Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Silvia Di Meo (Cimitero degli sconosciuti a Zarzis)
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Nuovi sviluppi sulla “rotta tunisina” sempre più pericolosa

Un’analisi del Civil MRCC - Centro Civile per il Coordinamento del Soccorso Marittimo

Start

Negli ultimi due anni, sempre più persone stanno lasciando la Tunisia in barca per raggiungere l’Italia. Questa analisi del Civil MRCC (Coordination and documentation platform for people in distress in the Central Mediterranean) 1 descrive gli ultimi sviluppi lungo questo percorso, collocandoli nel quadro più ampio delle politiche europee di esternalizzazione delle frontiere.
Il documento è stato tratto da Migration-Control.info e tradotto dall’arabo da Nagi Cheikh Ahmed.

Il Civil MRCC è una rete di diversi attori non governativi e di persone con esperienza in operazione di ricerca e salvataggio (SAR) nel Mar Mediterraneo. Supporta la flotta di ONG che hanno assistito e portato in salvo decine di migliaia di persone dal 2014.

Ciò è avvenuto attraverso salvataggi marittimi effettuati dalle navi delle ONG, voli di monitoraggio aereo con velivoli civili, nonché attraverso la linea telefonica di allarme che ha assistito oltre 5.000 imbarcazioni in pericolo dal 2014. Intende infine a contribuire a creare una rete di solidarietà a sostegno delle persone in movimento.

PH: Silvia Di Meo (Zarzis, 2022)

Un numero crescente di barche naufragate

Dal 2022, in prossimità delle coste tunisine, è in aumento il numero dei naufragi e delle sparizioni di imbarcazioni che trasportano persone migranti che cercano di raggiungere l’Italia. Secondo i dati del Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES), tra l’inizio dell’anno e la fine di novembre 2022, più di 575 persone sono morte su questa traversata. A questa cifra vanno aggiunti anche i relitti “invisibili“, quelle innumerevoli imbarcazioni che scompaiono senza lasciare traccia.

In Tunisia, i corpi dei migranti – gettati a riva – si ammucchiano negli obitori, così come quelli riportati indietro dalla guardia costiera tunisina o dai pescatori. Secondo il giudice Mourad Turki, portavoce dei tribunali di Sfax, l’obitorio dell’ospedale regionale di Sfax ha ricevuto dal 1° gennaio al 31 dicembre 2021: 300 corpi recuperati dal mare. Tra gennaio e aprile 2022, 125 corpi sono stati registrati nello stesso ospedale. Va notato che la maggior parte dei corpi, che possono essere identificati, sono quelli di migranti non tunisini, per lo più provenienti dall’Africa occidentale e centrale 2.

Questo obitorio è così affollato che i cadaveri vengono solitamente deposti sul pavimento senza refrigerazione, nonostante le temperature soffocanti e i rischi per la salute, per non parlare delle mancanze di garanzie alla dignità dei morti.

Il sistema di identificazione dei corpi è carente, la maggior parte dei corpi sono sepolti anonimamente. Questo fallimento riguarda anche i cittadini tunisini, come dimostra il recente naufragio a Zarzis nel settembre 2022, dove i corpi sono stati sepolti senza riconoscimento del DNA 3.

PH: Silvia Di Meo (Zarzis)

Aumento del numero di migranti provenienti dall’Africa occidentale e centrale

Negli ultimi anni, il numero di persone che navigano sulla rotta tunisina è cambiato e si registra un chiaro aumento della popolazione dell’Africa occidentale e centrale che percorrono questa rotta soprattutto dal 2020. Mentre nel 2020 i tunisini rappresentavano quasi i tre quarti delle persone intercettate dalla guardia costiera tunisina, i dati pubblicati dal FTDES nel 2022 indicano che i tunisini ne rappresentano solo la metà e i non tunisini (in particolare gli africani centrali e occidentali), gradualmente, diventano la maggioranza 4

A lungo considerato un paese di origine dei migranti, la Tunisia è oggi anche un paese di destinazione per molti migranti, e sempre più un paese di transito. Dagli anni sessanta, la Tunisia ha accolto l’immigrazione dai paesi sub-sahariani, principalmente francofoni, arrivati a studiare o lavorare in Nord Africa. La maggior parte arriva in Tunisia in aereo in modo regolare: sono ivoriani, guineani, gambiani e maliani che sono esentati dalla richiesta di visti di residenza se la durata è inferiore a tre mesi.

