Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

Arrivata a Napoli la Sea Eye 4 con a bordo feriti e cadaveri: tanta solidarietà e critiche al governo

«C'erano porti sicuri più vicini. Il governo deve smettere di prolungare le sofferenze delle persone salvate»

Photo credit: Pietro Bertora - Sea Eye 4

Accolti al coro “Solidarité avec tous les réfugiés” e da applausi di sostegno da un gruppo di manifestanti con bandiere e striscioni, si è conclusa lunedì 6 febbraio al porto di Napoli la missione di Sea-Eye 4. A bordo della nave umanitaria 105 persone soccorse e due decedute. Per l’Ong è stata una delle missioni più difficili, c’è rammarico e dolore per la morte di tre persone.

Riprese video di Martina Morini – Sea Eye 4

Nella notte tra giovedì 2 e venerdì 3 febbraio, l’equipaggio di Sea-Eye 4 ha infatti condotto due missioni di salvataggio. Due persone sono state recuperate morte e un’altra persona è morta in ospedale domenica dopo un’evacuazione d’emergenza. In precedenza, un’altra persona era stata evacuata e continua a essere curata in un ospedale. Tra i morti c’è una giovane madre il cui bambino è tra i sopravvissuti. Tra le persone salvate, 35 sono i minori, tra cui 22 non accompagnati e un neonato di dieci giorni con i genitori. Alcuni naufraghi sono gravemente ustionati.

«Nel complesso – ha raccontato la dottoressa Angelika Leist – è stata l’esperienza più drammatica che ho vissuto in mare. Soprattutto le persone del primo salvataggio erano in condizioni di salute estremamente precarie quando sono arrivate a bordo con noi. Avevano trascorso sei giorni sulla barca senza cibo e senza acqua potabile. Sono stati portati a bordo due corpi. È stato un momento molto duro per tutti».

Sea-Eye 4 ha denunciato il cinismo delle autorità italiane: nonostante fossero a conoscenza della situazione a bordo e della presenza di persone decedute, «hanno prolungato la sofferenza dei sopravvissuti assegnando il porto di Napoli, a più di 480 km di distanza». In precedenza, le autorità italiane avevano addirittura indicato il porto di Pesaro, distante 1.000 km. Per Sea-Eye 4 «un porto siciliano sarebbe stato molto più veloce da raggiungere e le persone avrebbero avuto un accesso molto più rapido alle cure mediche di cui avevano bisogno».

«I porti della Sicilia meridionale potevano essere raggiunti molto prima. Il governo italiano deve smettere di rendere più difficile il lavoro delle organizzazioni di soccorso in mare, prolungando così anche la sofferenza delle persone in cerca di protezione. Tutte le risorse governative e civili disponibili devono essere utilizzate per evitare il maggior numero possibile di morti. È un continuo crimine contro l’umanità», ha dichiarato Gorden Isler, presidente di Sea-Eye e.V. .

Ancora una volta poche ore dopo lo sbarco ci sono state tre persone frettolosamente arrestate con l’accusa di concorso in favoreggiamento aggravato dell’immigrazione irregolare. Secondo l’esperienza del progetto di ricerca “Dal mare al carcere“, le persone vengono arrestate e accusate di essere “scafiste” solo per aver guidato il barcone o il gommone, ma hanno poco o nulla a che fare con quelle organizzazioni e gruppi violenti che opprimono e sfruttano le persone migranti durante il viaggio. Anzi, più spesso, sono gli accusati ad essere esposti a questi metodi e sfruttati, magari perché non hanno i soldi per pagare la traversata dalla Libia oppure perché sono stati minacciati e obbligati a mettersi al timone.

Anche nel caso di questi arresti nei media mainstream lo scafista è diventato il capro espiatorio a cui addossare la responsabilità della morte e della violenza che avviene alla frontiera marittima.

Redazione

L'archivio di tutti i contenuti prodotti dalla redazione del Progetto Melting Pot Europa.