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Turchia: centinaia di rifugiati deportati in Siria

Il rapporto di Human Rights Watch: l'UE dovrebbe riconoscere che la Turchia non è un luogo sicuro per i richiedenti asilo

Ph: Deportation Monitoring Aegean

Il rapporto di Human Rights Watch 1 – basato su decine di interviste con siriani rimpatriati – racconta i raid della polizia nelle fabbriche e nei quartieri, gli arresti arbitrari delle persone nonostante il permesso di protezione temporanea (la Turchia applica la Convenzione di Ginevra solo per i cittadini europei), le detenzioni nei centri pre-rimpatrio, luoghi di violenza fisica e psicologica finanziati con i soldi europei, come quello di Tuzla ad Istanbul. Infine, i viaggi in manette fino ai border crossings di Öncüpınar/Bab al-Salam o Cilvegözü/Bab al-Hawa, e gli attraversamenti del confine ad arma puntata, non prima di aver firmato sotto ricatto i documenti di rimpatrio volontario. Del rapporto abbiamo parlato nell’approfondimento «La Turchia non è un paese sicuro. E la Grecia nemmeno» di Giovanni Marenda.
Pubblichiamo la traduzione del documento di HRW.

Le aree di controllo della Siria ad oggi, ottobre 2022. Da Humans Rights Watch

(Istanbul) – Secondo quanto riferito oggi da Human Rights Watch, tra febbraio e luglio 2022 le autorità turche hanno arbitrariamente arrestato, detenuto e deportato centinaia di uomini e ragazzi, rifugiati siriani, in Siria.

Alcuni cittadini siriani deportati hanno raccontato a Human Rights Watch che i funzionari turchi li hanno arrestati nelle loro case, sui luoghi di lavoro e per strada, li hanno detenuti in condizioni pessime, picchiati e hanno abusato della maggior parte di loro, li hanno costretti a firmare moduli di rimpatrio volontario, li hanno spinti ai valichi di frontiera con la Siria settentrionale e li hanno costretti a passare sotto la minaccia delle armi.

«In violazione del diritto internazionale, le autorità turche hanno fermato centinaia di rifugiati siriani, anche minori non accompagnati, e li hanno costretti a tornare nel nord della Siria», ha detto Nadia Hardman, ricercatrice sui diritti dei rifugiati e dei migranti presso Human Rights Watch. «Sebbene la Turchia abbia garantito la protezione temporanea a 3,6 milioni di richiedenti asilo siriani, sembra che ora stia cercando di rendere la Siria settentrionale una discarica di rifugiati».

I recenti segnali provenienti dalla Turchia e da altri governi indicano la concreta possibilità di una normalizzazione delle relazioni con il presidente siriano Bashar al-Assad. Nel maggio 2022, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha annunciato la sua intenzione di ritrasferire un milione di rifugiati nel nord della Siria, in aree non controllate dal governo, nonostante la Siria rimanga un luogo pericoloso per i rifugiati che vi tornano. Molti di quelli rimpatriati sono originari di aree controllate dal governo, ma anche se riuscissero a ritornarvi, rimane il fatto che è lo stesso governo siriano ad aver prodotto oltre sei milioni di rifugiati e commesso gravi violazioni dei diritti umani contro i propri cittadini anche prima dell’inizio delle rivolte.

Le deportazioni costituiscono una netta contrapposizione alla documentata generosità della Turchia, ospite di più rifugiati di qualsiasi altro paese al mondo e quasi quattro volte più dell’intera Unione Europea (UE) e a cui l’UE ha garantito miliardi di euro in finanziamenti per gli aiuti umanitari e per la gestione dei flussi migratori.

Tra febbraio e agosto, Human Rights Watch ha intervistato per telefono o di persona 37 uomini siriani e 2 ragazzi siriani in Turchia che avevano fatto richiesta per l’ottenimento della protezione temporanea. Human Rights Watch ha anche intervistato sette parenti di uomini rifugiati siriani e una donna rifugiata che le autorità turche hanno deportato nel nord della Siria durante questo periodo.