Dal 2018 dopo aver rafforzato la cooperazione tra l’UE e la Guardia costiera libica, la Tunisia tende a diventare un paese di transito sia per una popolazione di migranti in fuga dalla Libia, sia per quelli che arrivano in Tunisia direttamente dai loro paesi di origine. Mentre alcuni migranti arrivano con l’ambizione di tentare di attraversare il mare verso l’Italia, sempre più persone finiscono per lasciare il Paese in barca dopo averci vissuto per diversi anni, fuggendo dal deterioramento della situazione economica e dalle tante forme di insicurezza. 

Ciò è particolarmente vero nella regione di Sfax, dove c’è un gran numero di migranti provenienti dall’Africa occidentale e centrale. Poiché un gran numero di queste persone vive in una situazione irregolare e sono criminalizzate dalle autorità, la preparazione per la partenza è spesso più complicata che per i cittadini tunisini. I viaggi auto-organizzati sono rari e le barche sono spesso instabili e sovraffollate.

PH: Anis Khouildi (Manifestazione a Zarzis)

Una strada difficile da monitorare, con imbarcazioni particolarmente pericolose

È particolarmente difficile monitorare Il percorso tunisino da parte degli attori civili. Più siamo vicini alle coste tunisine, più sfocate e nascoste sono le informazioni su ciò che sta accadendo in mare: in particolare laddove è specificamente vietato l’ingresso di mezzi aerei civili, nello spazio aereo militare tunisino, che copre una vasta area delle rotte standard dalla Tunisia verso Lampedusa. Questo è uno dei motivi principali per cui un gran numero di naufragi e intercettazioni di barche che lasciano la Tunisia vengono raccontati solo dai superstiti.

Inoltre, in Tunisia l’uso di telefoni satellitari è criminalizzato, privando così le persone sulle barche la possibilità di allertare le autorità o Alarm Phone quando si allontanano dalla costa.

Inoltre, è apparso dalla scorsa estate un tipo di imbarcazione particolarmente pericoloso: si tratta di barche metalliche fatte di sottili piastre di ferro tenute insieme. Il loro impiego risponde al bisogno che è nato dopo le recenti retate nelle fabbriche di barche di legno. Questo tipo di barche sono utilizzate principalmente da migranti provenienti dall’Africa occidentale e centrale in partenza da Sfax. Sebbene queste barche siano promosse come “sicure“, sono molto instabili e possono facilmente riempirsi d’acqua e capovolgersi in qualsiasi momento. Molte delle barche di ferro segnalate ad Alarm Phone dopo aver lasciato la Tunisia sono naufragate o sono ancora disperse. È anche difficile per le ONG e le autorità, salvare queste imbarcazioni a causa della loro instabilità e dei bordi taglienti, che possono danneggiare i tubolari.

PH: Alarm Phone

Attacchi della guardia costiera tunisina, manovre pericolose

Come documentato da diverse organizzazioni della società civile tunisina ed europea, la guardia costiera tunisina è stata accusata in numerose occasioni di essere coinvolta in manovre pericolose che hanno ucciso decine di persone. Nel febbraio 2011, alcuni tunisini che avevano tentato di raggiungere l’Italia in barca hanno accusato la Guardia costiera tunisina di essersi “deliberatamente lanciata” a scontrarsi con la loro barca, uccidendo 5 persone e disperdendo 30 in acque internazionali 5.

