Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Arianna Poletti (Manifestazione antirazzista a Tunisi)

In Tunisia è razzismo di Stato: le voci della comunità subsahariana

Le dichiarazioni del Capo di Stato Saïed provocano una campagna d'odio violenta nel paese

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In Tunisia è caccia alle persone subsahariane dopo le parole d’odio del presidente della Repubblica Kais Saied. La prima risposta di piazza è stata sabato 25 febbraio a Tunisi.

Violente aggressioni e pestaggi, minacce per strada, incendi e devastazioni delle abitazioni, sfratti di intere famiglie, aumento improvviso degli affitti e delle spese, licenziamenti in tronco, fino ad arrivare ad alcuni omicidi. Ecco le testimonianze dirette che abbiamo raccolto negli ultimi giorni.

In Tunisia si teme l’inizio di una pulizia etnica incitata dallo Stato. Questo da quando il capo di Stato Kaïs Saïed ha pubblicato la relazione del Consiglio di Sicurezza Nazionale del 21 febbraio 2023 1, facendosi interprete dell’idea cospiratoria di “un accordo criminale preparato dall’inizio di questo secolo per cambiare la composizione demografica della Tunisia“, nell’ambito di un programma esterno pianificato per sostituire la popolazione araba del paese. Lo stesso discorso è portato avanti del Partito Nazionalista Tunisino, che parla di una “ri-colonizzazione subsahariana2. I sostenitori più convinti puntano ad eliminare la comunità subsahariana dal Paese in pochi mesi. Nei fatti, il livello delle violenze razziste ha raggiunto in poco tempo picchi inimmaginabili, comprensibili solamente attraverso le testimonianze dirette 3 delle poche persone che, nonostante il clima di terrore, hanno comunque deciso di parlare.  

Il discorso di Kaïs Saïed del 21 febbraio 2023, seppure istituzionalmente rivolto alla discriminazione delle persone in situazione non regolare, ha svolto un ruolo decisivo nel legittimare velocemente l’odio razziale nei confronti della totalità della comunità nera. Il presidente ha  esortato le autorità ad agire “a tutti i livelli possibili: diplomatico, securitario e militare” per far fronte all’immigrazione irregolare di cittadini subsahariani, nonché ad “un applicazione severa della legge sullo status di rifugiato in Tunisia e sull’attraversamento illegale delle frontiere”. Ma nella pratica tutte le persone nere, cittadini e cittadine tunisini compresi, soffrono in questi giorni di un terrore inaudito.

Testimonianze sulle violenze razziste in Tunisia

Da settimane le forze dell’ordine tunisine procedono a rastrellamenti ed arresti arbitrari di membri della comunità subsahariana, siano essi migranti irregolari o studenti con permesso di soggiorno regolare, nei pressi del confine algerino o anche sul posto di lavoro. Non manca poi il sostegno agli sfratti violenti. “Guardate cose stanno facendo i tunisini ai neri. Mi hanno buttato in strada con il mio bambino, non so dove andare” racconta una donna guineana che è stata cacciata dalla sua casa di Tunisi. Gli stessi proprietari, in primis, stanno sfrattando locatari neri per timore di avere problemi con le autorità tunisine.

Da Sfax 4, sono numerose le testimonianze di persone che hanno visto le loro case violate e distrutte, vittime anche di furti di denaro e oggetti personali: “hanno distrutto tutto, hanno distrutto tutto” ripetono sconvolte le vittime di queste violenze attraverso le testimonianze video. “Ci vogliono morti” grida Fatou in una videochiamata in cui ci racconta la tragedia che stanno vivendo le persone nere: “siamo in grave pericolo, non c’è sicurezza per noi in Tunisia”. 

“Siamo bagnati di sangue” grida Mariam in una telefonata in cui racconta sotto choc il soccorso che ha dovuto prestare ad alcuni suoi compagni pestati con violenza sulla strada di casa sua. Un giovane studente congolese è stato gravemente colpito con un bastone al volto e sulle braccia mentre si recava nel suo istituto di ricerca. Gli attacchi contro le persone di origine subsahariana sono arrivati infatti anche in un’università tunisina, provocando un clima di terrore tra le persone che si erano recate in uno spazio pubblico che consideravano sicuro e protetto.

