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Photo credit: Christian Elia per il Manifesto - Tirana, 8 marzo 2021

Donne d’Albania e violenza domestica

Riflessioni sulla violenza strutturale e patriarcale presente in Albania

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La società albanese vive forte il fenomeno del machismo/maschilismo e tale dato è innegabile.

Moltissime donne sono ancora succubi di questo atteggiamento e vivono una sorta di sudditanza nei confronti di padri e fratelli prima, marito poi.

Nei paesi dove vige ancora l’antica norma consuetudinaria del Kanun che, seppur ufficialmente abolito nel 1930, continua a dettare legge, questo fatto è ancora più palese e risulta essere addirittura più che normale.

La situazione dovrebbe mutare quando le persone emigrano all’estero in paesi dove invece la mentalità maschilista appare un lontano retaggio culturale, ma è del tutto abolita e mal giudicata. E’ sorprendente scoprire che invece all’interno di molti nuclei familiari si mantiene ancora.

Il portatore effettivo di questa malata e deleteria mentalità che relega la donna a un ruolo di “schiava” domestica, priva di libertà di scelta e azione sono le stesse donne che trasferiscono ciò che hanno subito nelle loro famiglie di origine e quando mettono a loro volta i figli al mondo li crescono con il culto del figlio maschio e ciò contribuisce a renderli intoccabili ed arroganti, senza dimenticare che le nonne albanesi ancora oggi hanno forte il senso della nascita del nipote maschio e piangono se la nuora aspetta come primo genito una figlia femmina.

Per cultura retrograda le donne sono abituate a considerare il figlio maschio diversamente dalla figlia femmina fino ad escludere dalla eredità perché tutto ciò che i genitori possiedono va al figlio maschio.

Per non parlare poi della nuora che mai verrà considerata degna del figlio maschio, e si trasformerà in una donna delle pulizie sino a spingersi a lavare i piedi al capo famiglia ed a tutti gli altri maschi della casa e mangiare per ultima dopo che tutti hanno terminato.

In una società del genere sono le donne a crescere e inculcare una certa mentalità agli uomini, idealizzandoli come figli, ma anche come esseri umani.

Discriminare il proprio sesso è un atto meschino e privo di senso eppure è proprio ciò che accade, si proietta la propria rabbia su donne che non hanno colpa e si strumentalizza il figlio maschio.

Il ruolo delle madri è fondamentale, l’educazione al rispetto è il primo passo verso una società meno maschilista.

Emarginate, sottomesse, chiuse in casa, trattate come oggetti o come un peso. È questa la realtà di gran parte delle donne in Albania, soprattutto nei villaggi del nord del paese. La donna è relegata ai margini della società ed è vittima di discriminazioni in ogni ambito, da quello scolastico a quello lavorativo.

La discriminazione comincia in famiglia per molte, soprattutto per le donne appartenenti a famiglie in cui il livello d’istruzione è basso o famiglie molto legate alle tradizioni (è il caso per esempio delle famiglie che provengono dalle montagne, che hanno vissuto a lungo isolate).

Capita ancora che siano i genitori a scegliere l’uomo che la figlia dovrà sposare e quando la ragazza si ribella, la rottura con la famiglia d’origine è spesso definitiva.

È molto alto inoltre il tasso di violenze domestiche: secondo un rapporto di Amnesty International del 2006 una donna su 3 sarebbe vittima di violenze in ambito familiare, anche se mancano statistiche ufficiali sul fenomeno.

La violenza sulle donne sarebbe una delle manifestazioni di una “cultura della violenza” radicata profondamente nella società albanese e aggravata da disoccupazione e alcolismo.

Esiste dal 2006 una nuova legge contro le violenze familiari, ma il budget relativo non è stato ancora approvato e quindi chi denuncia non può avvalersi degli strumenti di sostegno alle vittime previsti dalla legge. Inoltre la violenza in famiglia non è riconosciuta come un crimine da perseguire nemmeno da tutti i membri della polizia, da cui le donne che vogliono denunciare spesso non vengono accolte in maniera adeguata.

La violenza psicologica è ancora più diffusa e fa sì che molte donne non riescano nemmeno a immaginare di poter essere trattate in un modo che rispetti e valorizzi la loro dignità.