Questi attacchi hanno subito un’accelerazione negli ultimi mesi, prendendo sempre più di mira migranti tunisini e non tunisini. Le organizzazioni della società civile tunisina e Alarm Phone hanno raccolto numerose testimonianze, foto e video postati sui social network che denunciano il comportamento violento delle autorità tunisine durante le intercettazioni marittime.

Il 19 dicembre 2022 è stato pubblicato un comunicato stampa firmato da più di cinquanta associazioni che denuncia questa violenza: “Picchiano la gente con bastoni, sparano colpi in aria o in direzione del motore, attaccano con coltelli, fanno manovre pericolose per tentare di affondare le barche, chiedono soldi in cambio di salvataggio...”.

Le pratiche della Guardia costiera tunisina riportate dai migranti sono più che allarmanti. Queste pratiche provocano morte, come è successo il mese scorso, secondo quanto raccontato da alcuni sopravvissuti. La notizia è stata riportata anche da vari media: una barca della Guardia costiera nazionale tunisina ha infatti speronato violentemente una barca di migranti al largo della costa della città tunisina di Chebba, causando l’annegamento di tre bambini 6.

Questi comportamenti violenti, incoraggiati dalle politiche di esternalizzazione delle frontiere da parte dell’UE e dei suoi Stati membri, contribuiscono a rendere il percorso della Tunisia doppiamente pericoloso. Nonostante questi ostacoli, molti migranti riescono ancora a raggiungere le coste italiane, la stragrande maggioranza in modo indipendente. 

Un partner chiave dei paesi europei nel controllo della migrazione

Accordo di riammissione tra Italia e Tunisia

La cooperazione tra Europa e Tunisia si concretizza principalmente negli accordi bilaterali, in particolare tra Tunisia e Italia, paese in prima linea per gli arrivi dalle coste tunisine.
Italia e Tunisia hanno firmato diversi accordi per la gestione congiunta della migrazione, il controllo delle frontiere e l’espulsione dei cittadini irregolari: nel 1998, nel 2009, poi nel 2011 e di nuovo nel 2017. Tuttavia, alcuni di questi accordi non sono stati pubblicati dai governi di entrambi i paesi 7.

L’accordo di rimpatrio tra Italia e Tunisia è tra i pochi ad essere attuato, infatti il rimpatrio dei cittadini tunisini costituisce una percentuale significativa del totale delle espulsioni. In particolare, con il ritorno di circa 1.922 tunisini nel 2020 e 1.872 nel 2021, i rimpatri forzati in Tunisia rappresentano il 73,5 per cento del totale dei rimpatri effettuati dall’Italia.

La migrazione dalla Tunisia era ed è ancora considerata migrazione “economica”. Si ritiene generalmente che i cittadini tunisini non abbiano né il desiderio né la necessità di chiedere protezione internazionale. Questa idea, lontana dalla realtà come costantemente attestato dalle organizzazioni della società civile tunisina e internazionale, è profondamente radicata e ha fortemente influenzato le pratiche e le politiche di gestione della migrazione in Tunisia. È stato persino sancito di inserire la Tunisia nella lista dei “paesi sicuri”, rendendo estremamente difficile per i cittadini tunisini ottenere protezione internazionale in Italia.

PH: Silvia Di Meo (Spiaggia di Zarzis)

Milioni per proteggere le frontiere dell’UE

Nel 2012, la Tunisia ha firmato un accordo di “partenariato privilegiato” con l’Unione europea, che è stato tradotto in un piano d’azione per il periodo 2013-2017. Il piano fa riferimento innanzitutto all’apertura di negoziati per un “partenariato per la mobilità“: in cambio di una politica di facilitazione dei visti (riservata a una piccola élite di tunisini altamente qualificati), l’impegno della Tunisia a firmare un accordo di riammissione aveva l’obiettivo di facilitare il rimpatrio non solo dei tunisini espulsi dall’Europa, ma anche dei cittadini di paesi terzi che erano transitati nel suo territorio prima di arrivare nell’UE.

