Il Tribunale di Roma, accogliendo il ricorso presentato da un cittadino del Bangladesh, ha annullato il provvedimento dell’Unità Dublino di trasferimento in Romania non solo per superamento del termine semestrale ma per una attenta disamina sul sistema asilo nel Paese e le scarse garanzie offerte.
Da un lato in ragione di quanto previsto dall’art. 3, par. 2, Reg. Dublino e dall’art. 4 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, “Il Collegio” – si legge – “ritiene che sia fondato il rischio attuale che il ricorrente, qualora trasferito in Romania, possa essere sottoposto a trattamenti inumani e degradanti”.
Se il sistema di accoglienza romeno appare, di per sé, strutturalmente deficitario, presenta, oggi, ancora maggiori criticità in ragione della crisi originata dalla guerra in Ucraina, con migliaia di rifugiati ed un aumento esponenziale delle domande di protezione. Come ricavabile dalle fonti internazionali, si riscontra, infatti, “una generale impreparazione del sistema di asilo romeno, a causa delle migliaia di cittadini ucraini che in fuga dalla guerra si stanno rifugiando in Romania1. Già un articolo di Radio Free Europe del 15 febbraio 2022 affermava che, secondo organizzazioni della società civile, la Romania appariva del tutto impreparata ad un significativo flusso di profughi provenienti dall’Ucraina. Le carenti strutture di accoglienza risultavano già al limite della loro capacità prima dell’inizio della crisi ed è difficile che siano in grado di accogliere decine di migliaia di nuovi arrivi, anzi secondo fonti governative, sarebbe possibile creare un massimo di 2.500 posti in più nel sistema di accoglienza”.
Quanto sopra, non di meno anche per concorde criterio sulla decorrenza del termine previsto dall’art. 29 Reg. Dublino. Come rilevato dal Collegio, infatti, “risulta il mancato rispetto del termine di 6 mesi dall’accettazione della presa in carico da parte dello stato dichiaratosi competente. Dal tenore letterale stesso di tale disposizione emerge che essa prevede un trasferimento automatico della competenza allo Stato membro richiedente, senza subordinare tale trasferimento a qualsivoglia reazione dello Stato membro competente […]. Il termine, inoltre, sulla base del tenore letterale della norma, decorre dall’accettazione della presa in carico, né risulta che il termine sia stato prorogato [dall’Italia, n.d.r.] sulla base delle condizioni previste dalla norma”.
A tale ultimo riguardo, veniva rigettata l’eccezione del Ministero (secondo cui vi era stata sospensione del termine, per irreperibilità del richiedente), non essendoci “alcuna prova che il ricorrente fosse stato cercato e si fosse reso irreperibile risultando altresì agli atti l’avvenuta comunicazione alla Questura di Pordenone del suo trasferimento da Pordenone ad Arezzo dove ad oggi risiede”.
Si ringrazia l’avv. Gabriele Bidini per la segnalazione e il commento.