Le dichiarazioni del presidente sono state rivolte a una società civile in preda a una policrisi persistente, in cui beni di prima necessità come latte, zucchero, caffè e medicinali sono sempre più inaccessibili. “In questo momento abbiamo più paura della popolazione tunisina che della polizia. Hanno loro il comando. Ci derubano per strada, ci picchiano, ci sputano addosso. Evitiamo di uscire” confida Lamine, un uomo senegalese che ha subito un pestaggio a Tunisi. Infatti, molte testimonianze raccontano di violenze inflitte da comuni cittadini: “Camminiamo con la paura addosso, non riusciamo più a dormire. Andiamo a letto con le scarpe perché i tunisini potrebbero attaccarci durante la notte” sono le parole di Aminata, donna ivoriana che vive a Medenine. 

Tante sono le voci di uomini e donne sub sahariane che raccontano impauriti il loro timore di uscire di casa da soli, al calar del sole, o ancora delle forti discriminazioni quotidiane che subiscono: l’aumento arbitrario dei prezzi dei beni di prima necessità da parte di alcuni proprietari di negozi e chioschi, il rifiuto di alcuni taxisti di prendere persone nere a bordo. 

La violenza fisica ha velocemente raggiunto i massimi della cruenza. Aminata ha dovuto soccorrere un suo amico ivoriano che è stato colpito con un machete da un tunisino senza alcuna ragione apparente: ha riportato una ferita molto profonda e, sotto shock, è stato portato d’urgenza in ospedale. A Sousse, un uomo e un bambino dalla pelle nera sono stati aggrediti da alcuni cittadini tunisini che ignoravano che si trattasse di una famiglia tunisina. 

«Camminiamo con la paura nello stomaco” riferisce Aminata, sintetizzando il terrore con cui stanno vivendo le persone straniere in Tunisia, “non usciamo mai soli per poterci proteggere in caso di attacchi ma ormai è pericoloso anche andare ad acquistare i beni di prima necessità».

Lo ripetiamo, il razzismo contro le persone nere non è una novità in Tunisia ma in questi ultimi giorni le violenze e le discriminazioni sembrano aver raggiunto un livello senza precedenti.  Numerosi incendi sono stati appiccati dolosamente nei vari quartieri dove vive la popolazione subsahariana. Ad esempio, nella città di Sfax, un incendio appiccato per colpire un gruppo di persone nere che viveva in un piccolo stabile ha avuto conseguenze terribili: ustioni gravissime e ferite che hanno messo in serio pericolo la vita delle persone coinvolte.

Le responsabilità politiche del sentimento anti-migratorio 

Il discorso di Saïed del 21 febbraio 2023 arriva poche settimane dopo la visita della delegazione italiana guidata da Tajani per discutere della cooperazione in materia di migrazione fra i due governi; cooperazione i cui dettagli sono sconosciuti all’opinione pubblica a causa della loro definizione apolitica, tecnica. E’ significativo che all’incontro svoltosi a Tunisi fossero presenti sia il ministero dell’interno che quello degli esteri, dando un chiaro segnale dell’approccio securitario alla questione migratoria. Non si può evitare di notare che la campagna di arresti arbitrari sia cominciata proprio a seguito dell’ennesima visita del governo italiano. I sospetti di un sostegno da parte dello Stato italiano sono stati confermati dalle dichiarazioni di Tajani al suo collega tunisino il 27 febbraio: «Il Governo italiano è in prima linea nel sostenere la Tunisia nelle attività di controllo delle frontiere». Nessun dubbio: il governo italiano è il più soddisfatto rispetto a quello che succede oggi in Tunisia.

Sfruttando l’odio all’immigrato Kaïs Saïed è riuscito a spostare temporaneamente l’attenzione dalla crisi che sta distruggendo la Tunisia: la mancanza di beni di prima necessità, i tassi di inflazione alle stelle e l’altissimo livello di disoccupazione; nonché la repressione feroce verso la libertà di stampa e di espressione, con cui il presidente sta erodendo ciò che resta della democrazia. Anche se giovedì 23 febbraio il presidente tunisino ha cercato di rassicurare «le persone che sono in situazione legale in Tunisia», durante una riunione col ministro degli interni Taoufik Charfeddine, la legittimazione del discorso complottista infiammato attraverso i social dai vari partiti nazionalisti in ascesa sta ormai producendo i suoi effetti, spingendo all’azione violenta una popolazione stremata dalla crisi.

Il nemico è lo straniero: ovvero quei milioni di persone migranti nel Paese la cui presenza rappresenta una forza lavoro a basso costo spesso abusata contro cui rivolgere il malcontento socio-economico della popolazione tunisina stanca di vivere gravi condizioni di deprivazione e di repressione 5. La normalizzazione delle discriminazioni e del razzismo, la mancanza di un sistema sociale, sanitario e lavorativo che supporti queste persone così come la situazione economica del Paese sono tutti motivi per cui molti decidono poi di abbandonare la Tunisia e andare in Europa. A maggior ragione oggi: «Con questa guerra contro di noi o torniamo in Libia o arriviamo in Europa, qui non possiamo restare. Ma in mare ci respingono. Non sappiamo cosa fare» racconta Aminata.

