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«Mi hanno detto di lasciare l’appartamento. Non mi hanno spiegato perché»

Il governo greco e la chiusura di tutti gli alloggi per richiedenti asilo

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di Andrea Noseda e Suzanne Fossan, Salonicco

G.: «Non ho ricevuto nessuna lettera, no no, tutto mi è stato detto per telefono: mi hanno chiamato»,
«Oh G! Devi lasciare presto l’appartamento!»
«Cosa vuol dire che devo lasciare la casa?»
«Sai che il governo prende in mano la situazione, le ONG devono cacciarti, sì, è così, è così, G, devi andare al campo!».

G., come migliaia di persone in Grecia, ha ricevuto una telefonata simile nell’autunno del 2022.

F.: «Mi hanno detto 3 giorni, ma io non sono uscito perché non avevo ancora trovato un posto, non avevo altre soluzioni. Per due mesi ho vissuto sotto uno stress enorme, ogni volta che mettevo la testa sul cuscino avevo paura di essere sfrattato dalla polizia il giorno dopo. Lo giuro, per due mesi. È stato un incubo. Ogni volta che uscivo per andare al lavoro, avevo paura di tornare e trovare la porta con una nuova serratura».

G. e F. sono due amici che hanno ricevuto una casa nell’ambito del programma ESTIA II 1, un programma abitativo che forniva alloggi ai richiedenti asilo in Grecia 2.

Nel febbraio 2022, il governo ha annunciato la chiusura del programma, nonostante l’impegno preso dalla Commissione Europea per continuare a finanziarlo fino al 2027. Di conseguenza, migliaia di persone sono state mandate a vivere in container sporchi lontani dalle città o condannate a vivere senza casa.

Le autorità greche hanno intrapreso sgomberi di massa, nel silenzio generalizzato delle istituzioni europee e dei media internazionali.

Inizialmente, il programma sembrava fondato sull’intenzione di fornire ai richiedenti asilo la stabilità necessaria per costruirsi una nuova vita in Europa, costruire ponti con le comunità locali e, col tempo, diventare finanziariamente indipendenti. Come richiesto dalla stessa legislazione dell’UE 3, il programma sembra mirare a uno standard di vita “adeguato“, insieme a un aiuto finanziario e a garanzie per la salute fisica e mentale dei richiedenti.

Il programma ESTIA è stato creato dall’UNHCR nel 2015 con il finanziamento della Commissione Europea e inizialmente ha fornito fino a 27.000 unità abitative in 21 città greche. Si stima che entro il 2020 più di 70.000 rifugiati o richiedenti asilo abbiano beneficiato del programma 4.

«Il programma ESTIA è stato unico nel suo genere. È stata una scommessa in un momento di emergenza molto difficile in Grecia. Con la buona volontà e la cooperazione di tutti, il programma è riuscito a rispondere molto rapidamente a un bisogno enorme, su scala e con un tocco umano. Ha fatto la differenza per molte persone».
Mireille Girard, rappresentante dell’UNHCR in Grecia

Anche se un programma di alloggi non può bastare da solo a rovesciare il quadro razzista dei controlli alle frontiere, dei diritti acquisiti solo attraverso la cittadinanza e delle infinite procedure per l’ottenimento dell’asilo politico, le affermazioni fatte da Girard più di un anno fa sembrano contenere una parte di verità.

C., una persona coinvolta nella lotta contro gli sfratti, è meno entusiasta:
«Non userei il termine cattivo o buono, diciamo che questo programma era necessario per le politiche dello Stato in quel momento. (…) Sicuramente alcuni hanno avuto il cosiddetto “lusso” di vivere in appartamenti, ma… questo programma abitativo aveva dei limiti di per sé. Molti di questi appartamenti erano quelli in cui la gente del posto non avrebbe voluto vivere perché apparivano precari e sporchi. Una parte consistente degli alloggi era costituita da alberghi, situati molto lontano dalle città, in piccoli villaggi, dai quali i migranti non potevano praticamente uscire: I migranti non lasciavano mai l’albergo. Dormivano lì, facevano acquisti lì e vivevano lì. Erano sempre sorvegliati. Non erano i benvenuti in città», dice C..

