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2022, quando la politica migratoria ha perso ogni pudore a Melilla

Il massacro del 24 giugno e l'impunità di fronte alla violenza nelle frontiere

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di Sarah Babiker, El Salto (gennaio 2023)

Il 24J (24 giugno) ha suggellato un anno segnato dallo scenario di impunità di fronte alla violenza nelle frontiere. I collettivi di migranti, le reti di solidarietà e altri protagonisti che non si rassegnano alla necropolitica, indicano la strada per il 2023.

Yahia gridò “asilo!” davanti ai frangiflutti. Era il 22 ottobre 2022 e finalmente era giunto a Melilla. Dopo essere stato trattenuto per alcune ore dagli agenti della Guardia Civil, questo giornalista yemenita riuscì a rimanere sul suolo spagnolo. Non era la prima volta che gridava “asilo!“, lo aveva fatto nuotando in mare, durante i vari tentativi di attraversare la frontiera, lo aveva scritto sui moduli, come quelli che ha compilato a Rabat presso l’ufficio dell’UNHCR, o presso i vari consolati spagnoli in Marocco. Era quello che voleva far capire quando ha cercato, all’inizio dell’anno, di oltrepassare la barriera di Ceuta. La sua situazione gli dava diritto alla protezione internazionale, bastava ascoltarlo e non ci sarebbe stato modo di negarla.

La battaglia di Yahia contro le frontiere, che non gli permettono di attraversare, per mettere al sicuro la sua vita – dopo essere fuggito dallo Yemen dove arrivano invece senza problemi le bombe spagnole che cadono sulla popolazione – si rispecchia nel rapporto Donde habita el olvido del Servicio Jesuita Migrante, che racconta la situazione al confine meridionale nel 2022. È stata questa organizzazione a fornire consulenza legale a questo rifugiato che, una volta arrivato in Spagna, dopo aver subito molteplici atti di violenza da parte delle forze di sicurezza marocchine e spagnole, è partito per il nord appena ha potuto, nonostante il trattato di Dublino lo obblighi a rimanere nel primo Paese europeo raggiunto.

Aveva altre opzioni Yahia oltre a gettarsi in mare o saltare recinzioni fortemente sorvegliate? Chi fugge dalla guerra o teme per la propria vita ha altre possibilità di accedere al diritto di asilo? No, è quasi impossibile fare domanda di asilo nelle ambasciate e nei consolati del Marocco per i cittadini non marocchini, o nella stazione di polizia di Beni Enzar a Melilla, a cui si può accedere solo dal territorio spagnolo. “In pratica, solo coloro che sono entrati a Melilla al di fuori dei passaggi autorizzati possono accedervi: saltando le recinzioni, nuotando o a bordo di un’imbarcazione; rischiando la vita o l’integrità fisica; esponendosi a un rimpatrio immediato in territorio marocchino“, spiega il rapporto del SJM.

La cosa fondamentale è proteggere il confine da chiunque. E ogni angolo della frontiera meridionale è fortificato per questo scopo: recinzioni metalliche che lacerano la pelle, perforano la carne e rendono impossibile il passaggio, un enorme fossato sul lato marocchino, e dove questi elementi deterrenti non sono ancora presenti, le persone vengono respinte, concentrate in piccoli spazi, con l’uso di attrezzature antisommossa.

Javier Giménez è un avvocato di questa organizzazione e uno degli autori del rapporto. “Quello che documentiamo è che la territorialità di uno Stato o la giurisdizione di un territorio vengono continuamente poste al di sopra dei diritti umani, del diritto alla vita, all’integrità fisica“, spiega. In altre parole, la cosa fondamentale è proteggere il confine da chiunque. E ogni angolo della frontiera meridionale è fortificato a questo scopo: recinzioni metalliche che lacerano la pelle, perforano la carne e rendono impossibile il passaggio, un enorme fossato sul lato marocchino, e dove questi elementi deterrenti non sono ancora presenti, le persone vengono respinte, concentrate in piccoli spazi, con l’uso di attrezzature antisommossa.