Mentre le autorità tunisine si sono finora rifiutate di firmare questo accordo, hanno accettato milioni per proteggere i confini dell’UE. Tra il 2016 e il 2020, la Tunisia ha ricevuto oltre 37 milioni dal Fondo fiduciario dell’UE per l’Africa, per la “gestione dei flussi migratori e delle frontiere“.

In un documento trapelato da Statewatch 8 sulle priorità strategiche tra l’UE e la Tunisia per il periodo 2021-2027, la Commissione europea ha proposto di stanziare fino a 85 milioni di euro alla Tunisia per il 2021 e il 2022 per coprire le spese di “gestione delle frontiere, gestione della migrazione, rimpatrio volontario da e verso la Tunisia, nonché per molteplici azioni dello Stato tunisino sulla migrazione legale e la lotta al traffico di migranti“. Nonostante alcuni progetti di facciata legati all’immigrazione legale, è chiaro che l’obiettivo è impedire che si raggiungano le coste europee.

L’Italia svolge un ruolo guida ed è responsabile di sostenere l’apparato di controllo delle migrazioni in Tunisia

Dal 2017, lo Stato ha investito circa 75 milioni di euro in progetti di gestione della migrazione, finanziati principalmente attraverso il Fondo per le migrazioni (precedentemente noto come Fondo italiano per l’Africa), creato nel 2017, e attraverso il Fondo per i rimpatri istituito nel 2019.
Nove dei progetti finanziati riguardano il sostegno al controllo delle frontiere attraverso azioni di formazione della polizia, di fornitura di attrezzature per la raccolta e la gestione dei dati,  supporto tecnico, l’equipaggiamento e la manutenzione delle navi per condurre pattugliamenti costieri e altri strumenti necessari per tracciare e controllare i movimenti dei migranti. Per queste attività, l’Italia ha stanziato 58 dei 75 milioni di euro sopra menzionati. I fondi rimanenti sono stati stanziati per affrontare le cause all’origine dell’emigrazione, la reintegrazione dei rimpatriati e per progetti volti a proteggere i rifugiati e i richiedenti asilo, attraverso finanziamenti all’UNHCR in Tunisia.

PH: Ludovica Gualandi (Murales di Punta Favaloro, simbolo degli sbarchi nell’isola di Lampedusa)

Maggiore cooperazione in mare

Negli ultimi anni, l’UE e l’Italia hanno concentrato una parte importante del loro sostegno alla Tunisia nella sorveglianza marittima. Un buon esempio di cooperazione tra Italia e Tunisia in questo campo è il progetto “Sostegno al controllo delle frontiere e gestione dei flussi migratori in Tunisia” attuato dall’Ufficio delle Nazioni Unite per i Servizi e i Progetti (UNOPS) in Tunisia e dal Ministero degli Affari Esteri italiano. Questo progetto, iniziato nel maggio 2021, prevede la manutenzione e la ristrutturazione di sei motovedette della Guardia Costiera tunisina 9(appalto che si è aggiudicato il Cantiere Navale Vittoria di Adria (RO), azienda che fornisce anche equipaggiamento, addestramento e motovedette alle autorità libiche. ndR).

La componente tunisina del Programma di gestione delle frontiere dell’UE (BMP) Maghreb, finanziato dal Fondo fiduciario di emergenza dell’UE per l’Africa (30 milioni di euro per il periodo 2018-2023) e attuato dal Centro internazionale per lo sviluppo delle politiche migratorie (ICMPD), si concentra anche sul rafforzamento delle capacità della guardia costiera nazionale tunisina. Il progetto mira a istituire un sistema integrato di controllo delle frontiere e di comunicazione costiera, a fornire attrezzature operative per la guardia costiera (compresa l’installazione radar) e a sviluppare le loro capacità attraverso corsi di formazione.