Nel 2021, sono stati spesi milioni di euro per garantire un agevole passaggio di responsabilità dall’UNHCR al governo greco. Il programma, inizialmente gestito da ONG internazionali in risposta a una “crisi” improvvisa, sarebbe dovuto diventare una politica nazionale strutturale.

«Questa non è la fine di ESTIA. Il programma prosegue ora sotto la guida del governo e con l’immancabile sostegno dell’UE», ha assicurato la stessa Girard nel luglio 2021.

Peccato che, meno di un mese dopo, il governo abbia iniziato a eseguire i primi sfratti dei beneficiari di ESTIA. Tutto d’un tratto, l’urgenza delle istituzioni pubbliche è diventata quella di porre fine al programma nel più breve tempo possibile e, nello specifico, prima del dicembre 2022.

Mentre il programma riduceva gradualmente la sua portata, nell’arco di un anno e mezzo, fino a 20.000 persone (per lo più famiglie vulnerabili) sono state costrette a lasciare le loro case, private del sostegno psicologico, medico e finanziario che ricevevano e sepolte all’ombra dei campi di accoglienza; il “non luogo” simbolo dell’Europa moderna, circondati da muri di cemento, lontani da qualsiasi sguardo amico.

La fine di ESTIA ha stravolto le vite dei suoi beneficiari in diversi modi, a partire dal forte stress che hanno dovuto affrontare nel rendersi conto che la loro casa non sarebbe più stata la loro casa e che la stabilità che stavano cercando di ricostruire (fatta di sfide come trovare un lavoro, accedere all’istruzione e all’assistenza sanitaria e costruirsi una vita sociale) sarebbe stata distrutta da un giorno all’altro.

F. è un amico algerino che vive in Grecia da oltre 3 anni. Da oltre 6 mesi lavora come rappresentante legale per un’agenzia di pulizie. A ottobre, la CARITAS lo ha chiamato per informarlo che aveva tre giorni di tempo per lasciare la sua casa. Come F., la maggior parte delle persone che abbiamo incontrato non ha ricevuto alcuna documentazione ufficiale che formalizzasse il processo e la data dello sfratto, contrariamente a quanto previsto dalla legge greca ed europea 5. Ciò ha generato confusione e disinformazione, poiché le persone hanno ricevuto date di sfratto diverse in successive telefonate. L’assenza di documentazione legale ha anche impedito loro di intraprendere azioni legali per opporsi agli sfratti 6.

Manifestazione contro gli sgomberi Estia. PH: Solidarity with migrants

F.: Sono passati due mesi da quando mi hanno detto di lasciare l’appartamento, mi hanno minacciato, hanno detto che avrebbero chiamato la polizia. Hanno detto che sarebbero venuti con la polizia per sfrattarmi.
S.: Le hanno detto perché?
F.: Mi hanno detto che dovevo lasciare l’appartamento, non mi hanno detto perché. Non riuscivo a trovarne un altro. Volevo vivere da sola, non c’erano monolocali o erano troppo cari, non potevo pagarli. Una volta una mia amica mi ha mostrato una casa, ma la proprietaria, appena ha visto che ero straniera, mi ha detto che non era possibile.
A.: Come è finita la storia? (…) Come ha trovato la casa in cui vive ora?
F.: Grazie a un amico algerino, un amico tassista. È grazie alla fiducia, a un amico che ha funzionato.

Z. ha cercato un appartamento per oltre due mesi. Dopo lo sfratto, e al momento dell’intervista, Z. era temporaneamente nell’appartamento di un conoscente mentre cercava un posto dove vivere.

Z.: «Sono demoralizzato dagli sfratti. Ora vivo in una stanza dove non mi sento a mio agio, dove mi sento male. Sto ancora cercando un appartamento. Il problema è che il momento in cui ci sfrattano non è proprio quello giusto. Prima di tutto fa freddo, poi gli studenti hanno già occupato i monolocali, mancano gli alloggi. Quindi dobbiamo andare lontano dalla città».

Per i pochi che, come F. e Z., hanno abbastanza soldi, uno stipendio fisso e un contratto legale, non è affatto facile trovare un’alternativa. Gli affitti sono cari, molti proprietari si rifiutano di affittare agli stranieri e la burocrazia necessaria per ottenere un contratto di affitto è un ostacolo, soprattutto per chi non parla greco.
Molte persone hanno perso il lavoro dopo essere state sfrattate perché i campi in cui sono state trasferite erano lontani dalla città dove lavoravano. Ad esempio, una persona che abbiamo incontrato, E, è stata licenziata perché era assente dal lavoro proprio la mattina in cui è stato sfrattato colpevole di essere deportato in un campo contro la sua volontà.

