Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
La protesta davanti al Teatro di Av. Bourghiba a Tunisi, per la CommemorAzione di sabato 4 febbraio 2023. (Ph: Luca Ramello e Riccardo Biggi)

CommemorAzione: solidarietà tra Italia e Tunisia per i dispersi in mare

di Vincent Bianco, Ludovica Gualandi e Luca Ramello

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Il mese di Febbraio comincia con un evento importante svoltosi in varie località del Mediterraneo, la “CommemorAzione” in memoria delle vittime dei confini europei e delle politiche migratorie assassine e liberticide dell’UE. Una manifestazione internazionale per ricordare la tragedia che lega le due sponde del mare, nata dall’ampliamento della “Marcha por la Dignidad” che da 10 anni si svolge a Ceuta, in ricordo della strage di Tarajal del 2014. In quell’anno, la Guardia Civile Spagnola colpì oltre 200 persone con proiettili di gomma e altre armi antisommossa, mentre queste cercavano di raggiungere la spiaggia dell’enclave spagnola a nuoto. Dopo la prima “CommemorAzione” svoltasi a Oujda (Marocco) dal 6 all’8 febbraio, l’evento si ripete annualmente in Africa e in Europa. Quest’anno, le società civili hanno organizzato proteste in Camerun, Libano, Marocco, Niger, Senegal, Togo, Tunisia, Sahara Occidentale, Austria, Francia, Germania, Grecia, Italia, Olanda, Spagna e Svizzera. 

In questo articolo, ricordiamo con speciale attenzione due luoghi in cui si è tenuta questa manifestazione: Tunisia e Italia, più precisamente a Zarzis, Tunisi e Lampedusa. La prima è conosciuta per le numerose partenze dei viaggi irregolari per le coste italiane, l’ultima per i numerosi arrivi dal Nord Africa.

Nonostante la tristezza e il vuoto, dovute a politiche xenofobe e incompetenti, la resistenza delle famiglie dei dispersi e di varie associazioni della società civile si è fatta sentire, e con forza, in entrambi i Paesi.

Zarzis: cittadina di pescatori al confine con la Libia che, dal 2011, è diventata il luogo prediletto per l’immigrazione irregolare verso l’Italia, harqa in arabo tunisino. Ed è su queste coste che i pescatori ritrovano i corpi di chi non arriva alla fine del viaggio. Sabato 4 febbraio, le famiglie dei dispersi in mare si sono messe in viaggio per Tunisi per partecipare alla manifestazione, ripetutasi domenica a Zarzis. Spesso provenienti dai contesti più sfavoriti economicamente, nonostante la fatica crescente e il lungo viaggio che hanno dovuto affrontare, si sono radunate davanti al Teatro di Avenue Bourghiba e hanno denunciato i governi europei, italiano e tunisino per la loro cooperazione finalizzata ad impedire alla stragrande maggioranza dei non-occidentali di raggiungere l’Europa in maniera sicura e regolare. 

Chiedono che sia istituita una commissione d’inchiesta per scoprire la verità sulla morte dei loro famigliari, proprio la stessa settimana in cui Kais Saied ha rilasciato una problematica dichiarazione circa la strage del 21 settembre 2022 al largo dì Zarzis. Mentre il presidente tunisino afferma che la tragedia sia frutto di un buco nella barca artificialmente causato da qualche criminale, le famiglie non posseggono alcuna di queste informazioni, le quali allo stesso tempo non sono nemmeno reperibili negli atti giudiziari. 

Un tentativo per cercare di inserire questa tragedia prevedibile in una cornice criminalizzante e individualizzante, cercando di deviare l’attenzione dalle criticità del sistema legale e liberticida messo in essere dagli accordi europei con il governo tunisino e non solo. D’altra parte, il portavoce di FTDES (Forum Tunisino per i Diritti Economici e Sociali) Romdhane Ben Amor ricorda che la comunità di Zarzis è consapevole dell’insabbiamento della verità da parte delle autorità tunisine: gli agenti di stato locali hanno infatti sepolto i corpi dei cittadini recuperati in mare senza informare le famiglie. 