Ecco cosa significa un approccio securitario e razzista che, dall’Europa, guida la governance migratoria e si estende alle frontiere esternalizzate in Nordafrica e nel Mediterraneo dove la percentuale di morti in mare per mano di frontiere sempre più letali è aumentata drasticamente. A proposito di questo, Tunisi riceve decine di milioni di euro dall’Unione europea e dall’Italia per programmi di cooperazione sulla migrazione che si traducono in finanziamenti per le operazioni di intercettazione e respingimento in mare ad opera della guardia costiera tunisina, nonché per la sorveglianza dei confini marittimi e per il rimpatrio forzato di persone migranti dall’Europa. 

PH: Arianna Poletti

L’ascesa del discorso politico razzista in Tunisia

Sfruttando l’ignoranza, il razzismo e le disuguaglianze sociali, alcuni leader politici sono riusciti a manipolare il dibattito pubblico, facendo leva sulla crescente ostilità verso i migranti subsahariani privi di documenti. Movimenti xenofobi hanno raggiunto rapidamente una grande popolarità in Tunisia grazie all’alta visibilità mediatica e alle decine di migliaia di follower sulle pagine Facebook. Il più importante di questi al momento è il Partito Nazionalista Tunisino, fondato nel 2018. Diffondendo la teoria del complotto secondo cui l’insediamento dei migranti subsahariani in Tunisia sarebbe supportato e finanziato dall’UE, dalle organizzazioni internazionali e da Israele. il partito chiede l’espulsione dei migranti e la revoca delle leggi antidiscriminatorie. Proprio come Saïed, i leader di questo partiti fanno leva sulla paura e sulle preoccupazioni delle persone, sfruttando un tipo di populismo anti-immigrato molto in voga in questo inizio di ventunesimo secolo.

L’ascesa di questa ondata xenofoba e populismo in Tunisia è favorita dalle crisi politiche ricorrenti a partire da più di dieci anni fa: in mancanza di trasparenza e legittimità, abuso di potere e clientelismo prevalgono sulla democrazia partecipativa. Nonostante la Tunisia sia stata per molto tempo considerata come l’esperimento riuscito della democrazia nordafricana, tutto ciò sembra molto lontano dal clima di libertà e riforma che si respirava nei mesi della rivoluzione del 2011.

Nei fatti, dalla rivoluzione, la ricchezza e il potere si sono ancora più accentrati nelle mani di una ristretta oligarchia sostenuta da multinazionali occidentali e da élite politiche europee. In seguito alla recrudescenza della crisi mondiale cominciata nel 2007, la Tunisia ha accumulato enormi debiti, così la povertà e l’inflazione sono aumentati, mentre gli investimenti esteri sono diminuiti anche a causa degli attacchi terroristici e dello sconvolgimento politico del paese. La tensione tra gli attori politici è salita alle stelle nel 2013 portando agli assassinii di Mohammed Brahmi e Chokri Belaid e all’indebolimento della sinistra parlamentare e dei sindacati, rendendo più difficile un discorso riformista e facilitando una risposta securitaria e autocratica da parte delle élite governative. Anche questo ha permesso ai populisti di prendere il sopravvento sulla scena politica.

Il colpo di stato del 25 luglio 2021 da parte di Kaïs Saïed è solo l’ultima conseguenza di una lunga lotta per il potere. L’onesta reputazione di Saïed, con il titolo di professore di legge, gli ha permesso di essere eletto alla guida di un governo tecnico per risolvere la crisi politica nel 2019. Ma il 25 luglio 2021 Saïed ha dichiarato lo stato di emergenza e congelato il parlamento attuando varie riforme non-democratiche e a direzione autoritaria, scrivendo una nuova costituzione. Eppure, la sua popolarità rimane alta. Oggi, il populismo autoritario di Saïed ha raggiunto livelli estremi: il presidente non ha un ufficio stampa, non concede interviste ai giornalisti e comunica direttamente “in nome del popolo” attraverso Facebook. E’ per questo che le sue recenti dichiarazioni riguardanti i subsahariani in Tunisia sono altamente pericolose, in quanto possono essere interpretate come un invito alla violenza come legittima difesa. La popolazione nera è l’ennesimo capro espiatorio, e la propaganda populista su facebook, supportata dai discorsi del presidente, funziona bene per identificarla, stigmatizzarla e disumanizzarla.

