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Al confine tra Bielorussia e UE, le guardie di frontiera si rimpallano i migranti

di Aleksandra Shakova, Mediazona (rivista indipendente bielorussa)

PH: Piotr Czaban

La frontiera tra la Bielorussia e i paesi limitrofi UE in questo approfondimento pubblicato il 30 gennaio scorso da Mediazona, media indipendente bielorusso. La traduzione è stata curata da Sergio Urussov.

Ogni giorno in Polonia, Lituania e Lettonia si registrano tentativi di valicare la frontiera da parte di cittadini di paesi terzi in provenienza dalla Bielorussia. Le guardie di frontiera bielorusse indicano ai migranti la via per la foresta, i doganieri della sponda europea li rispediscono indietro. Allo stesso tempo, le diverse polizie di frontiera si scambiano periodicamente accuse di maltrattamento nei confronti dei migranti e annunciano la morte di alcuni di loro. «Mediazona» ha potuto parlare della crisi che oramai si protrae da più di un anno con dei cittadini afgani, che hanno tentato il passaggio delle frontiere, e con dei difensori dei diritti umani.

6500 dollari per dei geloni alle mani

Il ventiseienne Said, già militare nell’esercito afgano, è scappato dal suo paese per fuggire dalle persecuzioni dei talebani. Durante il suo sfortunato tentativo di superare la frontiera, ha sofferto di geloni alle mani e adesso si cura in un appartamento in affitto a Mosca. Delle cure di Said e dei suoi compagni si occupa l’associazione [russa] di difesa dei diritti dei migranti «Assistenza Civica» («Гражданское содействие»): Said aveva paura di rivolgersi a un dottore poiché il suo visto russo era già scaduto. È intenzionato a presentare una domanda d’asilo in Russia dato che il ritorno in patria sarebbe pericoloso per lui.

Per superare la frontiera Said e un suo amico hanno ingaggiato un «traghettatore» di nazionalità tagika; costo del servizio offerto: 6500 dollari. Settecento dollari pagati come anticipo, la somma restante consegnata in un luogo in Afganistan appositamente designato [dal passeur]. Said è arrivato in Russia prima di Capodanno, per tentare di entrare in Lettonia dalla Bielorussia. Benché in possesso di un visto russo, si trovava sul territorio bielorusso, secondo quanto riferisce, illegalmente.

In Bielorussia, la «guida» ha radunato gli amici con un gruppo di quasi quaranta persone che ambivano ad oltrepassare la frontiera. Nei pressi della frontiera, sono stati avvistati dalla polizia di frontiera bielorussa. Dopo qualche ora, racconta Said, gli hanno indicato come andare alla volta della Lettonia.

Arrivato in Lettonia, il gruppo di migranti è stato intercettato dalle guardie di frontiera. Inizialmente li hanno trattenuti in loco, prima di tradurli, in diverse macchine, in un luogo «non ben definito». Said racconta di essere stato piazzato in un grande hangar, a suo avviso parte di una base militare. Dopodiché, gli hanno preso le impronte digitali e sono stati perquisiti e interrogati. Più di tutto il resto, secondo Said, ai lettoni interessavano gli ex-militari, tant’è che li hanno interrogati separatamente. Intimorito, Said ha deciso di non svelare i suoi trascorsi militari.

A questo punto, i migranti sono stati ricondotti in piccoli gruppi alla frontiera, versante bielorusso. Il gruppo di cui faceva parte Said è stato acciuffato nelle foreste bielorusse. L’ex militare racconta che alle loro richieste di aiuto, uno dei bielorussi ha semplicemente risposto : «Aiuto chiedilo al tuo dio». Alcuni di loro non mangiavano da più di un giorno ed erano [ tutti ] congelati.

Rilasciati dopo qualche ora, sono riusciti a mettersi in contatto con la loro “guida” e a raggiungere un luogo d’incontro designato dal quale sono ripartiti alla volta di Minsk. Lo stesso passeur li ha poi messi in contatto con un trasportatore che per la cifra di 300 dollari li ha poi condotti fino a Mosca.

Nel gelo, Said e il gruppo hanno trascorso più di 36 ore. Stando alle sue parole, vi era chi si trovava nel limbo della zona di frontiera già da 20 giorni. Uno di loro, ci dice Said, è morto. Nel gennaio di quest’anno, il Comitato per i confini di Stato della Repubblica di Bielorussia ha riferito della morte di un cittadino afgano alla frontiera tra la Bielorussia e la Lettonia.

