “decreto flussi” dei migranti “irregolari”, rendendo l’irregolarità un fatto strutturale. Si menziona inoltre il tema della sanatoria del 2020, emanata in piena emergenza covid, dopo il primo lockdown. Si evidenza in particolare che l’apertura della sanatoria in quell’occasione ricalca una strategia politica già nota, basata sul ricorso a un provvedimento di tipo emergenziale, che considera l’irregolarità “come un fatto congiunturale (e dunque sanabile) e non come il risultato strutturale della chiusura delle vie d’accesso legali (quindi come il prodotto stesso delle politiche)”.

Di fronte a questa situazione, gli autori del report rivendicano un campo degno e autogestito, un servizio di accoglienza a bassa soglia che diventi strutturale e non si limiti a offrire soluzioni di emergenza per colmare lacune istituzionali; in concreto, si chiede di costruire dei dormitori ricavati nelle case e nei beni sfitti tra i Comuni di Campobello e Castelvetrano.

Qualche considerazione

Le condizioni dei lavoratori sono inestricabilmente legate all’infrastruttura che regola i rapporti di lavoro e la produzione. L’innesto, oltretutto forzato, di una forma di produzione industriale e di larga scala in Sicilia, ha imposto un nuovo ritmo produttivo e quindi nuovi listini di prezzo, e i piccoli produttori, che ancora lavorano secondo modalità agricole tradizionali, non hanno potuto reggerne la competizione. Lo sfruttamento dei lavoratori è anche lo specchio di un dislivello di economie agricole. L’impoverimento e l’abbruttimento non riguarda soltanto le condizioni dei lavoratori, ma coinvolge l’intero sistema produttivo da cima a fondo, e condiziona il modo stesso di pensare il lavoro, inteso non più come arte e patrimonio sapienziale detenuti da tutti i soggetti che contribuiscono alla produzione, ma come produzione meccanica ed estensiva, nella quale le persone nei campi svolgono il ruolo di una mera componente della complessa catena di montaggio che in numerosi passaggi trasforma la terra in prodotto da vendere sul grande mercato. Privare i lavoratori stessi della possibilità di osservare, gestire e organizzare tutti i passaggi della produzione rende competitivi i prezzi, ma toglie ai lavoratori la facoltà di esercitare il pensiero sul proprio lavoro. Questa è la forma più atroce di svalutazione che si può compiere nei confronti degli esseri umani.

Rossella Marvulli

Ho conseguito un master in comunicazione della scienza. Sono stata a lungo attivista e operatrice nelle realtà migratorie triestine. Su Melting Pot scrivo soprattutto di tecnologie biometriche di controllo delle migrazioni sui confini europei.