Tuttavia, per coloro che non hanno un lavoro regolare, la questione è ancora più difficile. In questi casi, i più fortunati sono stati stipati negli appartamenti di amici e parenti, mentre altri si sono nascosti in case abbandonate, sono finiti in campi di detenzione o sono stati condannati a dormire per strada durante i freddi mesi invernali.

Chi potrebbe mai abituarsi a vivere in un campo?

Ecco la storia di G., che abbiamo conosciuto un anno fa.
È arrivato in Grecia con la madre e la sorella nel 2018. Dopo un anno di malattie, detenzione e trattamenti disumani nel campo di prima accoglienza di Samos, sono arrivati a Salonicco. Avevano un appartamento ESTIA nel centro della città. Durante questo periodo, la famiglia si è divisa. La madre è andata ad Atene e la sorella è scomparsa nei pressi di Drama più di un anno fa. Non è ancora stata ritrovata. Per sei mesi G. ha vissuto in un appartamento ESTIA con alcuni coinquilini, finché un giorno REACT, l’ONG che gestisce lo sfratto, li ha chiamati per comunicare loro che sarebbero stati mandati in un campo. G. non era in grado di affittare un altro appartamento, non aveva un lavoro e la ONG che lo ospitava, minacciava di tagliargli il sostegno finanziario di cui godeva.

Il campo di Nea Kavala

G.: Sono venuti con una macchina alle 8 del mattino invece che alle 11 come pattuito e hanno preso alcune delle mie cose. Ho detto loro: “Sto aspettando un amico, non posso andarmene“. Hanno detto “No, dobbiamo andarcene!“. Con la forza. Allora ho preso quello che sono riuscito a prendere e me ne sono andato. Me ne sono andato.
S.: Cosa è successo quando sei arrivato al campo di Nea Kavala?
G.: Sono venuto qui al campo di Nea Kavala. Prima di entrare sono rimasto fuori per quasi due ore senza sapere perché. La sicurezza era lì così, felice, a lavorare. Pensano di lavorare, ma per me non è un lavoro: non vedi che la gente è stanca?

Dopo essere stati portati dentro, ci hanno registrato: “Da dove venite?“.
Ci hanno dato un foglio, una bottiglia d’acqua, un po’ di cibo e poi ci hanno mostrato [la nostra stanza], “Starete qui, starete lì, starete qui“. Tutto qui. “Se avete domande, dovete andare lì, se siete malati, dovete andare all’ospedale“. Tutto qui, e la vita continua. Ogni giorno ci danno piccole cose da mangiare, ma io non le prendo, non sono niente, non mi fanno bene.

S.: Com’è il cibo al campo e quanti pasti danno al giorno?
G.: Solo uno.
S.: Solo uno? E quanto è grande?
G.: Non è molto: due bottiglie d’acqua, poi c’è l’arancia, due uova, un po’ di riso, tutto qui, ma io non lo mangio, lo do.
A.: E la sua stanza, è sola o vive con altre persone?
G.: Sì, ho un amico congolese, un africano. L’ho conosciuto lì. Sì, perché ho detto che non posso stare con le persone, devo stare da solo e loro hanno detto “Aah no, come! Da solo!” così. Mi hanno fatto vedere una stanza così e l’odore che c’era, no! Terribile! La sicurezza mi ha detto “no, devi metterti un tappo al naso“, ma tu sei malato! Cosa vuol dire che devo mettere un tappo al naso? Vado a dormire con il tappo al naso! Poi mi ha chiesto: “Ti trasferisci da Salonicco?“. Ho risposto di sì e lui ha detto: “Oh, è normale, sei nel campo, devi abituarti“. Devi abituarti al campo, e questo è tutto.

Bisogna abituarsi al campo“, hanno detto. La maggior parte delle persone che vengono mandate nei campi come conseguenza degli sgomberi hanno già sperimentato cosa significa vivere in un campo quando sono arrivati in Grecia. Rimandare le persone nei campi significa aumentare il rischio di ritraumatizzare chi ha già subito violenze e depressioni.

