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«Non chiamateli scafisti, sono capitani e capitane»

I numeri del 2022 del report "Dal mare al carcere"

Manifestazione a Bengazi, Libia, di amici e parenti dei cittadini libici condannati a 30 anni di carcere per aver fatto parte dell’equipaggio. Fonte: MEE.

Il progetto Dal mare al carcere’ di Arci Porco Rosso, Borderline Sicilia e borderline-europe sin dalla pubblicazione del primo report nell’ottobre 2021 si focalizza sullo sviluppo di reti solidali e di strumenti volti a contrastare il processo di criminalizzazione ai danni delle persone accusate di “scafismo”, che al posto di “scafisti” andrebbero chiamati capitani e capitane.

Le associazioni hanno proseguito per tutto il 2022 il lavoro di ricerca e analisi per documentare e conoscere le persone arrestate per aver guidato un barcone o un gommone e che sono finite in prigione con l’accusa di favoreggiamento all’immigrazione irregolare.

“Finché puoi parlare, non ti espelleranno dalla storia; finché puoi ascoltare, non ti esilieranno dal passato.”, scrivono le associazioni citando le parole di Alaa Abd El Fataah, prigioniero politico egiziano, «che esprimono bene l’importanza di far sentire le voci dietro le sbarre, sia per noi fuori che le ascoltiamo che per coloro che stanno dentro».

«Ci sembra giusto – sottolineano – citare le sue parole anche per rappresentare i tantissimi cittadini egiziani che si trovano in carcere in Italia, accusati o condannati insieme a tanti altri di un reato che per noi è altrettanto politico: favorire la libertà di movimento».

A maggior ragione, capire chi effettivamente sono i capitani e le capitane permette di contrastare anche le retoriche del governo Meloni che ha voluto immediatamente inasprire le politiche contro le persone migranti e soprattutto le Ong del soccorso civile, giustificandole come delle politiche “anti-trafficanti” e ricamandoci sopra una vera e propria narrazione falsa. «Affermazioni odiose – specificano le associazioni – che alimentano la demonizzazione di chi non fa altro che condurre oltre la frontiera imbarcazioni di persone in fuga, cercando di imporre nuovamente la figura dello scafista al centro della conversazione, come capro espiatorio universale a cui si possa addossare la responsabilità della morte e della violenza che avviene alla frontiera marittima italiana».

I dati forniti dal progetto: accusata una persona ogni 300 persone arrivate

Dalle testimonianze raccolte e dall’esperienza di anni di ricerca e militanza della rete che si è attivata in Sicilia, le persone accusate di essere “scafiste” hanno poco o nulla a che fare con quelle organizzazioni e gruppi violenti che opprimono e sfruttano le persone migranti durante il viaggio. Anzi, più spesso, sono gli accusati e la accusate ad essere esposte a questi metodi e sfruttati, in un periodo storico in cui di fatto è impossibile migrare attraverso via legali e sicure. «È importante notare che le organizzazioni criminali si evolvono per reagire e colmare il vuoto creato dalle politiche di chiusura dell’Europa, e sono il prodotto di politiche tutt’ora attuate in primis dal governo italiano», spiegano le associazioni.

I numeri del fenomeno di criminalizzazione hanno l’obiettivo di mostrare che è sbagliato identificare le persone che conducono gli scafi come trafficanti di esseri umani. La sistematicità degli arresti descritta nel report del 2021 rimane una costante dopo ogni sbarco anche nel 2022: sono infatti 264 le persone fermate. Questa cifra non è scientifica, sottolineano, ma si basa su quanto riportato dai giornalisti, soprattutto nella stampa locale. «Usando lo stesso metodo, l’anno scorso abbiamo contato 171 fermi, a fronte dei 225 fermi rivendicati dalla Polizia di Stato nel loro report annuale uscito ad aprile. Se abbiamo mantenuto lo stesso livello di precisione, possiamo stimare che il numero di fermi complessivamente nel 2022 è di 350 persone circa».

Secondo i dati del ministero, nel 2022 sono arrivate attraverso le rotte marittime 85.000 persone: il numero di fermi rappresenta quindi una persona ogni 300 persone arrivate, una proporzione simile al 2021, e complessivamente anche simile al periodo 2014-2017.

Grafici a cura del progetto ‘Dal mare al carcere’

Le diverse nazionalità fermate

Le associazioni illustrano i motivi per cui sono diverse rispetto allo stesso periodo di osservazione le nazionalità delle persone fermate.