Human Rights Watch ha inviato lettere con quesiti e risultati alla Commissione Europea, alla Direzione generale della Commissione europea per la migrazione e gli affari interni e al Ministero dell’interno turco. Human Rights Watch ha ricevuto una risposta da Bernard Brunet, della Direzione generale dell’Unione per l’allargamento e la Politica di vicinato. Il contenuto di questa lettera è riportato nella sezione sui centri di detenzione amministrativa pre-espulsione.

I funzionari turchi hanno deportato 37 delle persone intervistate nel nord della Siria. Tutti hanno detto di essere stati deportati insieme a decine o addirittura centinaia di altre persone. Tutti hanno detto di essere stati costretti a firmare dei moduli nei centri di detenzione amministrativa pre-espulsione o al confine con la Siria. Hanno detto che i funzionari non avevano permesso loro di leggere i moduli e non ne avevano spiegato il contenuto, ma tutti hanno affermato di aver capito che firmando i moduli avrebbero accettato il rimpatrio volontario. Alcuni hanno raccontato che i funzionari coprivano con le mani la parte del modulo scritta in arabo. La maggior parte ha detto di aver visto le autorità di questi centri di detenzione riservare lo stesso trattamento ad altri cittadini siriani.

Molti hanno affermato di aver visto funzionari turchi picchiare alcuni uomini che inizialmente si erano rifiutati di firmare, costringendoli così a farlo. Due uomini detenuti in un centro di detenzione ad Adana hanno detto che gli era stata presentata l’alternativa o di firmare un modulo e tornare in Siria o di essere detenuti per un anno. Entrambi hanno scelto di andarsene perché non potevano sopportare il pensiero di un anno di detenzione e avevano bisogno di sostenere le loro famiglie.

Dieci persone non sono state deportate. Alcune sono state rilasciate sotto la minaccia di deportazione se fossero state nuovamente fermate fuori dalla loro città di registrazione. Altre, grazie all’intervento delle loro famiglie, sono riuscite a contattare un avvocato che aiutasse a garantire il loro rilascio. Molti si trovano ancora nei centri di detenzione in attesa di una risoluzione del loro caso, ignari del motivo per cui sono detenuti e temendo la deportazione. Quelli rilasciati hanno descritto la vita in Turchia come pericolosa, affermando di rimanere a casa con le tende chiuse e di limitare i movimenti per evitare le autorità turche.

I deportati sono stati prelevati dai centri e condotti al confine, alcuni di loro affrontando tragitti che potevano durare fino a 21 ore, ammanettati per tutto il viaggio. Hanno affermato di essere stati costretti ad attraversare i posti di blocco frontalieri a ÖnCüpınar / Bab al-Salam o Cilvegözü / Bab al-Hawa, che portano in aree non controllate dal governo siriano. Alla frontiera, un uomo di 26 anni di Aleppo ha raccontato di aver sentito un funzionario turco dire:

«Spareremo a chiunque cerchi di tornare indietro».

Nel giugno 2022, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha detto che quest’anno (quindi nei primi sei mesi del 2022) 15.149 rifugiati siriani erano stati fatti ritornare volontariamente in Siria. Le autorità locali che controllano i valichi di frontiera di Bab al-Hawa e Bab al-Salam rendono mensilmente pubblico il numero di persone che attraversano i loro posti di blocco dalla Turchia alla Siria. Tra febbraio e agosto 2022, 11.645 persone sono rientrate attraverso Bab al-Hawa e 8.404 attraverso Bab al-Salam.

La Turchia è vincolata da trattati e consuetudini del diritto internazionale a rispettare il principio di non-respingimento, che vieta il ritorno di chiunque in un luogo in cui si troverebbe ad affrontare un rischio reale di persecuzione, tortura o altri maltrattamenti, o dove la sua vita sarebbe in pericolo. La Turchia non deve costringere le persone a tornare in luoghi in cui la loro vita è in serio pericolo. La Turchia dovrebbe proteggere i diritti fondamentali di tutti i cittadini siriani, indipendentemente da dove sono registrati e non dovrebbe deportare i rifugiati che vivono e lavorano in una città diversa da quella in cui sono stati inizialmente registrati la loro carta di protezione temporanea e l’indirizzo.