È evidente che la maggiore capacità di intercettazione della guardia costiera tunisina è direttamente proporzionale al sostegno italiano ed europeo. Secondo le informazioni raccolte dal Forum tunisino per i diritti economici e sociali (FTDES), ci sono state più di 29.000 intercettazioni in mare dall’inizio del 2022. Allo stesso tempo, il numero di attacchi alle barche di migranti è aumentato drammaticamente. La Guardia costiera tunisina è addestrata, equipaggiata e finanziata direttamente dall’Unione Europea, nonostante le sue pratiche violente siano documentate.

La cooperazione tra Frontex (l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera) e la Tunisia rimane poco chiara. Nel 2021 Frontex ha riferito che “in Tunisia non sono state svolte attività dirette legate alle frontiere a causa della riluttanza delle autorità tunisine a cooperare con Frontex“. Dal maggio 2022, Frontex fa volare droni, oltre alle sue varie attrezzature, e monitora quotidianamente il corridoio tra Tunisia e Lampedusa.

Tuttavia, sebbene sia chiaro che Frontex condivide i dati con le autorità italiane e che le autorità italiane si scambiano informazioni sulle imbarcazioni in rotta dalla Tunisia all’Italia con la parte tunisina, le comunicazioni e lo scambio di dati tra Frontex e le autorità tunisine rimangono incerti.

Finora non è stato possibile verificare se Frontex sia in contatto diretto con la guardia costiera tunisina come nel caso della guardia costiera libica. Sebbene la maggior parte delle intercettazioni sia avvenuta al largo delle coste tunisine, la marina tunisina ha effettuato alcune intercettazioni al di fuori delle acque territoriali. Visto che la Tunisia non effettua sortite in quest’area, è molto probabile che le informazioni sulle imbarcazioni in difficoltà provengano dall’Italia o direttamente da Frontex. 

PH: Alarm Phone

Tunisia, una futura “piattaforma di sbarco”?

Come ulteriore passo verso l’esternalizzazione delle frontiere, trasformare la Tunisia in una “piattaforma di sbarco” è un progetto sognato da lungo tempo dall’UE.

Il 28 giugno 2018, adottando una proposta congiunta dell’UNHCR e dell’OIM, il Consiglio d’Europa e la Commissione europea hanno chiesto lo sviluppo di una proposta per gestire i flussi migratori attraverso la creazione di “centri controllati” (da istituire sul territorio degli Stati membri dell’UE) e di “piattaforme di sbarco regionali” (da istituire al di fuori del territorio dell’UE). 

Poco dopo, nel luglio 2018, la Commissione ha presentato un documento informale sulle piattaforme di sbarco regionali in un paese terzo.

Secondo tale documento, il meccanismo di sbarco regionale sarà destinato ai migranti soccorsi in acque internazionali o nelle acque territoriali di uno Stato terzo da navi battenti bandiera di uno Stato membro o di uno Stato terzo.

Il documento informale della Commissione europea ha fatto riferimento alla possibilità di stabilire piattaforme di sbarco nei paesi nordafricani: questo dipende dalla negoziazione di un “pacchetto personalizzato” per ogni paese terzo che offre di ospitare una zona di atterraggio. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) ha voluto contribuire ai negoziati impegnandosi a rafforzare i sistemi nazionali di asilo, compreso il quadro normativo e i meccanismi di protezione.

Sebbene la Tunisia all’epoca abbia categoricamente respinto questa proposta, il crescente coinvolgimento delle agenzie delle Nazioni Unite (UNHCR e OIM) sul suo territorio mostra la crescente esternalizzazione delle frontiere europee nel Paese nordafricano.

Nell’ultimo piano d’azione per il Mediterraneo centrale, pubblicato dalla Commissione europea lo scorso novembre, si fa riferimento alla Tunisia sia in termini di rafforzamento delle capacità del Paese di monitorare e gestire le proprie frontiere marittime, sia di potenziamento della presenza  dell’organizzazione delle Nazioni Unite e di un sistema di accoglienza di migranti e rifugiati nel Paese.