L’unica forma libera di espressione è l’abbigliamento, in stile occidentale e vistoso, che alcune ragazze usano le poche volte che viene permesso loro di uscire di casa. Vi sono inoltre donne che vivono in un isolamento tale per cui non hanno nemmeno idea di come prendersi cura della propria salute e di quella dei figli.

Una leggenda esemplifica molto bene il ruolo della donna nell’immaginario albanese: la storia di Rozafa. Questa donna leggendaria fu murata viva da suo marito e dai suoi fratelli per annullare una maledizione che impediva loro di costruire il castello che sovrasta Scutari.

Prima di morire Rozafa chiese che le lasciassero fuori almeno un braccio per accarezzare il suo figlio neonato, un seno per allattarlo e un piede per dondolare la sua culla.

La vita delle donne è da tempo considerata meno importante di quella degli uomini e lo spirito di sacrificio delle donne albanesi sembra non esaurirsi mai. Sono inoltre talmente avvezze ad essere soffocate nella loro libertà, a partire dagli abiti tradizionali, da accettare questa limitazione come qualcosa di normale, e non riuscire a immaginare un altro possibile modo di vivere.

Nel Kanun poi alla donna veniva assegnato un ruolo fortemente marginale e veniva definita un “otre che deve solo sopportare”.

Se si considera che per una certa fascia di persone il Kanun riveste ancora una certa importanza, e che ha lasciato tracce visibili nella società odierna, è facile capire come ciò non abbia un’influenza positiva sulla condizione femminile.

Vi sono in Albania donne più emancipate, soprattutto in città, ma nei villaggi chi ha studiato e ha una mentalità diversa viene isolata, e diventa spesso oggetto di maldicenze continue. Inoltre se le bambine sembrano frequentare la scuola quasi quanto i bambini, le donne faticano molto di più a trovare un lavoro e i loro salari sono di gran lunga più bassi. Anche le migrazioni degli uomini albanesi mettono spesso in serie difficoltà le donne, che si ritrovano a dover gestire da sole il nucleo familiare.

Le associazioni che si occupano di difendere le donne vittime di violenze hanno poco o alcun sostegno dalle autorità statali. Le donne che trovano il coraggio per denunciare quindi non hanno i mezzi economici per sostenersi e non esistono abbastanza strutture destinate ad accogliere donne in difficoltà.

La Comunità Papa Giovanni XIII ha aperto a Scutari una casa di accoglienza per donne e da quando è in Albania ha accolto nelle proprie strutture diverse donne in difficoltà, che hanno subito violenza, dando loro la possibilità di ricostruirsi una vita. La speranza è che le donne albanesi riescano a trovare la strada giusta per migliorare la propria condizione e offrire un futuro diverso alle proprie figlie, diventando protagoniste attive delle loro vite.

Un fenomeno in crescita

Gli ultimi dati evidenziano una preoccupante crescita del fenomeno. Ma dietro ai numeri è possibile si celi una maggiore consapevolezza del problema e il desiderio di denunciarlo. Uno sguardo d’insieme sull’attuale situazione, tra leggi di difficile applicazione e la scarsa assistenza da parte dello Stato, la violenza domestica continua ad essere un problema serio nella società albanese, con un numero in crescita di casi segnalati e vittime. La maggior parte delle ragazze e donne vittime di violenza appartengono a classi sociali disagiate, hanno un livello di studio scarso e provengono in particolare da zone rurali. Ma la violenza domestica non è certo esclusiva di questi segmenti sociali e coinvolge tutta la società, a prescindere dal livello di studi effettuati e dallo status economico.

Dati ufficiali del ministero del Lavoro mostrano come nel 2010 siano stati rilevati 1.998 casi di violenza domestica, 1217 nel 2009. In parallelo con l’incremento dei casi rilevati vi è una progressione delle attività per assicurare tutela alle vittime e prevenzione del fenomeno. Nel 2010 sono state inviate alle corti locali 1.230 richieste di “Protezione immediata/ordini restrittivi” a fronte delle 841 dell’anno precedente.

Dall’analisi dei casi rilevati emerge che un elemento ricorrente è il tentativo di uno dei componenti della famiglia, di esercitare potere esclusivo sugli altri. Di solito si tratta del marito nei confronti della moglie ma anche dei genitori sui figli.