La politica migratoria e la disumanizzazione delle persone subsahariane in Tunisia

La relazione del Consiglio di Sicurezza Nazionale del 21 febbraio 2023 è stata espressamente dedicata a “prendere urgenti misure per affrontare il fenomeno di un gran numero di immigrati clandestini/immigrati dall’Africa sud-sahariana alla Tunisia“. Per questo, è evidente come la disumanizzazione della persone nere in Tunisia si iscriva nel solco della securitizzazione della politica migratoria in Nord Africa. Da quando l’UE ha deciso di ridurre al minimo le vie di immigrazione legale e armare stati come la Tunisia sostenendo le forze dell’ordine per arrestare le partenze, soprattutto dei subsahariani, si è progressivamente diffusa l’idea che tuttora riecheggia nelle strade tunisine: “Gli africani vogliono morire, si gettano a migliaia nel mare senza coscienza”. 

Quello che resta un gesto di resistenza estrema contro la negazione della libertà di movimento è sostanzialmente tradito dal discorso istituzionale e dai media, tunisini e non. La harga dei subsahariani viene raccontata come una messa a rischio consapevole della propria vita (vedi “Tragedia di Crotone”, nota di Palazzo Chigi), preparando così l’opinione pubblica per la negazione assoluta del suo valore, fino alla legittimazione della violenza fisica. Sulla criminalizzazione delle persone a cui è negato il diritto di lasciare un paese non si trovano d’accordo solo i governi europei e tunisino. A questo discorso hanno collaborato le organizzazioni internazionali che incolpano le famiglie dei dispersi, come ha fatto l’inviato speciale di UNHCR per il Mediterraneo Centrale nel 2022. Più largamente, questa narrativa è avvalorata dal disinteresse dei governi nei confronti della trasformazione del mediterraneo in un cimitero per decine di migliaia di persone in cerca della libertà. Ogni giorno che passa senza che queste tragedie ricevano giustizia segna l’accettazione di un abbassamento della dignità di certe vite nelle nostre sfere pubbliche.

Il fronte anti-razzista: in Tunisia e oltre le frontiere

La reazione della società civile anti-razzista non ha tardato a farsi sentire. Sabato 25 febbraio, davanti alla sede dell’Unione Nazionale dei Giornalisti Tunisini è partita una marcia in direzione di Avenue Bourghiba – come si legge sulla pagina di FTDES (Forum Tunisien pour les Droits Economiques et Sociaux) – “organizzata per difendere le vittime dell’attacco razzista contro gli immigrati e per chiedere una risposta umanitaria che garantisca la regolarizzazione amministrativa e blocchi le violenze razziste”. Centinaia di attivisti individuali e decine di organizzazioni della società civile hanno sostenuto l’istituzione di un fronte anti-razzista.  La risposta della società civile dimostra che il problema non è culturale ma politico: il sindacato dei giornalisti e quello generale del lavoro (UGTT) hanno reagito difendendo i diritti dei subsahariani in Tunisia. Inoltre, da tempo le organizzazioni locali e gli attivisti – in prima fila FTDES che collabora con realtà come Asgi, Borderline Europe o Avocats sans Frontières – avevano compreso i rischi delle politiche securitarie e dell’incitazione dell’odio anti-migratorio: ora è il momento di sostenere la loro lotta, perché la Tunisia non si trasformi in uno stato di apartheid come vogliono Saïed e i suoi sostenitori nazionalisti. 

Per aiutare concretamente, segnaliamo la raccolta fondi organizzata dal collettivo di cittadine e cittadini solidali con le persone subsahariane in Tunisia. In quanto rappresentanti di associazioni di difesa dei diritti umani, dell’attivismo contro l’oppressione, giornalisti, studenti e avvocati impegnati contro il razzismo, chiedono ascolto per le paure ragionevoli di un’ulteriore escalation della violenza razziale. Donare aiuterà le persone subsahariane in Tunisia a coprire le spese urgenti per la salute, per la casa, per il cibo.