Faim, il traduttore di «Assistenza Civica», grazie al quale «Mediazona» ha potuto dialogare con Said, ci spiega che molti abitanti dell’Afganistan fuggono dal Paese a causa del regime dei talebani. Alcuni di loro si vedono costretti a vendere la propria casa e altri beni al fine di recarsi fino in Bielorussia o in Russia per provare a superare la frontiera [con un paese dell’Unione Europea]. Alcuni tra gli afgani provano a domandare l’asilo in Russia, una possibilità, quest’ultima, per loro di provare a regolarizzare la propria situazione, lavorare e non dover più tornare in patria. Faim aggiunge che non sempre le autorità migratorie della Federazione Russa vengono incontro a quest’ultimi. Succede che le richieste d’asilo non vengano accolte o che i tempi di attesa della decisione si moltiplichino all’infinito.

Prima superano la frontiera, poi vengono respinti indietro in Bielorussia

La crisi umanitaria iniziata nel 2021 alla frontiera tra la Bielorussia e l’Unione Europea si protrae fino ad oggi. Regolarmente, le autorità bielorusse riferiscono della morte di migranti nella zona di frontiera, accusando i paesi limitrofi di abusi nei loro confronti. A loro volta, guardie di frontiera e giornalisti polacchi pubblicano regolarmente video che ritraggono ignoti in divisa mimetica che accompagnano gruppi di migranti lungo la frontiera o, addirittura li malmenano.

Secondo quanto riportano attivisti e difensori dei diritti umani, in contatto con alcuni migranti, questi ultimi sono costantemente soggetti a respingimenti nella zona di confine: attraversano il confine tra la Bielorussia e l’Unione Europea, ma vengono respinti. Allo stesso tempo, le guardie di frontiera bielorusse non consentono loro di tornare dalla zona di confine a Minsk.

Per quanto «Mediazona» non sia in grado di verificare per intero la veridicità del racconto di Said, le sue parole implicitamente confermano quanto contenuto nel rapporto di Amnesty International sulla situazione e le condizioni dei migranti nella zona frontaliera 1. Citando la guardia di frontiera lettone, il rapporto dice che a provare ad oltrepassare sono spesso le stesse persone. Il documento, inoltre, contiene informazioni sulle numerose espulsioni di migranti dal territorio della Lettonia nonché su atti di violenza nei loro confronti. Secondo gli attivisti per i diritti umani, i migranti detenuti alla frontiera vengono trattenuti sotto sorveglianza in tende prive di servizi igienici, senza cibo a sufficienza e in seguito sono espulsi verso la Bielorussia.

Secondo la relazione di Amnesty, a partire da agosto 2021 a maggio 2022, solo a 156 tra le persone che hanno attraversato la frontiera illegalmente è stato permesso di rimanere sul territorio lettone per motivi umanitari. Le conclusioni di Amnesty si basano su interviste effettuate di persona, foto e video forniti dai migranti nonché documenti giudiziari e fogli di via.

Affogato a causa del peso dello zaino fradicio

Il ventunenne Musa, originario del Sudan, è partito verso la Francia, paese di residenza della sorella, per cercare di sbarcare il lunario e poter aiutare finanziariamente i genitori e le sorelle rimaste in patria.

La storia della sua morte alla frontiera tra la Bielorussia e la Polonia è raccontata dal blogger polacco «Czaban robi raban» 2 in un documentario realizzato in collaborazione con diverse associazioni attive nel campo umanitario.

Musa ha lasciato il Sudan l’11 settembre 2022. È arrivato alla frontiera polacco-bielorussa passando dalla Russia. Il piano di Musa era di fare una tappa in Polonia, il primo paese sul suo itinerario che considerava come sicuro. Musa, così come Said, è rimasto bloccato nella zona di confine.

Il 3 ottobre, le guardie di frontiera bielorusse hanno spinto verso la Polonia il gruppo di migranti del quale faceva parte Musa. Per attraversare la frontiera avrebbero dovuto guadare il fiume Svisloch non lontano dal villaggio di Krynki. Musa non sapeva nuotare; il suo zaino bagnato l’ha tirato verso il letto del fiume.