Il 21 ottobre Savaş ÜnLü, a capo della Presidenza per la gestione della migrazione, ha risposto per iscritto 2 alla lettera di Human Rights Watch del 3 ottobre che condivide i risultati di questo rapporto. Sottolineando che la Turchia ospita il maggior numero di rifugiati al mondo, ÜnLü ha respinto le conclusioni di Human Rights Watch nella loro totalità, definendo le accuse prive di fondamento. Dopo aver elencato i servizi garantiti dalla legge alle persone che cercano protezione in Turchia, ha sottolineato che la Turchia «gestisce i flussi migratori in conformità con il diritto nazionale e internazionale».

«L’Unione europea e i suoi stati membri dovrebbero riconoscere che la Turchia non soddisfa i criteri di un paese terzo sicuro e sospendere il finanziamento della detenzione dei migranti e dei controlli alle frontiere fino a quando non cesseranno le deportazioni forzate», ha detto Hardman. «Dichiarare la Turchia un ‘paese terzo sicuro‘ è in contraddizione con l’entità delle deportazioni di rifugiati siriani nel nord della Siria. Gli Stati membri non dovrebbero fare simili dichiarazioni e dovrebbero concentrarsi su una più efficiente ricollocazione dei richiedenti asilo».

Human Rights Watch si è concentrato sulla deportazione dei rifugiati siriani a cui era stata riconosciuta la protezione temporanea in Turchia, ma che le autorità hanno comunque deportato o minacciato di deportare in Siria nel 2022. Prima di essere arrestati, detenuti e nella maggior parte dei casi deportati, tutti i 47 rifugiati siriani i cui casi sono stati esaminati vivevano e lavoravano in città sparse per la Turchia, la maggior parte a Istanbul. Tutti i detenuti sono identificati con pseudonimi per tutelare la loro sicurezza.

Tutti gli intervistati (ad esclusione di due) avevano un permesso di protezione temporanea turco quando vivevano in Turchia, comunemente chiamato kimlik, il quale tutela i rifugiati siriani dal rientro forzato in Siria. Molti hanno affermato di possedere sia un documento di protezione temporanea sia un permesso di lavoro.

Rifugiati, richiedenti asilo e migranti in Turchia

La Turchia ospita oltre 3,6 milioni di cittadini siriani ed è il primo paese ospitante di rifugiati al mondo. Secondo la limitazione geografica che la Turchia ha applicato alla sua adesione alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, i cittadini siriani e quelli provenienti da paesi a sud e ad est dei confini della Turchia non hanno accesso allo status di rifugiato “completo“. I rifugiati siriani sono registrati in ottemperanza a un regolamento di “protezione temporanea“, che secondo le autorità turche si applica automaticamente a tutti i cittadini siriani in cerca di asilo.

Il Regolamento sulla protezione temporanea della Turchia garantisce ai rifugiati siriani l’accesso ai servizi di base, tra cui l’istruzione e l’assistenza sanitaria, ma generalmente prevede che vivano nella provincia in cui sono registrati. I rifugiati devono ottenere un permesso per spostarsi tra le varie province. Alla fine del 2017 e all’inizio del 2018, Istanbul e nove province al confine con la Siria avevano sospeso le registrazioni dei richiedenti asilo appena arrivati.

Nel febbraio 2022, il vice ministro dell’Interno turco Ismail Çataklı aveva dichiarato che le domande di protezione temporanea e internazionale non sarebbero state accettate in 16 province: Ankara, Antalya, Aydın, Bursa, Çanakkale, Düzce, Edirne, Hatay, Istanbul, Izmir, Kırklareli, Kocaeli, Muğla, Sakarya, Tekirdağ e Yalova. Aveva anche affermato che le domande di permesso di soggiorno da parte di stranieri non sarebbero state accettate in nessuno dei quartieri in cui il 25% o più della popolazione era composta da stranieri. Ha riferito che le registrazioni erano già state chiuse in 781 quartieri in tutta la Turchia perché gli stranieri in quelle località superavano il 25% della popolazione.

