Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Ph: Valentina Delli Gatti
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Pa(e)ssaggi di frontiera. La Frontera Sur Messico-Guatemala

Il 2° capitolo del reportage «Dall'altra parte del Mondo»

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Dall’altra parte del Mondo è il risultato di un lavoro di ricerca sul campo condotto durante un viaggio lungo la rotta mesoamericana dal confine sud alla frontiera nord del Messico.
Pubblicheremo i capitoli di questo reportage in 3 articoli che usciranno i mercoledì del mese di dicembre (7, 14, 21).

Alcune madri e familiari delle persone migranti scomparse lungo la rotta mesoamericana. Tapachula, Chiapas

Pa(e)ssaggi di frontiera. La Frontera Sur Messico-Guatemala

Se il corridoio migratorio Sud – Centro America – USA è segnato dall’esternalizzazione della frontiera degli Stati Uniti a nord del Messico, la violenza della traversata è inflitta ancor prima dalle rotte percorse perché propagata dalle logiche securitarie e di detenzione presenti anche alla frontiera sud della regione con quella guatemalteca e da tutta una serie di variabili che lungo le zone di passaggio espongono notevolmente le persone migranti ad imminenti e reali pericoli per la loro vita.

La frontera Sur unisce il confine degli Stati di Guatemala (e Belize in minima parte) con quello del Messico. Gli snodi lungo e attraverso il confine sono molteplici e ognuno è caratterizzato in modo particolare da condizioni che favoriscono o meno lo scambio e il transito. Messico e Guatemala condividono una frontiera di 956 chilometri, dei quali 654 corrispondono allo Stato federale messicano del Chiapas, il quale produce il livello più alto di intensità dei movimenti migratori essendo un’area che dispone di maggior ricchezza, sia naturale che economica, in particolare nella regione di Soconusco, dove si concentra la produzione agricola e la domanda più alta di manodopera per lavoratori e braccianti migranti stagionali.

In generale, la diffusa porosità della frontiera Sud, dovuta soprattutto alla carenza di risorse materiali e umane che affligge i governi messicano e guatemalteco, ha fatto si che, oltre ad un importante fenomeno di migrazione non documentata, si sviluppassero attività illecite attorno ad esso, quali il traffico di esseri umani (spesso migranti), il contrabbando di beni, il narcotraffico da parte del crimine organizzato.

Molte di queste organizzazioni criminali sono nate proprio a seguito delle politiche di deportazione delle persone in transito pattuita dagli accordi bilaterali fra lo United States Citizenship and Immigration Services (USCIS) 1 e l’INM 2 del Messico senza minimamente curarsi del destino delle migliaia di centroamericani che vengono respinti al confine Nord, così come di coloro che vengono espulsi dagli Stati Uniti, per cui numerosi gruppi di migranti restano intrappolati fisicamente nelle estaciones migratorias 3 e giuridicamente nel limbo criminale dalle organizzazioni di frontiera. Non solo, grazie alla porosità di quello che è un confine interstatale, le bande e le loro attività assumono valenza transnazionale in cui molti degli armamenti di cui dispongono le organizzazioni criminali provengono proprio dagli USA, che così finanzierebbero un’attività terroristica volta a reprimere i movimenti migratori attraverso la violenza.

I migranti centroamericani varcano la frontiera Sud ed entrano in Messico per stabilirsi ma soprattutto con l’obiettivo di raggiungere zone a Nord dello Stato messicano o gli Stati Uniti ma durante le rotte la situazione di irregolarità della maggior parte, termina per esporli ad una posizione di estremo pericolo: detenzioni, aggressioni, rapine, incidenti, lesioni, stupri, estorsioni, inganni, tratta. Nonostante i rischi incombenti, la porosità della frontiera che si snoda su dodici noti punti d’accesso tra fiumi e giungla, permette a migliaia di indocumentati di attraversare il confine ed entrare in Messico.

Una volta giunti in territorio messicano, i migranti vanno incontro a numerosi controlli ad ogni varco statale del Paese che costituisce un ulteriore fattore di rischio, poiché sovente per cui essi sono oggetto di vessazione e violazione dei diritti umani da parte delle autorità, anche all’interno delle stesse strutture predisposte all’immigrazione, dove le condizioni di sovraffollamento, mancanza di servizi igienici, cibo e cure mediche peggiorano la situazione 4.

La “Migra”, così i migranti definiscono i luoghi e gli attori dell’istituto Nazionale di Migrazione messicano non è stato in grado nell’ultimo decennio di sopperire a nessuna delle reali esigenze di questi ultimi, non solo per quanto riguarda gli edifici, ma anche in merito al personale, spesso numericamente insufficiente e poco preparato. A queste lacune istituzionali, vanno sommate l’esistenza e la proliferazione di gruppi corrotti che operano in entrambi i Paesi di frontiera, per cui ben nulli gli spiragli aperti per la promozione del diritto alla libertà di movimento e quindi per un integrazione del processo migratorio nel contesto centroamericano. In Messico non esiste una politica capace di gestire in modo integrale le sfide apportate dalla migrazione, anzi, si continua a lavorare in un verso contrario ed criminale.

  1. Che fa capo al ministero dell’interno statunitense denominato United States Department of Homeland Security (DHS)
  2. L’Istituto Nazionale di Migrazione
  3. Le Stazioni Migratorie sono degli istituti previsti dal Istituto di Migrazione del Messico, nati con l’obiettivo di identificare e regolarizzare i migranti indocumentati.

    A seguito di diverse indagini la realtà emersa ha dimostrato come questi centri siano vere e proprie carceri, all’interno delle quali si producono quotidianamente numerosi casi di violenza fisica e psicologica, violazioni dei diritti umani, detenzioni arbitrarie, ricatti ed estorsioni da parte delle autorità

  4. Per approfondimenti: Detención Migratoria. Prácticas de humillación, asco y desprecio di Alethia Fernández de la Reguera Ahedo / Presentazione video del libro

Valentina Delli Gatti

Antropologa e attivista per la libertà di movimento e il supporto delle persone migranti.
Sono specializzata in migrazioni internazionali e indago il tema della mobilità e delle mobilitazioni migranti con particolare attenzione all’etnografia delle frontiere e le strategie di lotta nell’area euromediterranea e nel contesto sud e centro americano.
Sono operatrice del progetto Mem.Med per la ricerca e l'identificazione delle persone migranti scomparse.