Se non possono attraversare la recinzione, cercano, come Yahia, di farlo via mare: “Abbiamo molte testimonianze di persone rimpatriate che cercano di raggiungere a nuoto l’isola di Chafarinas o altri piccoli luoghi sotto la giurisdizione spagnola“.

Si tratta di interventi di rimpatrio che vengono eseguiti senza tutelare nessuno dei profili che dovrebbero essere protetti.

Li intercettano in mezzo al mare, dicono loro di salire sulla barca e li portano a 200, 300 metri dalla spiaggia marocchina. Li lasciano lì perché poi nuotino di nuovo verso il Marocco“, spiega l’avvocato, una pratica che, grazie ai maltrattamenti da parte degli agenti, allo shock e alla violenza, ha già mietuto vittime.

Perché ti ascoltino, come lamentava Yahia, il procedimento deve essere diretto al singolo, ma non c’è spazio per l’individualità quando si rimpatriano persone in massa. E la Guardia Civil, denuncia Giménez, ritiene di fare la cosa giusta e perché non dovrebbe pensarla così, dato che dopotutto sta facendo il suo lavoro, ossia il mandato più importante nella politica migratoria: qualunque cosa accada, nessuno entra. E se deve morire, è sfortuna.

Yahia, il giornalista yemenita, avrebbe potuto morire molte volte, ma non è successo. Tuttavia, la morte è un elemento centrale nelle politiche migratorie: secondo il rapporto Víctimas de la Necrofrontera 2018-2022 del collettivo Caminando Fronteras, negli ultimi cinque anni sono morte 11.286 persone nelle rotte migratorie verso il territorio spagnolo. In altre parole, ogni giorno sono morte sei persone. La dichiarazione di Caminando Fronteras non è solo quantitativa: l’obiettivo è quello di smascherare le politiche che hanno permesso queste morti, la necropolitica che antepone la protezione delle frontiere al diritto alla vita.

Le persone che attraversano le frontiere dello Stato spagnolo si trovano in una situazione di vulnerabilità, che inizia con l’espulsione dai Paesi di origine e il transito migratorio, che finisce per causarne la morte lungo il cammino“, sottolineano nel loro rapporto. In questo contesto, una buona collaborazione tra Nord e Sud è fondamentale: non si tratta di una collaborazione per la vita, ma per la morte: la Spagna basa la sua “amicizia“, con Marocco, Algeria, Mauritania e Senegal, su modelli bilaterali di gestione delle frontiere costruiti sulla negazione dei diritti dei migranti.

I corpi sono segnati, sia per i motivi per cui le persone migrano, sia nella straordinaria precarietà dei processi migratori dei transiti“, ha spiegato la panafricanista Mba Bee nel documentario di El Salto Anatomía de las Fronteras, mettendo in luce il lascito coloniale nel fatto che i bambini nati in certi territori siano già destinati a emigrare.

Caminando Fronteras si concentra anche su ciò che il trattamento istituzionale delle frontiere offusca, le cause che spingono le persone a lasciare la loro terra: guerre, estrattivismo coloniale, la crisi climatica, l’aumento dei prezzi e del prezzo dei cereali, la disoccupazione, la mancanza di sicurezza materiale, la mancanza stessa di futuro. Ci sono anche ragioni che riguardano gruppi specifici, come la violenza contro le donne e contro la comunità LGTBI+. Le ragioni, in sostanza, di ciascuna delle persone che hanno perso la vita durante il viaggio a causa di queste politiche migratorie degli ultimi cinque anni, le stesse ragioni che hanno spinto centinaia di persone a tentare di attraversare il confine lo scorso 24 giugno e che sono state prese a sassate, picchiate, abbandonate ferite o addirittura assassinate.