Se in questi anni parlare di violenza domestica in Albania è meno difficile è anche grazie ad una campagna nazionale realizzata nel 2000 da una serie di associazioni e gruppi della società civile. “Non stare zitti!”, lo slogan con cui si invitava l’opinione pubblica a discutere del problema.

Da allora altre iniziative si sono susseguite anche se vi è da sottolineare come queste ultime abbiano fatto breccia soprattutto nei grandi centri urbani, mentre nelle aree più periferiche, in particolare nel nord del Paese, la violenza domestica rimane un fenomeno che non esce dalle mura di casa ed è considerata una questione del tutto privata.

Una legge che non tutela adeguatamente

In merito al quadro normativo per la tutela delle vittime e la prevenzione della violenza domestica l’Albania ha adottato, nel 2006, la legge sulle Misure di prevenzione della violenza nei rapporti familiari. La legge è stata approvata dal parlamento solo a seguito di forti pressioni da parte della società civile, tra queste una petizione sottoscritta da 20.000 persone.

La legge definisce quali sono le istituzioni statali competenti in materia di violenza domestica e garantisce alla magistratura il potere di adottare “misure di protezione e restrittive” a favore delle vittime contro gli autori delle violenze.

La legge prevede che è l’autore della violenza quello che deve abbandonare la casa nel caso venga emesso un “ordine di protezione”, ma la realtà purtroppo è diversa. Di solito l’autore delle violenze e la vittima continuano a condividere gli stessi spazi e la violenza continua, secondo quanto affermato dall’associazione “Utili alle donne albanesi”.

E’ un dato di fatto che, dall’inizio del 2011, vi siano stati più casi di donne assassinate e nessun colpevole in galera. E questo dimostra chiaramente che la legge non funziona. Gli strumenti previsti trovano impedimenti nella catena di applicazione e non ci sono rifugi per le vittime dove possano iniziare a ricostruirsi una vita”.

Come mostrano sia le statistiche ufficiali sia quelle fornite da associazioni del mondo non governativo, i casi di violenza domestica sarebbero addirittura in aumento. Questo potrebbe non essere un dato del tutto negativo perché potrebbe significare che finalmente il fenomeno sta iniziando ad emergere dalle mura chiuse del focolaio domestico. Ma non è nemmeno un dato rassicurante. Dai dati emerge che la violenza avviene in più forme: da quella emotiva, a quella economica (in particolare nelle aree urbane) a quella fisica (in particolare nelle aree rurali), a quella sessuale, che è la più sommersa. I gruppi d’età che subiscono più violenze sono solitamente quelli di ragazze e donne che vanno dai 18 ai 23 anni e dai 37 ai 45. Tra tutte le vittime le più vulnerabili sono quelle con disabilità, donne migranti, rom e ragazze e donne originarie delle zone rurali.

Per quanto riguarda l’assistenza alle vittime, quella che arriva dalle istituzioni statali è talmente minima che può considerarsi praticamente inesistente. Nonostante la legge del 2006 vi sono enormi difficoltà nel garantire protezione alle vittime, aiutarle a trovare lavoro, una casa, e garantire ai loro figli diritti adeguati. Nonostante la situazione difficile i rappresentanti della società civile auspicano in un futuro prossimo di riuscire ad attivare una collaborazione effettiva con le istituzioni statali competenti, per affrontare assieme il fenomeno della violenza domestica. In particolare auspicano maggiore collaborazione con il dipartimento della polizia responsabile per la lotta alla violenza domestica e alla protezione dei minori.

Una buona notizia è che il 19 dicembre 2011 il governo albanese ha firmato la “Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e il contrasto della violenza contro le donne e della violenza domestica”.

La Convenzione, adottata a Istanbul l’11 maggio, potrebbe fornire un contributo importante per porre fine alla violenza contro le donne in Europa, perché quella dell’Albania è stata solo la diciottesima firma.

Se sul numero delle ratifiche, cioè gli strumenti con cui si da valore legale e inclusione nel diritto interno a un trattato internazionale, dovessimo misurare la serietà e la credibilità dell’impegno dei governi europei nel combattere l’orrore della violenza contro le donne, il giudizio sarebbe spietato.

