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Indicare Ancona come porto di sbarco significa infierire su chi non si può difendere

La città si mobilita per portare solidarietà e accoglienza, e contro il decreto Piantedosi

Il governo Meloni, fin dal suo insediamento, sta cercando in diversi modi di ostacolare il prezioso lavoro delle Ong che salvano vite nel Mediterraneo centrale. Con l’accusa falsa di favorire i trafficanti, oltre ad avere approvato il cosiddetto decreto Piantedosi con un nuovo incostituzionale codice di condotta, sta indicando alle navi impegnate nei soccorsi di sbarcare in porti molto lontani. Il motivo, nemmeno nascosto, è quello di toglierle per più tempo possibile dal Mediterraneo, vietando i soccorsi multipli e i trasbordi da navi piccole ad altre meglio equipaggiate, rendendo così più costose e complesse le operazioni di salvataggio.

Sabato 7 gennaio due navi, la Geo Barents di Medici Senza Frontiere e la Ocean Viking di SOS Méditerranée, avevano soccorso in tutto un centinaio di persone e come risposta è stato indicato a loro di dirigersi verso il porto di Ancona, a circa 1.500 chilometri e quattro giorni di navigazione. L’arrivo della nave di SOS Méditerranée è previsto per questa sera, mentre quello di Geo Barents per giovedì.

Nella città marchigiana, l’Ambasciata dei Diritti delle Marche ha convocato ieri sera una partecipata assemblea in sostegno alle Ong. L’intervento di una ragazza in contatto con i volontari di SOS Mediterranee e MSF ha portato immediatamente i partecipanti su quelle navi che da giorni stanno attraversando un mare in tempesta. “A bordo stanno tutti male”, ha riferito.

L’associazione scrive che «è scattata immediatamente un’empatia verso quelle persone che hanno rischiato la vita per cercare un futuro migliore, e che i media mainstream dipingono come freddi numeri di una rotta migratoria che conduce all’Europa delle possibilità negate».

«Potevano farli scendere a terra quattro giorni fa – aggiunge l’Ambasciata dei Diritti – ed invece l’ennesimo governo di propaganda preferisce infierire su naufraghi e profughi ignorando qualsiasi logica umanitaria o di diritto internazionale. Tutto questo in un’ottica miope di criminalizzazione a prescindere, dove chi mette a rischio la propria vita alla ricerca di un futuro migliore compie un illecito e chi cerca di soccorrerli è colpevole senza possibilità di difesa. A tal punto è arrivata la retorica razzista di questo paese. Forse vale la pena ricordare che non c’è un modo legale per entrare in Europa. O meglio non c’è per tutti. L’unica strada è quella di rischiare la vita attraverso rotte in cui ogni giorno perdono la vita uomini, donne e bambini. Vale la pena anche ricordare che dovrebbero essere gli Stati europei a creare strumenti efficaci e dignitosi di soccorso e accoglienza. Invece questo vuoto di giustizia sociale e solidarietà è colmato solamente da Ong e volontari, che con le poche risorse disponibili cercano ogni giorno di salvare vite umane nel nostro Mediterraneo».

Si sottolinea che «la decisione di far navigare inutilmente per quattro giorni una nave con persone che stanno male a bordo non è altro che la volontà di infierire gratuitamente su chi non si può difendere, è una pena comminata per quello che si è, non per un reato commesso.

La banalità del male, il razzismo fatto sistema. Ma questo sistema può andare in frantumi».

L’obbligo di prestare soccorso dettato dalla convenzione internazionale SAR di Amburgo, non si esaurisce nell’atto di sottrarre i naufraghi al pericolo di perdersi in mare, ma comporta l’obbligo accessorio e conseguente di sbarcarli in un luogo sicuro”, ha scritto una recente sentenza della Cassazione, la quale in ogni decisione ha sempre dato ragione a chi soccorre vite.

E così l’assemblea di ieri ad Ancona ha mostrato una cittadinanza attiva e consapevole, innalzata sui principi universali di solidarietà e mutualismo. Per questo sono stati promossi due momenti pubblici, questa sera e giovedì «portando un abbraccio sincero a chi approderà al porto, restituendo quell’umanità che qualcuno vorrebbe confiscare a colpi di decreto».