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La storia di F. e il sistema sanitario in Camerun

Su una popolazione di circa 25 milioni, 6,9 milioni di camerunesi vivono in condizioni di estrema povertà

di Mariano Manuel Bartiromo 1

C’è un ritornello che spesso risuona quando si parla di migranti africani: «Ma in quel paese non c’è una guerra…». Ne è alla base prevalentemente la mancanza di conoscenza delle materiali condizioni di vita nei paesi di origine. Non si comprende perché alla figura del cosiddetto “migrante economico” debba essere conferita necessariamente una connotazione negativa, considerando che la ricerca di migliori prospettive economiche è un’inclinazione umanissima che appartiene a tutti noi, soprattutto se la si inquadra in un sistema socio-politico come il nostro, ormai da decenni trasfigurato in economico.

Nella maggior parte dei casi le persone migranti fuggono da condizioni sociali invivibili 2, che possono diventare come e peggio di una guerra. Una di queste condizioni riguarda il sistema sanitario.

Per comprendere il motivo che induce qualche ragazza africana a fotografarsi con la tessera sanitaria ottenuta in Italia come se fosse un trofeo, vi porto a Yaoundé, capitale del Camerun, per raccontarvi la vicenda di F., una ragazza parente di uno dei tanti migranti di cui mi occupo nella mia attività che mi hanno messo in contatto con le loro famiglie nei paesi di origine.

Taxi sanitario

Dimentichiamoci tessere sanitarie, ticket e ricette rosse. Come in quasi tutti gli stati africani, in Camerun chi sta male e ha bisogno di andare d’urgenza in ospedale deve pagare.

Era il 2021, sabato di Pasqua. F. mi scrisse di non sentirsi bene: aveva i brividi e stava arrivando la febbre. Il giorno dopo i sintomi peggiorarono e le suggerii di andare immediatamente in ospedale. Lei mi rispose che non aveva alcun mezzo a disposizione: le ambulanze sono dei veri e propri taxi e chi non può permettersi la “corsa” non si azzarda neanche a pensare di chiamarle. In questi casi è decisivo avere un vicino motorizzato, che nel nostro caso fortunatamente c’era, si chiamava N. e faceva, ironia della sorte, il tassista. Ma F. non aveva neanche i soldi per le cure e le dissi allora che l’avrei aiutata io, purché si fosse sbrigata a partire. Niente da fare: N. mi fece capire che, essendo domenica pomeriggio e per di più Pasqua, sarebbe stato inutile andare subito in ospedale perché non ci sarebbe stato nessun medico e perciò sarebbe stato opportuno aspettare la mattina seguente.

Sparadrap 100

Dopo una notte di febbre alta, dolori e vomito, finalmente F. raggiunse l’ospedale, dove generalmente il medico di turno valuta segni e sintomi, formula un’ipotesi, decide gli esami da eseguire e infine redige un vero e proprio preventivo della spesa complessiva. Se il paziente non dispone al momento delle somme richieste viene mandato via, anche se, come nel caso di F., è in corso un’infezione acuta.

I soldi che avevo mandato bastarono solo per gli esami. La diagnosi fu di malaria, ma non avendo F. i soldi per cominciare la terapia, dovette tornare a casa. Quando mi informò le dissi che le avrei inviato altri soldi e così mi mandò il “preventivo” ricevuto in ospedale.

Restai stupito: sembrava la lista della spesa di una salumeria di ottant’anni fa, scritta su un foglio comune, che riportava a penna l’occorrente per la terapia e a matita il prezzo corrispondente.
Alla fine, la classica linea orizzontale e il risultato della somma. Non vi erano ricompresi solo i farmaci, ma anche il deflussore da utilizzare per le flebo, il catetere e addirittura i guanti, due aghi e il cerotto, al singolare, rigorosamente uno: “perfuseur (01), 1000 3.; catheter (01), 500; gants de soins (01), 200; seringues (02), 900” e l’emblematica voce finale: “sparadrap (01), 100 4”. La terapia veniva a costare in tutto 37500 franchi cfa 5, che le inviai.

Suite d’hôpital

La mattina dopo – e da sabato siamo arrivati a martedì – N. partì all’alba col suo motorino e la sua sconfinata pazienza per recarsi al più vicino ufficio Western Union e ritirare così i soldi, ma ecco un nuovo ostacolo: la linea era disturbata a causa del maltempo e la somma non era ancora disponibile, perciò l’operatore gli disse di ripassare nel primo pomeriggio. Dissi a F. di andare comunque in ospedale, ma mi disse che era impossibile perché senza contante il personale non l’avrebbe fatta accedere alle cure. E mi disse testualmente, col tono di chi non è né indignato né arrabbiato ma si limita a riportare dei dati di fatto: “Fanno morire le persone nel cortile”. L’avventura si prolungò di un’altra mezza giornata. Intorno alle due finalmente ritirarono i soldi e così, dopo quasi quattro giorni dalla comparsa dei sintomi e trentasei ore dopo la diagnosi, finalmente F. fu ricoverata e cominciò la terapia.

Con una video chiamata mi mostrò la stanza. Era sollevata e il suo sorriso esprimeva una sensazione di privilegio. Sembrava fiera come chi si trova in una ricca camera d’albergo, ma la “costosa suite” della situazione era una stanza completamente vuota, sembrava l’aula di una scuola in disinfestazione dopo essere stata seggio elettorale. All’interno solo una specie di comodino per appoggiare gli effetti personali e sul letto non c’era nemmeno una coperta (e mai gliene avrebbero date nei tre giorni successivi nonostante il freddo), ma solo il materasso. Come se non bastasse, F. passò la prima notte sveglia perché l’infermiere non era andato a staccare la flebo quando era finita, per cui la mano aveva cominciato a sanguinare. Il giorno dopo commentai sarcastico: «Con tutti i soldi che hanno voluto, ti hanno anche fatto perdere sangue!?». Rise.

  1. Sono laureato in Giurisprudenza all’Università di Salerno, dove attualmente collaboro al Progetto “Eu-Draw” sui valori dell’Unione europea, con particolare attenzione alle migrazioni. Mi occupo di assistenza ai migranti come volontario. In passato ho insegnato italiano presso un CAS e una casa famiglia, ho prestato servizio in Croce Rossa agli sbarchi avvenuti a Salerno e ho seguito la rivoluzione siriana per il portale “Young – Slow Journalism”
  2. Vale la pena di ricordare anche la corruzione e la violenza delle forze dell’ordine e degli interi apparati statali, le carenze sotto i profili dell’igiene, dell’amministrazione (la stessa ragazza di cui si parla nel testo afferma di essere i in attesa della carta di identità da più di un anno) e dell’elettricità (in molti casi i villaggi restano al buio dopo il tramonto), le razzie di gruppi terroristici, le discrepanze sociali e le disparità di genere, le condizioni di sovrappopolamento, i disastri ambientali e la mancanza di istruzione e lavoro
  3. Le somme sono espresse in Franchi CF
  4. 100 franchi cfa equivalgono a 14 centesimi di euro
  5. Circa 56 euro