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Protezione speciale al richiedente: la sua stabilità lavorativa in Italia si contrappone alla precarietà socioeconomica del Paese di origine

Tribunale di Salerno, decreto del 4 dicembre 2022

Photo credit: Isabelle Serro/Sos Meditarreneé
Photo credit: Isabelle Serro/Sos Meditarreneé

Il Tribunale di Salerno riconosce la protezione speciale dopo una domanda reiterata di asilo dichiarata inammissibile dalla Commissione Territoriale di Salerno.

Il Tribunale si sofferma sull’art. 19 del d. lgs. n. 286/1998 (comma 1.1. seconda parte) secondo cui le disposizioni non consentono l’espulsione o l’estradizione dello straniero verso uno Stato “qualora esistano fondati motivi di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, a meno che non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica”, tenuto conto “della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del soggiorno nel territorio nazionale nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali con il suo Paese d’origine”.

Proseguendo specifica che in tali casi “nelle ipotesi di rigetto della domanda di protezione internazionale, ove ricorrano i requisiti di cui ai commi 1 e 1.1. del citato art. 19, vanno trasmetti gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale. In particolare, deve sottolinearsi che, con l’ordinanza interlocutoria n. 28316/2020 con cui è stata rimessa alle Sezioni Unite la questione avente ad oggetto la configurabilità del diritto alla vecchia protezione umanitaria nelle ipotesi in cui sia stato allegato ed accertato il solo “radicamento” effettivo del cittadino straniero, fondato su decisivi indici di stabilità lavorativa e relazionale, con attenuazione del rilievo delle condizioni del paese di origine;
la Suprema Corte ha evidenziato – sia pure obiter dictum – che la novella di cui al DL 130/2020, ispirata all’art. 8 CEDU, “introduce la “protezione speciale” per la tutela del diritto al rispetto della vita privata e familiare, ossia una misura che pare configurarsi più ampia di quella della protezione umanitaria per integrazione sociale, come elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte. Soprattutto, la norma individua chiaramente i fattori di comparazione, in un’ottica di bilanciamento tra le “ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica”, da un lato, e le condizioni soggettive ed oggettive del cittadino straniero in dettaglio declinate, dall’altro, valorizzando, come ostativi al rimpatrio, la “solidità” dei legami con il nostro paese e l’affievolimento di quelli con il paese di origine …
Può ritenersi che, nelle ipotesi considerate e a date condizioni, il vulnus possa conseguire direttamente, anche, proprio dall’allontanamento del cittadino straniero dal paese di accoglienza. Infatti, a fronte di una situazione di “stabile insediamento”, per usare la stessa espressione della Corte EDU, da accertarsi secondo precisi parametri connessi alla durata, stabilità e consistenza qualitativa della condizione di permanenza in Italia, l’allontanamento può configurarsi come evento idoneo a provocare la lesione dei diritti umani fondamentali che connotano il “radicamento” dello straniero nel paese di accoglienza e dei quali il richiedente risulterebbe privato nel paese di origine. Dunque, la vulnerabilità, in questa ipotesi, può scaturire dallo “sradicamento” del cittadino straniero che, col tempo, abbia trovato nel paese ospitante una stabile condizione di vita, da intendersi riferita non solo all’inserimento lavorativo, che è indice indubbiamente significativo, ma anche ad altri ambiti relazionali rientranti nell’alveo applicativo dell’art. 8…”.

Ciò posto, nel caso di specie, il ricorrente ha avviato un percorso d’inserimento lavorativo in Italia, come evincibile dalla documentazione innanzi evocata e allegata nel fascicolo telematico. Inoltre, il ricorrente ha anche intrapreso un buon percorso di integrazione sociale che lo ha portato a svolgere un percorso di alfabetizzazione e apprendimento della lingua italiana e a vivere presso un’abitazione privata come comprovato dal contratto di locazione debitamente registrato presso l’Agenzia delle Entrate depositato in atti. A tale condizione di stabilità lavorativa si contrappone la precarietà della situazione socioeconomica del Paese di origine, aggravata dall’emergenza sanitaria attuale e dagli effetti della pandemia sul sistema socioeconomico del paese.

In questa prospettiva, considerato il buon livello di integrazione raggiunto, ritiene il Collegio che l’allontanamento del ricorrente comporterebbe una violazione del suo diritto al rispetto della vita privata, cui si accompagnerebbe l’esposizione dello stesso al grave rischio di essere immesso, in conseguenza del rimpatrio, in un contesto idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali inviolabili.

Si ringrazia l’avv. Mariagrazia Stigliano per la segnalazione e il commento.


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