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Il governo greco chiude Eleonas Camp ad Atene

I residenti sono stati «trasferiti» in campi dell’entroterra

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di Elisa Attanasio 1

Eleonas, l’unico campo profughi dentro Atene città è stato chiuso da un paio di mesi, dopo una lunga resistenza degli abitanti. Se lo sgombero era stato annunciato a novembre 2021, le ultime persone che vi abitavano sono state infatti spostate solo un anno dopo. Durante questi lunghi mesi (soprattutto in quelli estivi e autunnali del 2022), i residenti hanno organizzato una lotta, hanno fatto sentire la propria voce per opporsi a una decisione ingiusta. Perché chiudere l’unico campo della città? Perché forzare gli abitanti a spostarsi in zone ancora più marginali? Perché allontanarli sempre di più – fisicamente ma non solo – da scuole, ospedali, opportunità di lavoro?

PH: Elisa Attanasio

A fine gennaio mi trovo ad Atene; una domenica mattina prendo la metro fino alla fermata che porta lo stesso nome del campo (ex campo): Eleonas. Si trova a sole due stazioni da Monastiraki, il centro storico e turistico della capitale. Come ogni domenica mattina, subito fuori dalla fermata della metro c’è un enorme mercato delle pulci, ai lati della strada principale e dentro un grandissimo capannone.

Mi aggiro incuriosita; non ci sono turisti. Bisogna stare attente a dove mettere i piedi, perché su teli adagiati per terra i commercianti (in prevalenza rom) hanno deposto la propria merce recuperata: bambole, fili elettrici, quadri, telefoni, orologi, parrucche, elettrodomestici, fiori di plastica, scarpe, dischi e musicassette, tazzine, piatti, posate e scatole di ceramica, biciclette, lampadari, ferri da stiro, schermi di computer, chiodi, martelli, caschi, statuette romane, occhiali da sole e occhiali da vista, calcolatrici, forbici, macchinine giocattolo, teiere, valigie e cinture, tarocchi, collane e bottiglie vuote, una chitarra, vecchi giornali, un giacchetto da torero. Provo a pensare a un qualsiasi oggetto: so che qui posso trovarlo. Anni fa, questo mercato si teneva a Gazi, quartiere più centrale ora pieno di airbnb, ristoranti e locali; nel 2015 i commercianti vengono sgomberati.

Lo stesso è avvenuto per il campo profughi di Eleonas, chiuso per fare spazio al nuovo stadio del Panathinaikos e al suo enorme parcheggio.

Continuo a percorrere la strada del mercato e dopo pochi minuti mi trovo di fronte al muro del campo: infilo l’obbiettivo della macchina fotografica nelle fessure, riuscendo a inquadrare alcuni container prima che la sicurezza (perché c’è la sicurezza dentro un campo vuoto e chiuso?) mi chieda per quale giornale scrivo e mi dica che me ne devo andare.

Cammino lungo le recinzioni. Immagino come dovessero vivere, in questi 300 container, i cinquecento bambini, le quattrocento donne e i settecento uomini che, stando all’ultimo rapporto dell’IOM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni), risiedevano qui nell’ultimo periodo, giunti prevalentemente da Congo, Afghanistan e Siria. Immagino come abbiano appreso la notizia dello sgombero, nel novembre del 2021. Come si siano organizzati per la resistenza e abbiano lottato insieme contro un’ennesima deportazione. Alcune scritte sui muri di recinzione testimoniano un comune desiderio: “liberté pour tous”, “don’t close the camp”, “papiers à tous les immigrés”.

PH: Solidarity With Migrants

Parlo con Erasmo Sossich, ricercatore e attivista che ha partecipato alla resistenza e ne ha dettagliatamente scritto 2. Mi dice che in tre mesi di solidarietà, non ha mai preso in mano un megafono, perché gli abitanti di Eleonas avevano la loro organizzazione e le loro strategie: gli altri attivisti sono stati al loro fianco, come consiglieri, mediatori e a volte scudi umani. Parliamo della capacità delle persone in movimento, ormai stremate da viaggi disumani, attese infinite e abusi continui, di mobilitarsi in maniera compatta, al punto di minare la governamentalità in ambito migratorio. Perché alla fine lo sgombero è avvenuto sì, ma la lotta è stata lunga ed efficace, costringendo l’altra parte a continui cambi di strategia (alla fine, infatti, i trasferimenti sono stati fatti alla spicciolata, caricando una famiglia alla volta in piccoli van, dopo le minacce di bloccare la procedura di richiesta d’asilo nel caso di un rifiuto di spostamento).

A seguire la resistenza è stato anche il collettivo Solidarity With Migrants, che riunisce attiviste e attivisti provenienti da diversi contesti politici ed esperienze di lotta (movimento operaio, antifascismo, trans-femminismo, anarchismo) e agisce contro la politica anti-immigrazione dello Stato greco e dell’Unione europea, secondo i principi dell’auto-organizzazione. Sono loro che il 7 agosto 2022 hanno lanciato una chiamata urgente di solidarietà per l’imminente sgombero del campo, interrogandosi al tempo stesso sull’istituzione-campo (“How can we simultaneously fight for a specific camp to remain and for the abolishment of camp-system?”) e ricordandoci che la resistenza degli abitanti di Eleonas è più vasta del campo: “This struggle is anti-racist and anti-capitalist”.

A emergere è stata la volontà autonoma di un ‘popolo’ – quello di Eleonas – che in maniera informale, senza il bisogno di un salvatore bianco, si è messo davanti ai cancelli con qualche cassonetto e un po’ di bidoni, ma soprattutto con i corpi e le voci. A sentire i racconti di Erasmo e a guardare i video che circolano on line, è stato principalmente un gruppo di donne congolesi a portare avanti la mobilitazione: donne incinte, in reggiseno, con bambini in braccio o legati sulla schiena, che urlano, cantano e sbattono pentole per giorni. Guardano in faccia i poliziotti, esigono risposte che nessuno di loro potrà dare: “we are human, we are not animals”; “all of you are racist, all of you”; “You are beating a woman with a kid”; “you are beating a pregnant woman, which country is this?”; “Don’t you have a woman? Don’t’ you have a kid?”; “Can you see your kid living in this condition?”; “Can you accept that? Answer me, I want you to answer me”.

Donne, ragazze e bambini che hanno visto l’inferno e continuano a gettare il proprio corpo nella lotta.

  1. Ricercatrice in letteratura italiana contemporanea all’Università di Bologna. Attivista sulla Rotta Balcanica nel supporto alle persone in movimento e nel reportage
  2. «Atene, la resistenza nel campo profughi di Eleonas» #1 e #2, Napoli Monitor (gennaio 2023)