A giugno, il ministro dell’Interno Süleyman Soylu ha dichiarato che dal 1 luglio in poi la percentuale sarebbe stata ridotta al 20% e il numero di quartieri chiusi alla registrazione degli stranieri sarebbe aumentato a 1.200, con la revoca dello status di protezione temporanea ai siriani che hanno raggiunto il paese senza richiedere il permesso. Molti degli intervistati hanno spiegato di non riuscire a trovare lavoro nella loro città di registrazione e di non potere quindi sopravvivere lì, ma di poterlo trovare ad Istanbul.

Xenofobia in aumento in Turchia

Negli ultimi due anni è stato registrato un aumento di attacchi razzisti e xenofobi contro gli stranieri, in particolare contro i cittadini siriani. L’11 agosto 2021 alcuni gruppi di residenti turchi hanno attaccato luoghi di lavoro e case di siriani in un quartiere di Ankara, un giorno dopo l’uccisione di un giovane turco accoltellato da un cittadino siriano durante una rissa.

In vista delle elezioni politiche della primavera 2023, i politici dell’opposizione hanno fomentato il sentimento anti-rifugiati durante i loro comizi dicendo che i siriani dovrebbero ritornare in una Siria dilaniata dalla guerra. Il governo di coalizione del presidente Erdoğan ha risposto promettendo di reinsediare i siriani nelle aree occupate dalla Turchia nel nord della Siria.

Arresti

La maggior parte degli intervistati sono stati arrestati per le strade di Istanbul, altri durante le incursioni nei loro luoghi di lavoro o case. I funzionari che li hanno arrestati a volte si presentavano come agenti di polizia turchi e tutti chiedevano di vedere i documenti di identificazione dei rifugiati.

Secondo la normativa turca sulla protezione temporanea, i rifugiati siriani sono tenuti a vivere nella provincia in cui si registrano al loro arrivo. Diciassette di questi 47 rifugiati vivevano e lavoravano nella loro città di registrazione, mentre gli altri vivevano e lavoravano in un’altra provincia.

Cinque rifugiati hanno dichiarato di essere stati arrestati a causa di denunce o false accuse da parte di vicini o datori di lavoro, che passavano dal fare troppo rumore ad accuse di terrorismo. Tutti i rifugiati hanno detto che queste accuse non avevano alcun fondamento. Quattro di loro sono stati assolti, rilasciati o deportati; un uomo è ancora indagato.

Detenzione

All’arresto, i rifugiati siriani sono stati brevemente portati nelle stazioni di polizia locali o direttamente in un centro di detenzione amministrativa pre-espulsione, solitamente nel Centro di Tuzla ad Istanbul. Altri centri di detenzione amministrativa pre-espulsione includevano Pendik, Adana, Gaziantep e Urfa. In tutti i casi, i funzionari turchi avevano confiscato i telefoni, i portafogli e altri oggetti personali dei cittadini siriani arrestati.

Le autorità hanno ignorato le richieste dei rifugiati di contattare i loro familiari o avvocati. Un uomo che aveva richiesto di parlare con un avvocato ha raccontato che un ufficiale della stazione di polizia gli aveva risposto: “‘Hai commesso qualche reato?’” Quando ho detto ‘no’, ha detto, ‘Allora non hai bisogno di chiamare un avvocato.’”

Tutti gli intervistati hanno detto di essere stati detenuti dalle autorità turche in stanze anguste e insalubri in vari centri di detenzione amministrativa pre-espulsione. I letti erano pochi e gli intervistati hanno raccontato di essere spesso stati costretti a condividerli. I rifugiati hanno spiegato che di solito erano divisi in base alla nazionalità e sono stati generalmente trattenuti con altri cittadini siriani. I ragazzi minorenni venivano detenuti con uomini adulti.

Sebbene alcuni centri di detenzione amministrativa pre-espulsione offrissero condizioni migliori di altri, tutti gli intervistati hanno descritto la mancanza di adeguato accesso al cibo e ai servizi igienici, così come altre condizioni insalubri. A Tuzla, dove la maggior parte degli intervistati è passata, i siriani hanno descritto di essere stati trattenuti all’esterno in aree descritte come “campi da basket” per ore e ore in attesa di ricevere uno spazio, che di solito era all’interno di un container metallico angusto.