Sulla necro-efficacia

PH: Amnesty International

Il 24 giugno, “sono state adoperate unità antisommossa e armi meno letali come gas lacrimogeni, manganelli e proiettili di gomma per disperdere, con violenza, un gruppo di circa 2.000 persone nere, per lo più provenienti dall’Africa subsahariana, che stavano tentando di passare dal Marocco all’enclave spagnola di Melilla“. Il trafiletto è tratto dal rapporto di Amnesty International (AI) presentato all’inizio di dicembre e intitolato: “Lo colpirono in testa per controllare se fosse morto” fatto che ha segnato il 2022, non tanto per l’enorme numero di morti – 2.154 persone sono morte nel 2022, la stragrande maggioranza sulle rotte marittime – ma per la evidente violenza esercitata. Aggredire le persone fino a farle sparire nel silenzio del mare non è la stessa cosa che aggredirle e lasciarle morire a pochi metri di distanza. Secondo AI, il bilancio delle vittime è di almeno 37 persone, mentre altre decine sono rimaste ferite. 77 persone sono ancora disperse. I loro parenti non sanno dove sono. Il Marocco non risponde per loro. Neanche la Spagna ha fornito una risposta.

Quello che il presidente voleva dire lo disse già poco dopo il massacro, affermando la sua soddisfazione per il lavoro delle forze armate di entrambi i Paesi alle frontiere. Nel contesto del paradigma che pone la frontiera al di sopra della vita, ciò che è soddisfacente è che nessuno riesca a passare e, se lo fa, che ritorni rapidamente in Marocco, come le 470 persone che sono state dichiarate immediatamente rimpatriate, un rimpatrio che la Fiscalía General, nella sua indagine, ha dato per scontato.

Le autorità si giustificano con la formula del respingimento alla frontiera, una condizione di eccezionalità che implicherebbe una “azione materiale di natura coercitiva, il cui scopo è quello di ristabilire immediatamente la legalità violata dal tentativo di attraversare, irregolarmente, la frontiera di terra delle città autonome di Ceuta e Melilla” – secondo il SJM nel suo rapporto, una situazione che, in ogni caso – secondo le sentenze della TEDH e del Tribunal Costitucional – non dovrebbe applicarsi a coloro che arrivano a nuoto, via mare, o nelle enclave di giurisdizione spagnola. Secondo l’organizzazione, l’accordo di riammissione del 1992 non può “essere utilizzato per effettuare rimpatri provvisori“.

Ph: Solidary Wheels

Da Melilla, Alba Dosta e Raquel Sierra, attiviste di Solidary Wheels e autrici del rapporto La valla de Melilla, el precio humano de la securitización, tastano il terreno di una città in cui non si trovano da molto tempo e in cui sono arrivate quando ormai non era più come prima: “Da quando le frontiere sono state chiuse e solo uno dei punti di accesso è stato aperto e non si prevede che ne verranno aperti altri, il transito tra le zone limitrofe e Melilla risulta praticamente assente. Ora passano solo persone che lavorano, che vanno a casa del loro datore di lavoro e se ne vanno, non c’è tutto il movimento che caratterizzava Melilla“. Questo, secondo loro, danneggia “l’essenza della città” e la trasforma ancora di più in una zona militarizzata.

Sierra spiega che anche parlare liberamente è complicato, a causa della presenza della polizia: “La maggior parte degli uomini bianchi in città sono militari o poliziotti“. Questo nativo di Tenerife ritiene che sia possibile ignorare ciò che sta accadendo sul territorio con i migranti, guardare dall’altra parte, ma ciò che è impossibile ignorare è la presenza di forze armate ovunque.

Questa enclave della frontiera meridionale, dove molte persone permangono sul territorio per anni senza essere registrate e quindi senza avere diritto alla residenza, “è uno scenario in cui molte persone vengono lasciate fuori e di cui nessuno si prende cura“, sottolinea Sierra. Eppure, si rammarica Dosta, la città permette alle persone di non rendersi conto di ciò che sta accadendo, “giustificando la propria indifferenza“, conclude la collega. Meccanismi di segregazione e di giustificazione che portano alla normalizzazione di “situazioni che non fanno notizia” e che sono note solo quando qualcuno le racconta. Gli attivisti, tuttavia, conoscono le storie degli stessi migranti che raccontano dello sfruttamento lavorativo che subiscono nei brevi lavori che ottengono sul posto, perché in fondo hanno bisogno di soldi, o spiegano le violenze subite dalla parte marocchina e raccontano le violenze subite dalla parte spagnola – stimolate dall’impunità di eventi come quello del 24J – una serie di osservazioni che gli attivisti riferiscono a Melilla, ma che potrebbero essere estese a tutto il territorio.