G.: Avevo dei fratelli africani lì [a Samos]. Quando sono arrivati in Grecia stavano bene. Pensavano bene. Ora sono diventati… come impazziti! Sono malati! Non pensano più bene… Non so perché, forse è lo stress? O cosa… anche la noia? Ecco com’è una prigione.

Come già accennato, ESTIA era un programma pensato appositamente per i gruppi vulnerabili, tra cui famiglie e bambini, esposti a conseguenze specifiche sulla salute mentale e fisica. Prima ancora di chiederlo, tutti coloro che abbiamo intervistato sembravano consapevoli di questa distinzione.

F.: Ma sapete, per noi non è così grave, per le famiglie è davvero grave. Non è questo il momento di sfrattare le famiglie, in pieno inverno. Non sto parlando di giovani, di persone sole come noi. Parlo piuttosto di famiglie. Gli uomini single sono più facili da gestire.
M.: Sì, è un grosso problema, con tre figli non è facile.
M.: C’era questa famiglia Irachena, hanno sofferto. Ora sono nel campo di Serres, a 80 km dalla città.

Prima, quando erano ancora a Salonicco, il padre lavorava per un’azienda. Lui e sua moglie vivono con tre figli, che frequentano tutti la scuola. Dopo lo sgombero: hop! Al campo, hai capito? Gli parlo al telefono e mi dice che non sta bene, che lì non c’è lavoro, non c’è niente in generale che possa fare. Te lo immagini? Vivevi in città e vieni sbattuto in montagna, in mezzo al nulla, all’inizio dell’inverno, per vivere in una roulotte. Riusciresti a vivere in questo modo? Niente lavoro, niente scuola, niente. Sono nei container, in attesa del momento in cui riceveranno i passaporti e potranno lasciare il Paese.

G.: Ho un amico che mi ha appena chiamato, anche lui era nel programma ed è stato appena sfrattato. Ma lui ha già due rifiuti [nel suo processo di asilo], quindi non può nemmeno andare in un campo. Anche gli altri che vivevano con me sono qui a Nea Kavala.
S.: E il tuo amico, cosa vuole fare?
G.: Vuole andarsene, mi ha chiamato adesso. Ha un bambino e sua moglie è qui, ma vuole lasciare il Paese. Poi salirà su un camion.
S.: Con il bambino?
G.: No, il bambino resterà qui perché fa troppo freddo. Il mio amico vuole partire da solo per cercare la vita 7. Dopo, forse l’anno prossimo, si uniranno gli altri membri della famiglia.
A.: Quanti anni ha il bambino?
G.: 2.

Demonstration against the evictions in Thessaloniki, November 14, 2022

S.: Immagino che a causa degli sfratti alcune persone abbiano deciso di lasciare la Grecia prima del previsto, correndo più rischi. Cosa ne pensa?
G.: Sì, molti che hanno perso la casa vogliono andarsene prima e se hai già due rifiuti [alla richiesta d’asilo], non hai il diritto di andare al campo. Puoi chiedere a un avvocato, forse potrebbe fare qualcosa per la tua situazione, ma se non hai un avvocato non hai il diritto di andare al campo, non sei niente. Ecco perché alcuni se ne vanno troppo in fretta: Macedonia, Serbia… Tutto qui… Molte persone sono già partite. Molte persone, soprattutto africani. Ogni giorno, ogni giorno se ne vanno.
S.: Di più dopo gli sgomberi?
G.: Sì, anche se la gente se ne andava già prima.

È impossibile contare quante persone hanno deciso di lasciare la Grecia in seguito agli sgomberi. Le nostre informazioni provengono da persone che discutono con le loro comunità e che sono a loro volta preoccupate dalla situazione. Una delle persone con cui abbiamo parlato ha cercato di lasciare la Grecia, è stata respinta e ora è tornata nel campo. Altri riescono a pagare migliaia di euro ai trafficanti per entrare nel retro di un camion o a camminare per ore sulle montagne tra la Grecia e l’Albania, la Macedonia settentrionale o la Bulgaria, a volte con bambini al seguito. Come ha detto G., ovviamente la gente voleva lasciare la Grecia prima degli sgomberi. La penisola è decisamente più accogliente verso i turisti che verso i migranti: le città pullulano di AIRBNB, mentre le vittime degli sgomberi ESTIA faticano a trovare una casa, dando alle persone un motivo in più per rischiare di attraversare le frontiere anche nei mesi invernali più freddi. Probabilmente è una buona notizia per lo Stato greco, considerando l’ostilità che riserva ai migranti.