Ahmad” ha descritto le condizioni del cento di detenzione amministrativa pre-espulsione di Tuzla, dove insieme a dei minori è stato detenuto in container di metallo sovraffollati:

«C’erano sei letti nella mia cella e ogni letto doveva essere condiviso da due o tre persone; nella mia cella, c’era un ragazzino di 16 anni e uno di 17. All’inizio eravamo in 15 [nella cella] ma poi sono arrivate più persone. Siamo stati 12 giorni senza fare la doccia perché non ce n’era una».

Percosse e maltrattamenti

Tutti gli intervistati hanno dichiarato di essere stati aggrediti dai funzionari turchi nei centri di detenzione o di aver assistito a funzionari che prendevano a calci o picchiavano altri siriani a mani nude o utilizzando manganelli di legno o di plastica. “Fahad“, un uomo di 22 anni di Aleppo, ha descritto le percosse nel centro di detenzione amministrativa pre-espulsione di Tuzla:

«Sono stato picchiato a Tuzla…. Ho fatto cadere per sbaglio il mio pezzo di pane e ho cercato di raccoglierlo dal pavimento. Un agente mi ha preso a calci e sono caduto. Ha iniziato a picchiarmi con un bastone di legno. Non riuscivo a difendermi. Ho assistito ai pestaggi di altre persone. La sera se le persone fumavano venivano picchiate. Loro [le guardie] ci umiliavano in continuazione. Un uomo stava fumando… cinque guardie hanno iniziato a picchiarlo con violenza lasciandolo con un occhio nero e blu e lo hanno picchiato sulla schiena con un bastone. E tutti coloro che hanno cercato di intervenire sono stati a loro volta picchiati».

Ahmad“, un uomo di 26 anni di Aleppo, ha raccontato di essere stato arrestato dalla polizia turca sul suo posto di lavoro (una sartoria a Istanbul) per poi essere portato al centro di detenzione amministrativa pre-espulsione di Tuzla dove è stato duramente picchiato in più occasioni:

«Sono stato picchiato tre volte a Tuzla; l’ultima volta è stata la più dura per me. Polemizzavo sul fatto che mi sarebbe dovuto essere permesso di uscire dalle porte della prigione, mi sarebbero dovute essere concesse delle pause. Le guardie avevano imprecato e insultato me e la mia famiglia. Dissi che mi sarei lamentato con il loro direttore. Mi hanno picchiato il volto con un bastone di legno, e [le guardie] mi hanno rotto i denti».

Ahmad è stato infine deportato nel nord della Siria attraverso il valico di frontiera di Bab al-Salam e ora si trova nella città di Azaz, attualmente sotto il controllo del governo siriano ad interim sostenuto dalla Turchia (un gruppo di opposizione) poiché non può accedere alla città di Aleppo, controllata dal governo siriano, essendo ricercato dall’esercito siriano. «Sono fuggito dalla guerra [in Siria] perché sono contro la violenza», ha detto. «Ora [le autorità turche] mi hanno rimandato qui. Voglio solo essere al sicuro».

Hassan“, un ex prigioniero politico di 27 anni sopravvissuto alle torture di Damasco, è stato arrestato a casa sua quando i suoi vicini si sono lamentati del rumore proveniente dal suo appartamento. Ha trascorso alcuni mesi essendo trasferito tra vari centri di detenzione amministrativa pre-espulsione. All’ultimo, gli è stato detto di firmare un modulo di rimpatrio volontario. Dopo essersi rifiutato di firmare, Hassan ha detto di essere stato messo «in una gabbia, come una gabbia per un cane. Era di metallo, circa 1,5 metri per un metro. Quando batteva il sole nella gabbia faceva caldissimo».

In occasione del suo primo arresto Hassan era riuscito a contattare sua moglie prima che gli venisse confiscato il telefono. Lei era riuscita a trovare un avvocato che aveva ottenuto il suo rilascio.

Costretti a firmare moduli di “rimpatrio volontario

Molti deportati hanno detto che i funzionari turchi – riferendosi sia a guardie del centro di detenzione amministrativa pre-espulsione, che a funzionari che descrivevano come “polizia” o “jandarma” – utilizzavano la violenza o la minaccia di violenza per costringerli a firmare moduli di rimpatrio “volontario”.