In conclusione, una domanda. Mentre l’Unione Africana condanna le dichiarazioni razziste delle autorità tunisine, chi sostiene Saïed e il suo governo nell’appoggio ai partiti nazionalisti e alle loro teorie della sostituzione etnica? Ancora i governi europei non hanno preso le distanze dalle dichiarazioni del presidente tunisino, anzi il Ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani ha apertamente dichiarato il sostegno a Saïed e alla legittimazione della violenza razzista per fermare il movimento delle persone dal Nord Africa. Invece, è arrivato il momento di de-securitizzare la politica migratoria: abbiamo visto come la disumanizzazione e la razzializzazione, e la violenza ad esse connessa, vengano proprio dal considerare la migrazione come una minaccia. L’alternativa è quella di continuare a motivare e incoraggiare la pulizia etnica in atto in Tunisia. I rischi più gravi riguardano un peggioramento della violenza generalizzata, l’ampliamento e la moltiplicazione di centri di detenzione amministrativa come quello di Ouardia, nonché le deportazioni di massa. Pericoli non estranei neanche al contesto italiano, in cui le persone migranti continuano a essere rinchiuse nei CPR, da cui ogni settimana sono rimpatriate forzatamente decine di cittadini e cittadine Tunisini, in cui già si sono consumate di recente aggressioni razziste anche mortali

E’ necessario prendere consapevolezza dell’intersezionalità della lotta anti-razzista, che supera i confini statali. Nessun paese europeo è immune da queste pratiche né dagli episodi di violenza razzista. Riflettendo sulle testimonianze dirette, chiediamoci se la Tunisia rappresenti un caso eccezionale, o se non sia solo un filo nella matassa delle politiche discriminatorie della migrazione nel Mediterraneo. Chiediamoci: che cosa succederebbe in Italia, se la prima ministra Meloni facesse le stesse dichiarazioni di Saïed? Chiediamoci di quanto aumenterebbe il numero degli attacchi di matrice razzista nel nostro paese, se le istituzioni non ne difendessero le vittime. Chiediamoci, se le politiche migratorie e i discorsi xenofobi sulle due sponde del Mediterraneo non siano essi stessi la miccia scatenante di un’ennesima pulizia etnica.

  1. Il discorso del presidente tunisino Kais Saied durante l’incontro con il ministro dell’Interno (ARA)
  2. Le parole utilizzate dal presidente e dai leader del Partito Nazionalista Tunisino sono molto simili e sono etimologicamente connotate da un senso di ripopolamento su base etnico-nazionale connesso alla parola araba وطن, “nazione”. Il presidente parla di una macchinazione straniera per favorire l’insediamento degli immigrati non irregolari dall’Africa subsahariana (توطين المهاجرين/ات غير النظاميين/ات من إفريقيا جنوب الصحراء), mentre il Partito Nazionalista esplicita un piano di “colonizzazione” (استطان) che in arabo ricorda direttamente gli insediamenti Israeliani in Palestina (مستوطنات)
  3. Le testimonianze degli eventi in Tunisia provengono da più fonti. Alcune di esse, principalmente foto e video, sono pubblicamente accessibili su diversi canali Tik Tok, Instagram e Facebook. Molte altre sono state raccolte sul posto o sono state inoltrate e condivise privatamente da testimoni oculari o dalle stesse vittime con diversi attori attivi in Italia e Tunisia. Per garantire la tutela e il rispetto della privacy di queste testimonianze, i nomi delle persone citate sono stati modificati e sono tutti nomi di fantasia
  4. Sfax è la seconda città e centro economico della Tunisia. È una città portuale situata sulla costa orientale del Paese, a circa 270 km a sud di Tunisi, fonte Wikipedia
  5. La Tunisia è colpita da una crisi economica sempre più grave, dove la gente deve contendersi beni di prima necessità e dove l’inflazione aumenta esponenzialmente così come, cresce il tasso di disoccupazione

Silvia Di Meo

Sono antropologa, ricercatrice e dottoranda in Scienze Sociali, attivista antirazzista. Opero nell’area del Mediterraneo, in particolare in Sicilia e in Tunisia. Mi occupo di etnografia delle frontiere, delle mobilità e delle mobilitazioni migranti, oltreché dell’analisi delle politiche migratorie ai confini esterni ed esternalizzati. Sono attiva nelle reti nazionali e internazionali per la libertà di movimento e per il supporto alle persone migranti.

Luca Ramello

Sono ricercatore in studi sulle migrazioni e attivista per la libertà di movimento. Opero principalmente in Italia e in Tunisia e lavoro come giornalista.

Ludovica Gualandi

Ricercatrice e attivista per i diritti umani e la libertà di movimento, studio la mobilità umana nell'area mediterranea, specializzata della frontiera italo-tunisina. Sono molto interessata alle questioni di genere, alla ricerca militante e ai movimenti sociali in Italia e Tunisia. Sono laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali e sto frequentando il master in Mediazione Inter-Mediterranea delle Università Ca' Foscari e Paul Valéry di Montpellier. Faccio parte dell'associazione Mem.med: memoria mediterranea.

Vincent Bianco

Arabista e ricercatore di scienze politiche e antropologia delle migrazioni nel mediterraneo.