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Libia, altre 5 motovedette per i respingimenti mentre continuano le proteste dei rifugiati

Il Comitato per i Diritti Umani della Libia boccia l'accordo e chiede la cancellazione dei memorandum d'intesa

Frame da Refugees in Libya

Tra arresti e possibili sparizioni continuano le proteste delle persone migranti che si trovano bloccate in Libia. A darne costante aggiornamento e supporto è Refugees in Libya che attraverso i suoi canali social diffonde e amplifica la voce delle donne e degli uomini che hanno ripreso le mobilitazioni davanti alla sede di UNHCR. E’ il caso infatti dei profughi etiopi che dal 19 gennaio sono in sit-in a Tripoli per chiedere protezione e l’immediata evacuazione verso gli Stati dell’Unione europea. A loro si sono poi aggiunte altre persone di diversi paesi di origine accomunate dalla richiesta di ricevere protezione.

Ieri Refugees in Libya ha però denunciato l’arresto arbitrario di cinque loro compagni chiedendone il rilascio immediato. «Questo accade – ha scritto l’organizzazione che è impegnata nel difficile compito di dare visibilità alla proteste – quando centinaia di profughi sfollati sono andati ad affermare la loro situazione e le loro cattive condizioni di vita che stanno affrontando in Libia. Mancano istruzione, assistenza sanitaria e tutti i bisogni umani fondamentali».

I rifugiati ribadiscono le gravi violazioni dei diritti che stanno subendo, rivendicazioni che erano state portate anche con la campagna UNFAIR – the UN Refusal Agency a Ginevra lo scorso dicembre sotto la sede dell’Agenzia ONU. Malgrado le promesse di maggiore attenzione nulla è cambiato. «L’ONU non ci difende né rispetta i nostri diritti, e non siamo riconosciuti come esseri umani nemmeno dalle organizzazioni umanitarie non governative».

Una conferma della sofferenza che vivono le persone arriva dalla testimonianza di Adam, un rifugiato sudanese del Darfur, che «sta vivendo una vera tragedia dopo aver perso la sua famiglia nella guerra del Darfur». Ha raccontato a Refugees in Libya l’attuale situazione dei profughi dopo la repressione dello scorso anno quando il sit-in davanti alla sede di UNHCR fu sgomberato al centesimo giorno di protesta. «Siamo stati deportati con la forza in modo brutale nel centro detentivo di Ain Zara, UNHCR ci ha ignorato e ha lasciato i giovani alla violenza e al trattamento disumano delle milizie libiche». E’ proprio nel carcere di Ain Zara a Tripoli che lo scorso 5 giugno Mohamed Mahmoud Abdel Aziz di soli 19 anni del Darfur si è tolto la vita impiccandosi. Una storia raccontata anche in questo caso da Refugees in Libya e ripresa in Italia da un articolo di Giansandro Merli su il manifesto.

«Ora non possiamo nemmeno accedere all’assistenza fornita dalle organizzazioni partner dell’UNHCR. Abbiamo bisogno di aiuto e di un’evacuazione», afferma Adam.

Un altro caso che negli ultimi giorni è stato rilanciato su twitter è quello di Mazin, rifugiato sudanese di 15 anni che è stato arrestato illegalmente circa 6 mesi fa. In prigione ha subito continue violenze e torture. Il 23 gennaio è stato finalmente rilasciato, ma rischia ancora di essere rapito dalle milizie libiche.

Il governo italiano conferma il sostegno ai respingimenti libici

Nonostante sia evidente che la Libia non possa in nessun modo considerarsi un paese sicuro e sia denunciata e provata la relazione criminale tra guardia costiera libica, milizie e trafficanti, il 28 gennaio durante la visita a Tripoli della presidente Meloni e dei ministri Tajani e Piantedosi, è stato firmato l’ennesimo memorandum per la consegna ai guardiacoste libici di altre 5 motovedette.

Un accordo contestato duramente dal Comitato nazionale per i Diritti Umani della Libia che esprime il suo rifiuto delle politiche europee e italiane nei confronti della Libia sulle questioni relative all’immigrazione, tra cui il piano da attuare nel Mediterraneo per limitare le partenze dei migranti, e il decreto Piantedosi con le nuove regole imposte alle navi umanitarie impegnate nelle operazioni di ricerca e soccorso.

Il Comitato ha rinnovato la sua richiesta al Consiglio presidenziale libico e al governo di unità nazionale provvisoria di lavorare alla cancellazione dei memorandum d’intesa sull’immigrazione irregolare firmati con l’Italia e Malta nel 2017 e 2020, in quanto sono contrari al diritto internazionale e alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo. Ha denunciato che questi accordi comportano il rimpatrio forzato dei rifugiati in Libia, trasformando di fatto il Paese in un centro di detenzione per immigrati a protezione dell’Europa. Ha poi espresso grande preoccupazione per il destino dei migranti e dei rifugiati africani per la loro esposizione a crimini e violazioni nei centri di accoglienza e di detenzione controllati da gruppi armati che praticano all’interno tortura fisica e psicologica, abusi e violenza, nonché sfruttamento e sono collegati con bande criminali, criminalità organizzata e reti di traffico di esseri umani.

«Le politiche europee sono diventate ostili senza precedenti ai migranti, ai rifugiati e ai richiedenti asilo, e sono contrarie ai valori umani, al diritto internazionale umanitario e al diritto internazionale in materia di asilo. I paesi dell’UE non dovrebbero trascurare la natura umanitaria della crisi dei rifugiati verso l’Europa in fuga dai loro paesi dove non c’è rifugio», ha sottolineato il Comitato.

Redazione

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