Human Rights Watch ha raccolto testimonianze che indicano che i deportati sono stati costretti a firmare moduli di “rimpatrio volontario” nei centri di detenzione amministrativa pre-espulsione di Adana, Tuzla, Gaziantep e Diyarbakır e in un ufficio per la migrazione a Mersin.

Mustafa“, un uomo di 21 anni di Idlib, è stato arrestato per strada nel quartiere Esenyurt di Istanbul. Dopo diversi giorni in un centro di detenzione amministrativa pre-espulsione a Pendik era stato trasferito ad Adana, dove ha passato una notte in una piccola cella con altri 33 uomini siriani. Il mattino seguente, ha detto Mustafa, un ufficiale di jandarma era venuto a portare i detenuti ad uno ad uno in un’altra stanza:

«Quando è arrivato il mio turno, hanno portato due di noi in una stanza dove c’erano quattro funzionari: un jandarma, un uomo in borghese, il direttore [del centro di detenzione di Adana] e un interprete. Vidi tre persone sedute sul pavimento sotto il tavolo che erano state prelevate prima dalla nostra cella e i loro volti erano gonfi.

L’interprete aveva chiesto all’uomo che era con me di firmare alcuni documenti, che si era però rifiutato una volta accortosi che uno dei moduli era per il rimpatrio volontario. Il jandarma e l’uomo in borghese hanno iniziato a colpirlo con pugni, calci e manganellate. Dopo circa 10 minuti gli avevano legato le mani e lo avevano lasciato accanto agli uomini già sul pavimento sotto il tavolo. L’interprete mi aveva chiesto se volevo che mi accadesse quello che era accaduto agli altri. Ho detto di no e ho firmato il documento».

Mustafa è stato poi deportato dal valico di frontiera Cilvegözü / Bab al-Hawa e ora si trova nella città di al-Bab, nella provincia settentrionale di Aleppo.

La Siria continua a non essere un luogo sicuro per i rimpatri

La maggior parte delle persone intervistate ha dichiarato di provenire da aree della Siria controllate dal governo. Hanno spiegato di non poter passare dalle aree controllate dall’opposizione nel nord della Siria per poter raggiungere i loro luoghi di origine, per paura che le agenzie di sicurezza siriane li arrestino arbitrariamente o violino i loro diritti. I deportati nel nord della Siria hanno detto a Human Rights Watch di sentirsi “bloccati” lì, incapaci di andare a casa o di crearsi una vita in mezzo all’instabilità degli scontri nel nord della Siria.

«Non posso tornare a Damasco perché è troppo pericoloso», ha detto in un’intervista telefonica “Firaz“, 31 anni, che proviene dalla campagna di Damasco ed è stato deportato dalla Turchia nel luglio 2022 e ora vive ad Afrin, nel nord della Siria. «Ci sono combattimenti e scontri [ad Afrin]. Cosa posso fare? Dove posso andare?»

Nell’ottobre 2021 Human Rights Watch ha documentato che i rifugiati siriani che sono tornati in Siria tra il 2017 e il 2021 dal Libano e dalla Giordania sono stati vittima di gravi violazioni dei diritti umani e persecuzioni per mano del governo siriano e delle milizie affiliate, dimostrando che la Siria non è sicura per i rimpatri.

Mentre le ostilità attive potrebbero essere diminuite negli ultimi anni, il governo siriano ha continuato a infliggere ai cittadini gli stessi abusi che li hanno portati a fuggire, tra cui detenzione arbitraria, maltrattamenti e torture. A settembre la Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sulla Siria ha concluso ancora una volta che la Siria non è sicura per i rimpatri.

Oltre alla paura di arresti e persecuzioni, 10 anni di conflitto hanno decimato le infrastrutture e i servizi sociali della Siria, con conseguenti enormi necessità di aiuti umanitari. All’inizio del 2021 oltre 13 milioni di siriani avevano bisogno di assistenza umanitaria. Milioni di persone nel nord-est e nel nord-ovest della Siria, molte delle quali sono sfollati interni, fanno affidamento sul flusso transfrontaliero di cibo, medicine e altri aiuti salvavita.