“Non perdoniamo e non dimentichiamo”. Striscione apposto sulla spiaggia di Zarzis il 5 febbraio 2023.  (Ph: Jelila Henim Tamallah)

Il governo tunisino rifiuta in tutti i modi ogni responsabilità per le sue scelte politiche, anche cercando di indebolire la libertà di espressione. Dato che né il governatore di Tunisi, né le autorità di polizia hanno dato l’autorizzazione agli organizzatori della protesta di montare un gazebo per mostrare le foto che raccontano la lotta dei familiari dei dispersi nel mediterraneo, più di 30 ONG hanno utilizzato la scalinata del teatro per esporre gli striscioni e mostrare la documentazione. Una lunghissima banda che riportava tutti i nomi delle 48.647 vittime dei confini europei documentate campeggiava ai piedi dei protestanti. Dietro, il megafono è passato di mano in mano per amplificare la voce delle madri dei dispersi:

«Signor presidente, basta dormire! Ti abbiamo votato perché ci portassi i nostri figli, perché vogliamo sapere la verità. Perché ti abbiamo votato noi, per stare sedute ad aspettare? Noi madri non ci arrendiamo. Scendiamo in strada per la verità sui nostri figli! Signor presidente, per dio, fai qualcosa!». Niente. Né la guardia costiera, né il governatore, né la polizia hanno aiutato queste donne a ritrovare i figli, partiti su un barcone. «Sono quindici anni che noi soffriamo. E siamo sempre di più, da Zarzis e dal resto del paese, per i nostri figli! Da Tunisi, da Ben Garden, da Binzart. Il mare sta prendendo i nostri figli, sta svuotando Tunisi dei suoi giovani».

Fra le associazioni partecipanti era anche presente “Semelle d’Afrique” la quale ha rappresentato e dato voce alle esperienze dei subsahariani in Tunisia. Anch’essi sono bloccati nel paese e vedono negato il loro diritto umano a partire, essendo al contempo sempre più soggetti a discriminazioni razziste in un clima sociale ed economico provato dall’inflazione e dall’immobilismo politico. Molti di loro, davanti alla negazione di tutte le possibilità di lasciare il Nord Africa, decidono di tornare in Libia, rischiando la schiavitù e uno sfruttamento ancor peggiore di quello che già vivono nell’economia informale tunisina, solo per avere maggiori possibilità di partire e raggiungere le coste europee.

«Perché la banana e il cacao non prendono il visa per andare in Europa? Oggi ci chiedono i visti per spostarci. Perché la libera circolazione delle persone è negata? Denuncio l’Ue e i poteri pubblici per l’ingerenza in Africa che causa così tanti morti! A causa di questa ingerenza i nostri fratelli sono morti nel mediterraneo. Spendono miliardi per la sicurezza nel mediterraneo per negarci la libertà di movimento, e oggi si contano anche a migliaia i morti dell’Africa. Liberate le frontiere, perché le vostre frontiere uccidono! I visti uccidono!».

Tunisini e subsahariani sono insieme in questa tragedia. Entrambi sono vittime di un sistema che li imprigiona e non permette loro di uscire, se non rischiando la morte. Mentre gli europei viaggiano in sicurezza con l’aereo, gli africani sono costretti a imbarcarsi sulle cosiddette “barche della morte” in condizioni di insicurezza. E così a Zarzis, domenica 5 febbraio, tunisini e subsahariani si sono riuniti nella lotta. Una delegazione di madri tunisine partite da Tunisi insieme alle ragazze Sans VISA ha incontrato le famiglie dei dispersi di Zarzis del naufragio del 21 settembre 2022 e il gruppo di donne migranti sub-sahariane di FreeFemmes che hanno perso molti dei loro cari e familiari, in Libia, nel deserto (lungo il confine tunisino-libico) e in mare. Nella piazza di Zarzis hanno organizzato un momento di discussione, manifestazione e partecipazione in memoria di tutte le vittime delle frontiere. Hanno piantato fiori sulla spiaggia e steso un nuovo lenzuolo della memoria: “Migrare è un diritto, non dimenticheremo né perdoneremo!”

Fiori piantati sulla spiaggia di Zarzis. (Ph: Jelila Henim Tamallah)

Nella stessa giornata, si è tenuta la CommemorAzione sulla piccola isola di Lampedusa, dalla natura arida e secca che ricorda la calda terra nordafricana. L’evento si scaglia contro l’ingiustizia delle politiche italiane ed europee legate al soccorso e all’accoglienza delle persone in transito che, sempre più spesso dalle coste tunisine e libiche, arrivano sull’isola. Una ventina di chilometri quadrati sono teatro di un fenomeno di proporzioni ben maggiori. Ai suoi 6373 abitanti si sommano, a partire dal 2015 – anno di istituzione dell’hotspot di Lampedusa – migliaia di persone in movimento di varia provenienza che, in uno stato detentivo e di marginalizzazione, vivono all’interno del reticolo di filo spinato che li separa nettamente dalla vista e della vita degli autoctoni dell’Isola. 