I restanti componenti del gruppo sono stati accolti dalle guardie di frontiera polacche ma non sono riusciti a salvare Musa. La salma del sudanese non è stata ripescata immediatamente. Diversi attivisti si sono messi in contatto con la famiglia di Musa e con dei rappresentanti della diaspora sudanese in Polonia (la diplomazia sudanese non ha rappresentanze consolari in Polonia). Da ultimo, è stata la procura polacca a prendere contatto con l’ambasciata sudanese in Germania. Gli autori del documentario affermano che gli apparati burocratici hanno messo i bastoni tra le ruote al processo di rimpatrio della salma. Alla fine, Musa è stato seppellito in Polonia.

Procedimenti penali nei confronti di chi porta soccorso agli esiliati

Nikita Matyushenkov, il direttore dell’organizzazione bielorussa in Lituania Respect-Protect-Fulfill, dice che nella zona di frontiera, i migranti non possono contare sull’aiuto di nessuno. Capita alle volte che ricevano acqua e cibo da parte delle guardie di frontiera o di attivisti o volontari. Quest’ultima, aggiunge, però, è un’evenienza più che rara. Questo accade poiché nel 2021 la Lettonia ha instaurato lo stato di emergenza in tutta la regione frontaliera (così come la Lituania e la Polonia). Ciò ha portato al divieto per i difensori dei diritti umani di trovarsi in quelle regioni. Allo stesso tempo le guardie di frontiera sono state autorizzate a rifiutare (in loco) le richieste di asilo.

«Hanno il diritto di ricevere domande di asilo da parte di “gruppi di persone vulnerabili”. Si tratta però di una formulazione molto vaga. Oltretutto quando ti trovi al freddo e al gelo nella foresta, difficilmente riesci a dimostrare la tua vulnerabilità», ci dice Matyushenko.

L’avvocato precisa: indagare le circostanze particolari di ogni caso, in una situazione normale, non è una competenza che ricade sotto le responsabilità di una guardia di frontiera. L’esame per accertarsi che vi siano dei fondamenti per la richiesta d’asilo dovrebbe essere condotto in una sede consona, presso l’ufficio immigrazione o un qualsiasi dipartimento competente.

«Abbiamo avuto notizia di un gruppo di siriani bloccati nella zona di frontiera per un mese e mezzo durante l’inverno. Non c’erano assolutamente condizioni di vita accettabili. Dormivano nella foresta, di tanto in tanto le guardie frontiera bielorusse o lettoni gli distribuivano da mangiare, non più di un pacchetto di biscotti e un bottiglia d’acqua al giorno», racconta il direttore di Respect-Protect-Fulfill.

Al gruppo di siriani degli attivisti lituani, insieme all’organizzazione lettone «Gribu palīdzēt bēgļiem», sono riusciti ad ottenere delle misure protettive presso la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo. La Corte ha accolto la loro richiesta e ha ordinato alla Lettonia di fornire ai migranti cibo, acqua, vestiti, cure mediche adeguate e un rifugio temporaneo. Tuttavia, sottolinea Matyushenko, questa decisione non si applica in uguale misura ad altri migranti.

In seguito alla decisione della CEDU, la notte tra il 12 e il 13 gennaio gli attivisti lettoni Leva Raubishko e Eghils Grasmanis si sono recati nella zona di frontiera. In loco, hanno rinvenuto un gruppo di cinque migranti. Gli attivisti hanno (immediatamente) chiamato un’ambulanza e preso contatto con le guardie di frontiera.

Tutti e cinque i migranti hanno potuto ricevere le cure mediche necessarie mentre nei confronti dei militanti è stato aperto un procedimento penale per trasporto illegale di persone attraverso la frontiera.

  1. Latvia: Return home or never leave the woods: Refugees and migrants arbitrarily detained, beaten and coerced into “voluntary” returns, Amnesty (ottobre 2022)
  2. Piotr Czaban, giornalista e un musicista. Negli ultimi 13 anni ha lavorato per TVN24. Ha realizzato reportage e inchieste. È stato il primo giornalista a raccontare ciò che è accaduto a Usnarz Górny il 17 agosto 2021. «E poiché vengo da qui, dalla terra di confine polacco-bielorussa, il tema della crisi dei rifugiati è entrato a far parte della mia vita e sono diventato parte di ciò che sta ancora accadendo qui», spiega Piotr Czaban. Il suo canale YouTube