Diritto internazionale

La Turchia è parte del Patto internazionale sui diritti civili e politici (ICCPR) e della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, ed entrambi vietano l’arresto e la detenzione arbitrari e trattamenti inumani e degradanti. Se la Turchia trattiene una persona per deportarla, ma non vi è alcuna prospettiva realistica di farlo (ad esempio se la sua incolumità è a rischio nel paese di destinazione o se non è in grado di contestare la propria espulsione), la detenzione è da considerarsi arbitraria.

Inoltre, la Convenzione europea, l’ICCPR, la Convenzione contro la tortura e la Convenzione sui rifugiati del 1951 prevedono che la Turchia rispetti il principio di non respingimento, che vieta il rimpatrio di chiunque in un luogo in cui si troverebbe ad affrontare un rischio reale di persecuzione, tortura o altri maltrattamenti o minacce alla sua vita.

La Turchia non può usare la violenza o la minaccia di violenza o detenzione per costringere le persone a tornare nei luoghi in cui la loro incolumità è a rischio. Questo include i richiedenti asilo siriani, che hanno secondo la legge turca automaticamente diritto alla protezione, compresi quelli a cui è stata negata la registrazione per la protezione temporanea dalla fine del 2017. È importante che ciò si applichi anche ai rifugiati che hanno cercato lavoro al di fuori della provincia in cui sono registrati. I minori non dovrebbero mai essere detenuti per motivi esclusivamente legati al loro status di immigrazione, o detenuti insieme ad adulti a loro non imparentati.

Finanziamenti dell’Unione europea per la gestione della migrazione della Turchia

L’attuazione dell’accordo del marzo 2016 tra UE e Turchia che mirava a controllare il numero di migranti che raggiungevano l’Unione europea rimandandoli in Turchia, si basa sulla premessa fallace che la Turchia sia un paese terzo sicuro in cui rimpatriare i richiedenti asilo siriani. Tuttavia, la Turchia non ha mai rispettato i criteri di sicurezza dei paesi terzi come definiti dalla normativa dell’Unione. Le recenti deportazioni violente evidenziano che qualsiasi siriano forzatamente respinto dall’UE in Turchia correrebbe il rischio di un ulteriore respingimento in Siria.

Nel giugno 2021, il governo greco ha adottato una decisione ministeriale congiunta che definisce la Turchia come paese terzo sicuro per i richiedenti asilo provenienti da Siria, Afghanistan, Pakistan, Bangladesh e Somalia.

I centri di detenzione amministrativa pre-espulsione (Removal Centres) della Turchia sono stati costruiti e mantenuti grazie ai considerevoli finanziamenti dall’Unione Europea. Prima del 2016 nel contesto dello Strumento di assistenza preadesione (IPA I e IPA II), l’Unione europea ha stanziato più di 89 milioni di euro per la costruzione, la ristrutturazione o ulteriori interventi di supporto dei centri in Turchia. Nel 2007 e nel 2008 circa 54 milioni di euro di questo finanziamento sono stati destinati alla costruzione di sette centri in sei province con una capienza totale di 3.750 persone. Nel 2014, ha fornito altri 6,7 milioni di euro per la ristrutturazione di 17 centri. Nel 2015, l’Unione Europea ha stanziato circa 29 milioni di euro per la costruzione di sei nuovi Removal Centres con una capienza di 2.400 persone.

A seguito dei primi 3 miliardi di euro garantiti alla Turchia nel quadro dell’accordo UE-Turchia del marzo 2016, la Facility for Refugees in Turkey (FRiT) europea ha stanziato 60 milioni di euro all’allora Direzione generale per la gestione della migrazione per «sostenere la Turchia nella gestione, nella ricezione e nell’accoglienza dei migranti, in particolare dei migranti irregolari identificati in Turchia, nonché dei migranti rimpatriati dai territori degli Stati membri dell’UE in Turchia». Questo finanziamento è stato utilizzato per la costruzione e la ristrutturazione del centro di Çankırı e per il personale di altri 22 centri di detenzione amministrativa pre-espulsione.