Le ratifiche sono esattamente zero. E prima della decima ratifica, la Convenzione non entrerà in vigore.

In Albania una donna su due soffre di violenza, ha dichiarato a Reuters il capo del numero di emergenza nazionale a tutela degli abusi sulle donne, citando un’indagine del 2018.

L’indagine riporta che nello stesso anno sono stati segnalati 4.000 casi di violenza.

La ricerca del 2018, sostenuta dalle agenzie delle Nazioni Unite, ha rilevato che il 52,9% delle 3443 donne albanesi intervistate, ha subito almeno uno dei cinque diversi tipi di violenza durante la loro vita, mentre il 18,1% ha subito violenza sessuale. Le donne intervistate avevano tra i 18 e i 74 anni.

Mi corre l’obbligo di ricordare Adelina – vittima innocente – della violenza maschile prima e della violenza e indifferenza burocratica poi che le ha tolto la vita: Riposa in pace ragazza forte come le montagne ed esile come un albero nella tempesta che nulla hai potuto da sola.

Una preghiera di pace per le vittime di violenza domestica dell’anno 2021 con la speranza che tutte le altre donne non citate possano essere inserite in un elenco per ricordarle che sono morte da chi diceva loro di amarle.

  • Lumturie Bici, 50 anni, uccisa dal marito, Librazhd, 2021
  • Klarita Ismalaja, 45 anni, uccisa dal marito, Kruja, 2021
  • Diana Vuka, 59 anni, uccisa da suo fratello, Scutari, 2021
  • Zhaneta Metani, stuprata, usata per prostituzione e uccisa da Perparim Tela, Tirana, 2021
  • Kristina Bardhi, usata per prostituzione e uccisa da Perparim Tela, Tirana 2021
  • Liljana Buzo, 54 anni, uccisa dal marito, Elbasan, 2021
  • Dorina Alla, 39 anni, uccisa dal marito, in presenza di bambini, Italia, 2021
  • Fëllënza Shirja, 45 anni, uccisa dal marito, Kavaja, 2021
  • Irvana Hyka, 28 anni, uccisa dal marito in presenza di bambini in gravidanza, Fier, 2021
  • Luljeta Heshta, 47 anni, uccisa dal compagno, Italia, 2021
  • Sanije Bandula, 83 anni, uccisa dal marito, Scutari, 2021
  • Anisa Shehu, 31 anni, uccisa dal marito, Grecia, 2021
  • Joana Peca, 27 anni, fucilata dal marito in presenza di bambini, Florida, USA, 2021
  • Sabrina Bengaj, 23 anni, uccisa dall’ex marito, Fier, 2021
  • Violeta Gurraj, 47 anni, uccisa in casa dal marito Scutari
  • Fëllëxë Rrasa, 45 anni, uccisa dal marito, Divjaka, 2021
  • Jawsackie Jaboah, 31 anni, uccisa dal marito albanese, Tirana, 2021
  • Elinda Topalli 50 anni uccisa dal marito, Austria, 2021
  • Elona Ibrushi 36 anni uccisa dal marito, Grecia, 2021
  • Gjyle Topalli, 40 anni, uccisa dall’ex marito, Vau i Dejë, 2022

Lo spazio pubblico – per lo più monopolio patriarcale – è stato occupato sostituendo 20 nomi delle strade della capitale Tirana con i nomi di 20 vittime di femminicidio durante tutto l’ultimo anno grazie alle attiviste del Collettivo Femminista di Tirana che hanno intrapreso un’azione simbolica e di sensibilizzazione, come reazione al dramma delle donne uccise dalla violenza patriarcale in Albania.

Le attiviste denunciano che in Albania la violenza strutturale e patriarcale trasforma le donne in vittime e gli uomini in criminali dove il crimine è giustificato ed è la vittima ad essere costantemente incolpata di quanto accade.

Sottolineano inoltre che è necessaria una reazione massiccia per una trasformazione radicale della società. Educare al rispetto della vita non è mai troppo tardi!

La vera pandemia che dura da sempre in Albania e non sono da meno gli altri paesi!


L’Avv. Uljana Gazidede è Presidente della Casa delle Donne del Mediterraneo di Bari