PH: Luca Ramello e Riccardo Biggi (Protesta davanti al Teatro di Av. Bourghiba – Tunisi, per la CommemorAzione del 4 febbraio 2023)

Un paese che non è affatto considerato “sicuro”

Economicamente, socialmente e politicamente

L’attuale situazione politica ed economica in Tunisia risente delle turbolenze politiche in corso dallo scioglimento del parlamento nel luglio 2021. Questa crisi è stata poi esacerbata dalla pandemia di coronavirus Covid-19 e dall’intervento militare russo in Ucraina. Le ripercussioni di questa crisi si sono tradotte in misure di austerità adottate dal governo tunisino e imposte dalle istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo Monetario Internazionale. Ma queste misure di austerità non risolvono molti problemi, come l’alta disoccupazione e l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, in particolare dei prodotti alimentari.

Inoltre, nonostante il rafforzamento del ruolo della società civile all’indomani della rivoluzione del 2011, la Tunisia è ancora lontana dal rispetto dei diritti umani. La libertà di espressione, di stampa, di riunione e di religione non è pienamente garantita, così come la parità di genere. La brutalità della polizia non si è fermata negli ultimi anni, come confermato dal verificarsi di diversi casi di assassinio di giovani e vari casi documentati di tortura. 

Questa brutalità della polizia ha colpito diversi gruppi sociali come persone provenienti da aree emarginate o persone della comunità LGBTQ+. Secondo la legge tunisina, il sesso consensuale tra persone dello stesso sesso è criminalizzato e punibile fino a tre anni di carcere.

Situazione dei migranti e dei richiedenti asilo

La situazione dei migranti in Tunisia è in gran parte determinata ed esacerbata dalla legislazione sulla residenza irregolare, che espone i migranti alla detenzione, alla deportazione e alle sanzioni per le violazioni della residenza. Molti migranti che vivono in Tunisia soffrono anche di deterioramento delle condizioni economiche, difficoltà di accesso ai servizi sanitari ed educativi, nonché di razzismo anti-nero, che è profondamente radicato nella società tunisina. Sono stati registrati diversi casi di violenza fisica culminati in omicidi, come il caso nel 2018 di Valico Coulibaly, presidente della comunità ivoriana in Tunisia.
Sebbene la Tunisia abbia ratificato la Convenzione di Ginevra, il diritto di asilo non è ancora garantito nell’ordinamento giuridico tunisino. In assenza di una legislazione che disciplini il diritto di chiedere asilo, l’UNHCR è l’entità che fornisce protezione internazionale in Tunisia dal 2011.

Diverse organizzazioni della società civile hanno ampiamente documentato ostacoli alla richiesta di asilo, mancanza di trasparenza e garanzie durante le procedure di determinazione dello status di rifugiato, nonché discriminazione sulla base della nazionalità. Anche i rifugiati e i richiedenti asilo non riescono a trovare lavoro e si trovano in una situazione particolarmente vulnerabile senza accesso all’istruzione, alla salute e ai servizi di supporto psicologico, anche se molti di loro sono stati in Libia a subire torture, stupri e abusi.

La Tunisia è stata accusata più volte di violare il principio di non respingimento. Un caso raramente segnalato si è verificato nel settembre 2021, quando diversi migranti, per lo più provenienti dall’Africa occidentale e centrale, sono stati deportati in Libia dopo essere stati intercettati dalla guardia costiera tunisina.

La tessera di rifugiato o richiedente asilo rilasciata dall’UNHCR non fornisce alcuna protezione contro la detenzione o la deportazione nel paese di origine. È il caso di Slimane Bouhafs, rifugiato in Tunisia, deportato in Algeria nell’agosto 2021 nonostante fosse sotto la protezione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR).