L’Unione Europea ha stanziato altri 22,3 milioni di euro alla DGMM per migliorare i servizi e le condizioni di vita nei centri di detenzione, compresi i finanziamenti per «il trasferimento sicuro e organizzato di migranti e rifugiati irregolari all’interno della Turchia» e 3,5 milioni di euro per «l’assistenza per lo sviluppo di competenze volte a rafforzare l’accesso ai diritti e ai servizi».

Il 21 dicembre 2021 la Commissione Europea ha annunciato un finanziamento di 30 milioni di euro per sostenere la Presidenza del Ministero dell’interno turco per la gestione della migrazione e «lo sviluppo delle competenze e miglioramento degli standard e delle condizioni per i migranti nei centri di accoglienza della Turchia per migliorare la gestione dei centri di ricezione e accoglienza in linea con gli standard dei diritti umani e gli approcci in rispetto delle differenze di genere» e per garantire «un trasferimento sicuro e dignitoso dei migranti irregolari».

Raccomandazioni

Al governo turco:
  • Porre fine agli arresti arbitrari, alla detenzione e alla deportazione dei rifugiati siriani nel nord della Siria.
  • Assicurare che i membri delle forze di sicurezza e i funzionari dell’immigrazione non usino la violenza contro i siriani o altri cittadini stranieri detenuti e che i funzionari che usano la violenza siano chiamati a risponderne.
  • Indagare in modo indipendente le azioni volte a forzare, ingannare o falsificare la firma o l’apposizione delle impronte digitali dei migranti sui moduli di “rimpatrio volontario”.
  • Consentire all’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) di accedere liberamente ai centri di detenzione amministrativa pre-espulsione, monitorare i processi di ottenimento del consenso dei cittadini siriani per il rimpatrio in Siria per assicurarsi che sia volontario e osservare i colloqui e le procedure di rimpatrio per garantire che la polizia o i funzionari dell’immigrazione non usino violenza contro i siriani o altri cittadini stranieri.
Alla Commissione Europea:
  • Chiarire pubblicamente che in base ai criteri di cui all’articolo 38 della direttiva UE sulle procedure di asilo la Turchia non è da considerarsi un paese terzo sicuro.
  • Fare pressione sulla Grecia affinché abroghi la decisione ministeriale congiunta che considera la Turchia un paese terzo sicuro e perseguire un’azione legale se ciò non dovesse accadere in un lasso di tempo ragionevole.
  • Chiedere pubblicamente alla Grecia di riesaminare tutte le decisioni di inammissibilità basate sul concetto di paese terzo sicuro in relazione a tutti i richiedenti asilo siriani.
  • Chiedere all’Agenzia dell’Unione europea per l’asilo di redigere una nuova relazione sulla Turchia come paese di origine pertinente con la designazione di paese terzo sicuro e garantire che ciò includa la situazione dei cittadini di paesi terzi in Turchia, comprese le persone in transito o in cerca di protezione internazionale in Turchia.
  • Subordinare qualsiasi finanziamento dell’Unione europea ai centri di allontanamento al pieno e libero accesso ad essi da parte del personale dell’UNHCR, del personale di monitoraggio dell’UE e di altri osservatori indipendenti, compreso l’accesso ai colloqui con i detenuti per valutare la volontarietà del rimpatrio.
  • Sviluppare una valutazione pubblica dell’impatto sui diritti umani e fare pressione sulla Turchia affinché consenta la creazione di un meccanismo di segnalazione indipendente per garantire che i finanziamenti dell’Unione europea per la gestione delle frontiere e per i centri di detenzione della Turchia non contribuiscano o perpetuino violazioni dei diritti umani.
  • Esprimersi pubblicamente, anche nel contesto della relazione annuale sulla Turchia, sulle azioni delle autorità turche per deportare illegalmente i rifugiati siriani e per forzare o costringere la firma di moduli di “rimpatrio volontario” nei centri di allontanamento, compresi quelli che hanno ricevuto finanziamenti dell’UE.
  • Chiedere pubblicamente alla Turchia di fermare le deportazioni e consentire all’UNHCR di verificare se i cittadini siriani detenuti desiderino rimanere in Turchia o tornare volontariamente in Siria.
  1. Turkey: Hundreds of Refugees Deported to Syria, HRW (ottobre 2022)
  2. Qui la lettera