«Tenere queste persone per sempre escluse è nell’interesse dello Stato»

Le nostre ricerche di dichiarazioni ufficiali rilasciate dagli attori istituzionali per giustificare la fine di ESTIA sono state desolanti. Non solo la questione è quasi del tutto assente dai media, ma le poche spiegazioni fornite dai funzionari greci ed europei sono elusive, contraddittorie e patetiche, basate su calcoli politici razzisti e incuranti delle conseguenze umane che generano. Abbiamo individuato due ragioni principali su cui il governo ha fatto leva per spiegare l’abolizione del programma. Il Ministero greco per la Migrazione e l’Asilo sostiene che la fine del programma 8 è dovuta a una “migliore gestione della questione migratoria” e a un “ulteriore decongestionamento dei centri urbani9. Entrambe le affermazioni danno un’idea della logica cinica che governa i flussi migratori in Grecia e nel resto dell’UE.

ESTIA è stato inizialmente fondato in risposta a un’emergenza umanitaria; in accordo con alcuni degli Stati membri più ricchi, l’UE ha finanziato il programma per limitare l’afflusso di persone in cerca di protezione internazionale in Europa centrale. Contemporaneamente, il precedente governo di sinistra di Syriza ha ampliato la capacità dei campi di accoglienza. Questi campi sono attualmente sotto popolati, tra le altre ragioni, a causa dell’accordo tra l’UE e la Turchia 10 per impedire alle persone migranti di entrare in Europa. Il nuovo governo di destra greco è salito al potere nel 2019 con una forte agenda anti-immigrazione e nei primi due anni di mandato ha cambiato la propria retorica affermando pubblicamente che la questione è “risolta” e l’immigrazione è ora sotto controllo.

C.: Questo è successo ovunque in Europa, non è qualcosa che è accaduto solo in Grecia. È stata la fine del programma come se avesse due fasi: la prima è stata affrontata come una questione umanitaria, e poi diciamo che la questione umanitaria è risolta. Abbiamo una guerra in Siria? No, dicono! Ma, naturalmente, la guerra è ancora in corso. E l’Afghanistan? Nessuna guerra, dicono… ora ci sono solo i talebani! Prendono le parole alla lettera… Poiché non c’è guerra in Afghanistan, né in Siria, allora non ci sono rifugiati. Se non ci sono rifugiati, allora non c’è bisogno di un programma umanitario, quindi chiudiamo il programma. È così che lo Stato greco e l’UE hanno deciso di chiudere il programma, perché il problema è risolto nei loro documenti. Purtroppo, non nella vita reale.

Immagine dello sgombero del campo di Eleonas Credits: Solidarity with migrants

Dopo l’abbandono della retorica della “crisi” legata alla migrazione, non c’era più bisogno che le ONG internazionali fossero incaricate della gestione del programma, perché lo Stato poteva occuparsi della questione da solo. Così, anche se la Commissione europea ha affermato che i fondi avrebbero potuto essere prorogati fino al 2027 11 la Grecia ha deciso di rinunciare ai finanziamenti e rendendo la decisione manifestamente politica piuttosto che economica:

C.: Una delle principali destinazioni di viaggio per queste persone [persone in movimento] è la Germania. Anche altri Stati, ma soprattutto la Germania. E la Grecia non vuole avere questo programma, nemmeno con i fondi internazionali. Se volessero potrebbero ottenere dall’UE molti più soldi, abbastanza da non avere nessun campo o da avere pochissime persone in quei campi, ma questo creerebbe una situazione in cui i migranti non migrerebbero e si integrerebbero nella popolazione locale. Non si tratta di una decisione ideologica perché al potere c’è Nea Democratia, ma di qualcosa di più profondo.