PH: Silvia Di Meo (Sulla spiaggia di Zarzis)

Dalla “sicurezza” all’aumento dell’esternalizzazione delle frontiere

Nonostante tutte le prove che la Tunisia non è un paese sicuro, l’UE tende a sostenere il contrario per giustificare l’esternalizzazione delle sue politiche migratorie. Il concetto di paese terzo sicuro, già introdotto nella “Direttiva sulle procedure di asilo” (Direttiva 2005/85/CE), è già centrale nelle strategie di esternalizzazione delle frontiere dell’UE. La sua applicazione consente ai richiedenti asilo di essere rimpatriati in un paese terzo considerato sicuro, senza un’effettiva valutazione nel merito delle loro domande di asilo.

La direttiva attualmente in vigore stabilisce che gli Stati membri possono considerare sicuro un paese terzo se sono soddisfatti una serie di requisiti relativi al rispetto dei diritti fondamentali, quali l’assenza di un rischio di persecuzione per il richiedente, il rispetto del principio di non respingimento e la possibilità per il richiedente di chiedere protezione e, una volta accettata, la possibilità di ottenere una protezione adeguata in conformità alla Convenzione di Ginevra. Lo Stato membro deve solo dimostrare l’esistenza di un legame reale tra il richiedente asilo e il paese di rimpatrio. 

La proposta di riformulare la “Direttiva sulle procedure di asilo“, introdotta dall’UNHCR nel 2016, mira ad ampliare il concetto di paese terzo sicuro, consentendo agli Stati membri dell’UE di applicare il concetto dopo un esame individuale che confermi la relazione del richiedente asilo con il paese terzo, laddove il transito o la permanenza nel Paese costituiscono un legame sufficiente. Pertanto, se qualcuno arriva in Italia via mare ed è dimostrabile che è partito dalla Tunisia, potrebbe essere espulso con il pretesto che lì beneficerà di un’adeguata protezione. 

Questa analisi mostra i rischi connessi al riconoscimento da parte dei Paesi europei della Tunisia come paese terzo sicuro. Promuovendo questo concetto, l’UE sta cercando gradualmente di trasferire in Tunisia le richieste di asilo delle persone in movimento che raggiungono le coste europee. Questo è anche il concetto utilizzato dall’UE per cercare di rendere accettabile lo sbarco di persone intercettate o soccorse nel Mediterraneo in Tunisia. Lo scenario di trasformare la Tunisia in una “piattaforma di sbarco” tende a diventare una realtà, se non fosse che ciò viene impedito dalla riluttanza delle autorità tunisine e dall’opposizione della società civile.

Il Civil MRCC denuncia questa politica pericolosa, illegale e disumana. Pur promuovendo la libertà di movimento per tutti, continueremo a documentare tutti i motivi per cui la Tunisia non dovrebbe essere considerata un luogo sicuro per sbarcare in nessuna circostanza.

  1. Leggi il rapporto in inglese pubblicato per la prima volta su ECHOES Issue 4, January 2023
  2. La Presse.tn, «Sfax | Faute d’inhumation des corps des migrants clandestins décédés en mer: La morgue de l’hôpital débordée», 5 mai 2022.
  3. Zarzis 18/18, una mobilitazione in Tunisia per i morti nel Mediterraneo.
  4. Cfr. FTDES monthly reports «Rapport des mouvements sociaux, suicides, violences et migrations».
  5. Le Monde, Des rescapés accusent les garde côtes tunisiens d’avoir précipité leur naufrage, 15 février 2011.
  6. Press release, Deadly policies in the Mediterranean: Stop the shipwrecks caused off the coast of Tunisia, 19 December 2022.
  7. Vedi gli accordi pubblicati sul sito del progetto di ASGI “Sciabaca e Oruka”.
  8. EU: Tracking the Pact: Tunisia refuses cooperation with Frontex but will set up an “integrated border surveillance” system.
  9. Concept note

Nagi Cheikh Ahmed

Sono un rifugiato politico, giornalista mauritano e mediatore culturale. Impegnato nella tutela dei diritti umani e nella lotta alle diseguaglianze.
Dal febbraio 2022 faccio parte della redazione di Radio Melting Pot.