“I media si concentrano esclusivamente sugli arrivi dall’Africa subsahariana alla frontiera meridionale. Ciò si ricollega a una certa immagine di blocco o di massa, alla base di stereotipi e pregiudizi sui migranti”.

Il rapporto Inmigracionalismo 2022, redatto da RED Acoge, sostiene che l’indifferenza si costruisce a partire dal discorso, in cui si osserva criticamente il trattamento della migrazione da parte dei media. Analisi da cui si evincono snodi tra, ad esempio, la necessità di evidenziare la massività e la violenza dei “salti” sulle recinzioni, per giustificare figure come il respingimento alla frontiera, e le narrazioni che sostengono queste tesi di difesa da una minaccia. Narrazioni che “si concentrano esclusivamente sugli arrivi di persone provenienti dall’Africa subsahariana alla frontiera meridionale“.

Ciò si collega a una certa immagine di blocco o di massa, che alimenta stereotipi e pregiudizi sui migranti. Una narrazione che, sottolineano, è: “legata principalmente ai processi di arrivo e non a quelli di accoglienza e inclusione ed è considerata uno dei principali strumenti che rafforza il discorso basato sulla prevenzione“. Un discorso preventivo che si nutre anche di un “linguaggio metaforico iperbolico, belligerante o allarmistico“, un fenomeno che incide sulla “disumanizzazione e la distanza che viene marcata sulla base della struttura di imposizione ‘Noi’ contro ‘Loro‘”.

Tuttavia, anche i media hanno fatto da contrasto nel caso di Melilla, come hanno fatto alcuni media con la loro copertura fin dall’inizio, come la BBC con un intenso lavoro giornalistico e come il gruppo di testate giornalistiche che, attorno all’organizzazione Lighthouse, che già teneva d’occhio il confine meridionale nella sua sorveglianza delle frontiere, ha scoperto materiale che dimostrava che c’era stato almeno un morto in territorio spagnolo. José Bautista, membro di Por Causa, che ha partecipato all’iniziativa con Der Spiegel, sottolinea un aspetto in particolare: “I media stranieri sono stati colpiti dalle dinamiche politiche interne alla Spagna, dall’impossibilità che qualcuno si assuma le proprie responsabilità o si dimetta. Anche se ci sono dei morti sul piatto. Il modo in cui le istituzioni pubbliche spagnole, in particolare il Ministero dell’Interno, comunicano è stato impressionante“.

Come ricorda il giornalista, “su una frontiera non c’è mai stato un episodio così cruento e mortale“, e con così tante immagini e registrazioni, aggiunge, evidenziando il nervosismo del Ministero dell’Interno. Sarebbe stato molto facile per loro dire: “Ehi, è una cosa molto seria, indagheremo”. Tuttavia, hanno insistito nel negare tutte le prove e nel mentire“.

Mettere in evidenza il razzismo

Ph: Solidary Wheels

Il massacro del 24J ha mostrato in prima pagina il risultato di un processo concreto di disumanizzazione. AI ha denunciato nella sua speciale raccolta di notizie, come i feriti siano stati lasciati fino a otto ore sotto il sole, senza alcuna assistenza medica. Mentre i medici marocchini hanno impiegato ancora più tempo per intervenire, le autorità spagnole non hanno lasciato passare la Croce Rossa, né è stata presa alcun tipo di misura per curare le persone: “Le forze armate spagnole hanno costretto i feriti a riattraversare il confine con il Marocco anche se erano sanguinanti o con ferite aperte“.