L’evento CommemorAzione tenutosi per la prima volta quest’anno sull’isola è stato organizzato e messo appunto dalla neonata associazione “Maldusa” ed ha visto la partecipazione di varie realtà associative, ONG e singoli individui attivi sul territorio siciliano tra cui membri di Mediterranean Hope (presente sull’isola dal 2014 con l’osservatorio migrazioni e i vari progetti ad esso connessi), Sea Watch e rappresentati del progetto Mem.med (Memoria mediterranea), nonché mediatori linguistici che lavorano nell’hotspot e abitanti dell’isola. 

Ciò che è trapelato dalla CommemorAzione di Lampedusa riflette le difficili dinamiche isolane, fortemente affette dall’abbandono italiano e europeo per la gestione dei nuovi arrivi sull’isola, della crescente e totalizzante militarizzazione dell’isola e da una problematica sur-mediatizzazione e spettacolarizzazione del tragico fenomeno migratorio sull’isola. Queste dinamiche hanno di fatto condotto alla normalizzazione della morte causata dai confini europei e alla conseguente disumanizzazione delle sue vittime.

L’importanza di questa azione attiva di ricordo e denuncia risulta ancora più evidente a fronte degli eventi che hanno, negli ultimi giorni, caratterizzato la vita dell’isola. Il 6 gennaio, tre persone (fra cui un bambino di un anno) hanno perso la vita a poche miglia dall’isola, mentre altre 30 sono state portate in salvo. Il 3 febbraio, 42 persone sono state tratte in salvo e altre 8 hanno perso la vita. Queste cifre non bastano per rendere conto della vastità e della criticità del fenomeno migratorio nella rotta del Mediterraneo Centrale, e non solo. In questa sottile striscia di mare, imbarcazioni sempre più precarie tentano la mortale traversata mediterranea e, molto spesso subendo naufragi o intercettazioni delle varie guardie costiere, cercano di approdare sull’isola. 

Murales di Punta Favaloro, simbolo degli sbarchi nell’isola di Lampedusa. (ph: Ludovica Gualandi)

Nonostante questi sconcertanti eventi, prodotti dalla gestione italiana ed europea della migrazione, alcuni attori e realtà del contesto lampedusano si sono mostrati reticenti ad affrontare pubblicamente e politicamente le responsabilità degli attori istituzionali. Questo silenzio da parte di alcuni degli attori coinvolti ha reso molto difficile la denuncia aperta delle politiche italiane ed europee in occasione della CommemorAzione, che si è tramutata in un momento di raccolta commemorativa e di riflessione sulle frontiere e sulla vita umana, me nella quale la componente più azionaria e di denuncia ha dovuto adattarsi a un contesto chiuso e non partecipativo. 

Il corteo iniziato in via Roma si è poi spostato al Belvedere, punto panoramico dell’isola vicino al porto, simbolo dei molteplici arrivi a Lampedusa. I manifestanti hanno innalzato verso il mare uno striscione con un elogio alla libertà di movimento in più lingue, hanno letto alcune poesie del poeta sudanese Wahel Wahab Latinos, scritte pochi giorni prima di perdere la vita in mare in un naufragio al largo della Libia nell’agosto 2020. Tante sono state le candele accese dai partecipanti per ricordare le vittime delle frontiere europee, siano essi morti, dispersi, famiglie e vittime “secondarie” della fortezza d’europa. Una piccola processione è poi scesa fino al molo e, in silenzio, i partecipanti hanno gettato fiori nell’acqua per le migliaia di persone i cui corpi non sono mai stati restituiti dal mare.

I fiori gettati in ricordo delle vittime delle politiche migratorie UE al Belvedere. (Ludovica Gualandi)

Tra le due sponde del mare, così diverse ma così simili, una voce unica si è sollevata: giustizia, verità e riparazione per le vittime delle politiche migratorie europee. Ricordiamoci di questi giorni, perché la CommemorAzione non si ferma qui. Nei prossimi mesi, in Sicilia e in Tunisia, attori della società civile implicati nella migrazione lavoreranno duro per documentare le violazioni dei diritti umani, per salvare le persone in mare, per cercare di cambiare le politiche, per combattere il razzismo. Una battaglia lunga: ma ancora più lunga è l’attesa di chi aspetta le notizie di una persona cara, partita per mare. Facciamoci forza e andiamo avanti.

Luca Ramello

Sono ricercatore in studi sulle migrazioni e attivista per la libertà di movimento. Opero principalmente in Italia e in Tunisia e lavoro come giornalista.

Vincent Bianco

Arabista e ricercatore di scienze politiche e antropologia delle migrazioni nel mediterraneo.