«Negli anni successivi all’apertura della rotta libica, tantissime persone provenienti dall’Africa occidentale sono state arrestate, circa un quarto di tutti i fermi. Negli ultimi due anni, abbiamo contato meno di 10 fermi che coinvolgono cittadini di questi paesi. Questo calo nel numero di fermi di persone provenienti dall’Africa occidentale è dovuto a cambiamenti registrati sia nelle nazionalità prevalenti delle persone che scelgono di migrare, che nelle dinamiche delle rotte utilizzate. Illustrativo di questi cambiamenti è l’aumento del numero di persone provenienti dal Nord Africa e dall’Asia centrale fermate come capitani. Infatti, la polizia ha fermato il doppio delle persone nord-africane rispetto all’anno precedente: abbiamo contato 118 fermi nel 2022, a fronte dei e 61 nel 2021. Nell’ultimo biennio, come negli anni precedenti, la maggior parte di questi fermi coinvolgono cittadini egiziani. E infatti, il numero di egiziani che hanno deciso di affrontare i rischi del Mediterraneo quest’anno è più che raddoppiato rispetto all’anno scorso (18.285 rispetto a 8.576 , secondo i dati del Ministero). Un altro cambiamento significativo fra il 2021 e il 2022 è stato il calo nel numero di persone ucraine fermate dalla polizia. Nel 2021 abbiamo contato 32 fermi di ucraini in seguito agli sbarchi; nel 2022, solamente 9. Gli skipper ucraini storicamente sono stati fondamentali per l’arrivo delle persone che partono dalla Turchia, in quanto marinai esperti che sanno condurre una barca a vela durante la settimana di viaggio che occorre per attraversare l’Egeo e giungere fino alle coste italiane. Con lo scoppio della guerra, agli uomini è stato impedito di uscire dal Paese, indubbiamente un fattore determinante per la diminuita disponibilità degli skipper. L’importanza della rotta, d’altro canto, si è solamente intensificata. Di conseguenza abbiamo assistito al raddoppiarsi dei fermi di cittadini turchi (24 nel 2021, 52 nel 2022), e russi (7 nel 2021, 14 nel 2022) ma anche a molti più fermi di persone dal continente asiatico in generale: dai siriani ai bengalesi, passando da paesi senza sbocco sul mare, come il Kazakistan e il Tagikistan», spiegano nel report.

I capitani – e le capitane – seguite dal progetto

Le associazioni seguono 84 persone criminalizzate, 54 delle quali sono in carcere. Quasi metà di loro provengono dal Nord Africa, e un terzo dall’Africa Occidentale. Gli altri da paesi asiatici, dall’Africa Orientale o dall’Europa dell’Est. Tra le persone ci sono anche due donne detenute, una proveniente dalla Russia e l’altra dall’Ucraina.

Grafici a cura del progetto ‘Dal mare al carcere’

«Siamo riuscitə a metterci in contatto con queste persone grazie ad una rete che si sta allargando. Tante persone non detenute le abbiamo conosciute tramite lo Sportello Sans-Papiers di Arci Porco Rosso, mentre le lettere che scambiamo con i detenuti rappresentano non solo un modo importante per aggiornarci a vicenda sullo sviluppo della situazione legale e giudiziaria, ma anche – e forse soprattutto – un momento di incontro e un’opportunità di espressione.

I messaggi che ci arrivano sono di tutti i tipi, variano da racconti di vita quotidiana in carcere alla condivisione di momenti e ricordi. A volte sono messaggi tragici, in cui ogni parola ti fa sentire l’ingiustizia di una vita costretta dietro le sbarre, altre volte sono scherzosi e addirittura comici e riescono quasi a farti dimenticare la barriera fisica che ti separa dalla persona che li scrive. Per esempio, più di un giovane ragazzo ci ha scritto lettere strazianti sulla separazione dalla fidanzata dopo la condanna, raccontandoci le grandi difficoltà che queste giovani ragazze hanno dovuto affrontare nei loro paesi, sospese in attesa di un uomo imprigionato. Ma ci hanno condiviso anche gli scherzi e i disegni, e sempre calorosi saluti a tutte le persone che continuano a lottare al loro fianco per la loro libertà.

Abbiamo assistito a vari processi in tribunale nell’ultimo periodo, a Palermo, Agrigento e Messina. Essere presenti in aula ci ha permesso non solo di aiutare i legali a comunicare ai loro assistiti un percorso giuridico spesso complesso, ma anche di costruire insieme le strategie legali più adatte alle diverse situazioni. In più, il tribunale stesso a volte è diventato un luogo in cui intercettare ulteriori casi che altrimenti non sarebbero stati conosciuti da nessuno. Similmente, ci scontriamo con i Centri di Permanenza e Rimpatri (CPR), i non-luoghi di detenzione amministrativa dove, purtroppo, molti capitani si trovano a vivere un periodo di trattenimento successivo alla detenzione in carcere per il solo fatto di non avere documenti -oppure perché considerati, automaticamente, in quanto ex detenuti, socialmente pericolosi.

Nel 2022 abbiamo seguito un capitano del Biafra, richiedente asilo, rimpatriato in Nigeria prima di poter essere ascoltato dal giudice e abbiamo notizia di molti capitani tunisini a cui è toccata la stessa sorte. Purtroppo a volte neanche una sentenza di assoluzione evita il Cpr: è quello che è successo ad un cittadino libico, scagionato da ogni accusa, che dopo anni di integrazione in Italia si è visto arbitrariamente trattenuto in CPR (Centro di Permanenza per il Rimpatrio) perché ritenuto socialmente pericoloso per lo stesso reato per cui era stato assolto. Uno stigma che si traduce in una vera e propria persecuzione», sottolineano le associazioni che hanno lavorato anche con l’intento di far uscire direttamente la voce delle persone sotto processo.

Gli articoli sulle vicende personali

Numerose sono le testate che hanno raccontato le storie personali documentate dalle associazioni. Qui una lista dei principali articoli:

L’Essenziale – ANSAThe Post International – il Domani – New Humanitarian – Liberation 

Redazione

L'archivio di tutti i contenuti prodotti dalla redazione del Progetto Melting Pot Europa.