È qui che si innesta la seconda argomentazione dello Stato per la chiusura del programma ESTIA. Questa da la cifra dell’approccio alla migrazione utilizzato non solo in Grecia, ma da tutti gli Stati membri dell’UE. Incapaci di offrire soluzioni umane ai loro elettori, gli Stati dell’UE si rimpallano le responsabilità l’un l’altro, costruendo campi, muri e ambienti ostili per le persone in movimento in tutto il continente, per assicurarsi che siano costantemente tenute in uno stato di precarietà e disagio, sfruttabili, ma lontani dallo sguardo della gente. Mentre interi gruppi vengono “spazzati via” dalla costante pressione della polizia e dagli sgomberi dal centro di Salonicco, qualcosa di simile sta accadendo in tutto il continente sia su scala locale che nazionale. Ne sono un esempio la chiusura dei campi cittadini di Eleonas (Atene) 12 e Ventimiglia, lo sgombero di campi improvvisati a Parigi, gli accordi di “esternalizzazione” delle frontiere con Turchia, Libia, Niger ed Egitto, gli sforzi del governo britannico per esaminare le richieste di asilo in Ruanda e la proposta di “Nuovo patto sulla migrazione e l’asilo” della Commissione europea.

I flussi migratori continuano a mettere a nudo la precarietà dell’ordine imperialista e capitalista globale, sfidando i suoi equilibri. Invece di metterlo in discussione ed accogliere le persone in movimento sul suolo europeo, i governi si sono posti come obiettivo comune quello di rassicurare i propri elettori sul fatto che i centri urbani rimangono “decongestionati”, puliti e liberi dalla vista di qualsiasi straniero indesiderato. I leader europei hanno fatto del “non nel mio cortile” il loro mantra a tutti i livelli e fatto dell’invisibilizzazione la politica comune.

Abbiamo chiesto a G. cosa pensa della politica dello Stato. Lasciamo a lui le ultime parole.

G.: … il governo greco è complicato, cambia continuamente idea, quindi non so come funziona. Un giorno dicono che costruiremo qualcosa e poi no! Ci fermiamo. È complicato e loro sono dei bugiardi.
I Paesi europei prendono i soldi, mangiano, sfruttano i migranti, sono molto a loro agio con tutto questo. È difficile.
Vivere qui è difficile.
Sono arrivato qui come un bel ragazzo, carino e tutto il resto, e dopo 6 mesi: brutto! A causa dello stress, del comportamento di queste persone.
È questo che ci fanno. Questo è tutto.

PH: Solidarity With Migrants
  1. Inizialmente, il programma ESTIA (Emergency Support to integration and accommodation programme) rispondeva alle esigenze di alloggio dei beneficiari idonei del programma di ricollocazione dell’UE come sistemazione temporanea prima della partenza. Tuttavia, a causa del continuo afflusso di migranti nel Paese, è emersa la necessità di una sistemazione attraverso la fornitura di appartamenti, per offrire altre soluzioni abitative diverse dalla sistemazione di massa in campi e container che fungono da strutture di accoglienza per i richiedenti asilo, come previsto dalla legge
  2. ESTIA programme – A home away from home, UNHCR
  3. Art. 17 Nr. 2 of the EU directive 2013/33/EU
  4. Per approfondire (in greco)
  5. Articolo 61 della legge 4939/2022
  6. Senza una decisione scritta, è impossibile esercitare il diritto di ricorso (ai sensi dell’articolo 26 in combinato disposto con gli articoli 17, 21 e 22 della Direttiva 2013/33/UE). Leggi anche «Closure of ESTIA II: thousands of extremely vulnerable asylum seekers to be left without humane and adequate accommodation and proper care», Fenix Aid(31 ottobre 2022)
  7. Scelta di traduzione: G probabilmente intendeva “cercare una vita migliore“, ma ha detto “pour chercher la vie” (“per cercare la vita”), abbiamo scelto di mantenerlo il più vicino possibile a ciò che ha espresso
  8. Completamento del programma abitativo “ESTA II” nel 2022 (GR)
  9. Expulsions, sans-abrisme et recul de l’insertion, avec la fermeture de l’ESTIA, Efsyn.gr (dicembre 2022)
  10. The EU-Turkey Deal, Five Years On: A Frayed and Controversial but Enduring Blueprint, Migration Policy Institute (aprile 2021)
  11. Closure of ESTIA II: a political choice behind its closure, Fenix Aid (dicembre 2022)
  12. Eleonas chiude, ESTIA chiude, sfratti ovunque! Left.gr (dicembre 2022)