I corpi contro cui sono state praticate sia le violenze che la negazione dell’asilo, erano nere: AI insiste più volte su un elemento che ritiene fondamentale, e tuttavia assente, nei processi in Spagna e Marocco, ovvero il focus sul razzismo che può aver determinato un certo trattamento nei confronti di queste persone. Un razzismo già presente nei processi che le forze armate marocchine hanno intensificato contro gli accampamenti di migranti intorno a Nador nei giorni precedenti il salto: vere e proprie retate in cui sono stati distrutti gli effetti personali delle persone, lasciate senza cibo e in preda alla paura. Una paura enfatizzata dal tentativo di attraversare la frontiera: “Con un uso generalizzato della forza illegittima da parte delle forze armate marocchine e spagnole. Gli agenti hanno usato armi meno letali in contrasto con gli standard internazionali che ne regolano l’uso e hanno continuato a usarle anche dopo che gli individui erano sotto il controllo della polizia e non rappresentavano una minaccia per gli agenti stessi o per terzi“, osserva AI.

Più che risposte, Caminando Fronteras introduce nel suo rapporto, domande fondamentali: “Stiamo assistendo all’annientamento di popolazioni con determinate caratteristiche?”

Di fronte alla morte e alla violenza sulla frontiera, Caminando Fronteras introduce nel suo rapporto più domande fondamentali che risposte: “Stiamo assistendo all’annientamento di popolazioni con caratteristiche specifiche? I sistemi di controllo delle migrazioni sono regimi che implementano strutture di tortura transnazionali?” Di fronte a questi interrogativi profondi che parlano di necropolitica, il Ministero dell’Interno continua a parlare di gestione delle migrazioni, senza che le bugie sembrino intaccare il governo. Dopotutto, come ha dichiarato la deputata María Dantas – che si è recata più volte sul campo per parlare con le forze armate e i testimoni – in questa intervista a El Salto, la migrazione non è uno dei temi che più preoccupano il Congresso, non è una questione prioritaria.

Ferrovie clandestine

Contrariamente a quanto si pensa delle masse di persone senza un’origine precisa che “vengono a violare” la frontiera meridionale, o che vengono trasportate dalle mafie, i movimenti dei migranti sono il risultato di decisioni consapevoli e pianificate, e dipendono dalla solidarietà e dall’aiuto tra queste stesse persone: “I viaggi sono costruiti sulla base della capacità dei soggetti di auto-organizzarsi. Non si viaggia da soli, si viaggia in gruppo, e questo è già un elemento minimo, la solidarietà di gruppo“. Una volta sul territorio europeo, arrivano le frontiere interne, che vengono superate “grazie a coalizioni eterogenee“. L’antropologo Luca Queirolo Palmas ha accennato alle reti di solidarietà dei migranti, delle seconde generazioni o degli attivisti in questa intervista a El Salto.

Mentre la necropolitica diventa sempre meno modesta e il sistema di accoglienza “pensa al migrante come a un oggetto, una cosa che deve essere spostata da un luogo all’altro“, i migranti, in alleanza con altri soggetti della comunità, sfidano queste logiche. Nel 2022 abbiamo anche visto come i migranti organizzati intorno a Regularización Ya, in alleanza con altre organizzazioni, siano riusciti a ottenere fino a 700.000 firme per portare il loro ILP per la Regularización al Congreso.

Gli stessi gruppi di migranti, insieme a organizzazioni provenienti da tutto il Paese, hanno rapidamente lanciato un appello unitario allo Stato, per denunciare quanto accaduto a Melilla, e sono stati gli stessi migranti e le organizzazioni della società civile a continuare a denunciare la barbarie alla frontiera, impedendo al governo di voltare pagina, come ha tentato di fare la Fiscalía, esentando il Ministero dell’Interno dalle responsabilità. “A sei mesi dalla tragedia e in questa data importante, assistiamo a un’impunità che danneggia profondamente il nostro sistema democratico ed evidenzia il razzismo delle istituzioni statali“, hanno risposto 150 gruppi in un comunicato del 24 dicembre.