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Vercelli – L’accoglienza selettiva e il gelo delle istituzioni

Ostacoli al diritto di asilo e mancata accoglienza per le persone provenienti dalla rotta balcanica

Pare oramai una prassi consolidata, in particolare nelle piccole città del nord Italia, quella di ostacolare il diritto di asilo e lasciare per strada richiedenti asilo che, nonostante svariate possibilità per una primissima accoglienza, sono costretti a ripararsi in luoghi informali, spesso invisibili, in precarie condizioni igienico sanitarie; un’espulsione, di fatto, dai salotti cittadini a misura di turisti e ricchi.

Qualche settimana fa a Bolzano, in un contesto di omissione di accoglienza, un ragazzo egiziano di 19 anni è morto per assideramento; in molte città italiane soprattutto del nordest, tra cui Trento, Trieste, Udine e Treviso, associazioni e solidali hanno denunciato la totale mancanza di presa in carico, da parte delle istituzioni, di richiedenti asilo che avrebbero diritto alle misure di accoglienza ma che diventano dei senza fissa dimora.
“Accoglienza selettiva”, l’ha definita un’inchiesta di dicembre della rivista Altreconomia che ha denunciato come il Viminale “riservi” i posti nel sistema di accoglienza a chi riesce ad arrivare dal mare, condannando all’addiaccio chi viene dalla cosiddetta rotta balcanica. 

Emblematico è il caso di Vercelli, una piccola cittadina del Piemonte orientale che conta poco più di 40 mila abitanti, dove un gruppo di circa venti pachistani, anch’esso arrivato dalla rotta balcanica dopo un viaggio durato sei mesi, ha vissuto diversi mesi all’addiaccio in uno dei parchi cittadini. 

La situazione è resa ancor più grave dal fatto che a una parte di loro, ancora oggi, viene preclusa la possibilità di fare richiesta di protezione internazionale. 

Un gruppo di persone sensibili alla loro causa, e che in questi mesi li ha conosciuti, afferma infatti che la Questura di Vercelli si rifiuta di prendere loro le impronte, di accogliere e formalizzare l’istanza di asilo e di inoltrare la domanda in Prefettura per avviare l’iter dell’accoglienza. 

«Pare che la Prefettura non stia accettando le richieste perché le strutture esistenti nel territorio di Vercelli non offrono posti a sufficienza», ci dice A. una delle solidali in contatto coi ragazzi pakistani. «In assenza di posti nelle strutture dell’accoglienza, queste persone sono costrette a vivere nel parco cittadino, chi da 2 mesi, chi da oltre 4 mesi. Il parco si trova nella zona centrale della città, dietro agli uffici della Questura. Di fronte al parco c’è un dormitorio della Caritas che ospita persone senza tetto dalle 20 di sera alle 8 del mattino. Questa struttura, con l’arrivo dell’inverno, ha accolto anche alcuni dei migranti pakistani durante la notte, ma sembra che anche qui non vi sia spazio per tutti. Inoltre, l’accesso ai servizi igienici e alle docce che il dormitorio mette a disposizione è impedito a chi dorme in strada».

A fine novembre alcune persone che dormivano al freddo non avevano ancora capi invernali, né scarpe ai piedi. Alcune di loro sono state male per il freddo e hanno ricevuto soccorso in ambulanza. 

Le realtà solidali del territorio avevano già provato a denunciare la violazione dei diritti fondamentali per fare in modo che le istituzioni si prendessero carico della questione. Ciononostante Questura e Prefettura hanno continuato ad accettare solo poche domande di protezione internazionale al mese, non curandosi delle temperature rigide e delle violazioni commesse rispetto alla normativa sul diritto di asilo. Le forze dell’ordine, come del resto succede nelle sopracitate città italiane, invitano le persone a lasciare il territorio per cercare ospitalità altrove. Al tempo stesso questi ostacoli alla possibilità di chiedere asilo appaiono tentativi di allontanare i richiedenti asilo per evitare altri arrivi e altre richieste, nella non dichiarata speranza che si generi un passaparola all’interno della comunità pakistana. Non è un caso che questo modus operandi sia lo stesso denunciato in gran parte delle città dove arrivano i migranti provenienti dalla rotta balcanica. 

Se Prefettura e Questura attuano prassi illegittime, il gruppo però punta l’attenzione anche sul terzo settore che dovrebbe avere un atteggiamento diverso: «La Caritas locale non si è neanche premurata di fornire loro i beni di prima necessità per poter resistere alle basse temperature esterne. Due volontari della comunità di Sant’Egidio a volte portano loro dei panini per pranzo, i volontari della Croce Rossa invece distribuiscono pasti caldi per la sera», spiega A.

Un approccio assistenziale, secondo il gruppo solidale, finalizzato però a scongiurare qualsiasi potenziale forma di protesta che in passato portarono a dei risultati e che rischia di far passare in sordina le violazioni dei diritti e a filtrare silenziosamente le domande di asilo. «Il diritto di asilo rischia così di essere un premio per meritevoli: chi attende in silenzio e senza reagire, rischiando la vita al freddo nel parco della città, può forse sperare in un appuntamento per avanzare la domanda di asilo. Pochi hanno trovato un posto nel campo gestito dall’accoglienza, e solo perché risultati positivi al Covid. Risultare positivi alla prova del tampone sembra essere, al momento, l’unico modo per ottenere un minimo di considerazione”, conclude A. 

Matteo De Checchi

Insegnante, attivo nella città di Bolzano con Bozen solidale e lo Spazio Autogestito 77. Autore di reportage sui ghetti del sud Italia.
Membro della redazione di Melting Pot Europa.