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Mascolinità in gioco lungo la Rotta Balcanica

Tesi di laurea in Antropologia Culturale di Arianna Egle Ventre

Ph: No Name Kitchen

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Alma Mater Studiorum – Università degli Studi di Bologna
Corso di laurea in Antropologia, religioni, civiltà orientali

Mascolinità in gioco lungo la Rotta Balcanica
Un’esplorazione critica del confine da una prospettiva di genere

di Arianna Egle Ventre (Anno Accademico 2019/2020)

Introduzione

Non esistendo a priori, il confine è un processo in itinere che non giunge mai ad un compiutezza; è uno spazio in costruzione la cui irresolutezza è meglio descritta dal termine inglese bordering, dove la desinenza in -ing si realizza attraverso pratiche eterogenee, necessarie a dare significato stesso alla parola border. La frontiera si realizza solo nel momento in cui è affermata, motivo per cui la visibilità delle pratiche di bordering, o almeno parte di esse, è irrinunciabile per la sua esistenza.

Pratiche e rappresentazioni interagiscono dando vita a spazi di frontiera, dove i corpi delle soggettività migranti ‘irregolari’ diventano il primo campo conflittuale di bordering. Il confine vive e sopravvive mediante pratiche sistematiche che si incorporano nell’identità di genere migrante, altamente performativa e intrinsecamente relazionale.

Essendo la donna migrante rappresentata come vittima della sua stessa cultura, secondo un dualismo cultura-civiltà di stampo nettamente coloniale, l’uomo è costruito come, utilizzando un termine inglese che meglio rende, ‘the racialized and gendered Other’. Inoltre le donne migranti vengono considerate necessariamente vittime della propria illegalità e la categoria di ‘illegale’ viene mascolinizzata: la gestione securitaria della frontiera obbliga le mascolinità in movimento a partecipare ad un gioco, che se dovesse venir meno, metterebbe in discussione la mascolinità tutta, considerata come essenza.

In questa ricerca, l’analisi della violenza plurale della frontiera segue una prospettiva di genere in grado di svelare le dinamiche neocoloniali e patriarcali che orientano la logica dei regimi di mobilità attuali.

Lo studio si focalizza sulla Rotta Balcanica, rotta che attraversa una zona complessa, impregnata degli immaginari propri del balcanismo; per questo motivo rivolgervi uno sguardo etnografico può lasciar emergere l’ambiguità che impedisce una netta distinzione tra border e boundaries. Districando le molteplici dimensioni ambigue della frontiera è possibile individuare uno spazio d’azione dalle potenzialità critiche, entro il quale si sviluppano le narrative migranti. Per arrivare in Europa non c’è altra scelta che partecipare al gioco della frontiera, game, come chiamati dalle persone in transito il tentativo di raggiungere l’UE. Dove il confine si fa carne sono le mascolinità stesse a mettersi in gioco. Ma il confine esiste finché è tenuto in vita, le categorie si riproducono finché vi è un’azione di bordering a mantenerle. Che non sia allora anche il concetto stesso di mascolinità ad essere in gioco?

Occorre sottolineare che lo studio è generato dall’esperienza con l’ong No Name Kitchen e non viceversa, dove la mia presenza sul campo è stata soprattutto come volontaria ed amica, non come ricercatrice esterna. Ciò non toglie base scientifica alla ricerca, poiché essa sorge da una lunga riflessione critica e autocritica fondata sull’osservazione della realtà nella sua inevitabile dialetticità tra oggettivo e soggettivo.