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Regolarizzazione 2020: si porti a termine la procedura a quasi 3 anni dalla sua approvazione

Inviata una lettera al ministro dell’interno Matteo Piantedosi

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La campagna Ero straniero e le associazioni che hanno promosso l’azione collettiva contro i ritardi delle Prefetture di Roma e Milano nel concludere le procedure della regolarizzazione del 2020 hanno inviato una lettera al ministro dell’interno Matteo Piantedosi affinché intervenga quanto prima per portare finalmente a termine la procedura di regolarizzazione a quasi tre anni dalla sua approvazione. 

Oltre un quarto delle circa 200.000 richieste di regolarizzazione è in attesa di essere concluso, come riportato dai dati pubblicati nel dossier di monitoraggio dello scorso dicembre. Proprio per tale ragione nei mesi scorsi Oxfam Italia, CILD, Asgi, Spazi Circolari, Nonna Roma, NAGA, Domina Roma Nord, Progetto Diritti, Casa dei diritti sociali, hanno promosso una azione collettiva per l’efficienza della pubblica amministrazione di fronte al Tribunale Amministrativo per il Lazio (rg 11325/22, trattenuta in decisione lo scorso 31 gennaio) ed analoga azione al Tribunale Amministrativo per la Lombardia (rg 3350/22) con fissazione di udienza per il prossimo 27 aprile.

Anche al fine di evitare un danno all’erario, conseguente alle migliaia di ricorsi individuali di risarcimento del danno, le associazioni chiedono al ministro di adottare una circolare che faccia proprie le più recenti decisioni dei giudici in materia, in modo da porre rimedio alla gravissima ingiustizia cui sono vittime decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici.

Si fa riferimento, in primo luogo, a quell’orientamento giurisprudenziale (in ultimo: sentenza n. 1811/2022 del TAR per il Veneto) secondo il quale sebbene il parere dell’ispettorato del lavoro nella procedura di emersione sia obbligatorio e quindi vada richiesto, questo non può mai considerarsi vincolante perché nessuna norma lo individua come tale. Ne consegue che se l’Ispettorato si rifiuta o tarda a emetterlo, lo Sportello unico deve comunque concludere il procedimento nei termini di legge (180 giorni) effettuando “una propria valutazione in ordine all’ammissibilità della documentazione, e alla fondatezza dell’istanza di emersione“. Il giudice amministrativo ha quindi riconosciuto l’applicazione anche nelle procedure di emersione del meccanismo del c.d. silenzio facoltativo in tema di pareri non obbligatori di cui all’art. 16 della Legge n. 241 del 1990, secondo il quale, trascorsi 20 giorni della richiesta del parere, l’amministrazione procedente deve procedere indipendentemente dall’espressione del parere. Solo tale previsione, se adottata a livello nazionale, consentirebbe di concludere gran parte delle pratiche che sono ancora in attesa di essere definite.

Altro punto critico è il rifiuto della domanda (o il preavviso di rifiuto) a causa del reddito insufficiente del datore di lavoro o, più in generale, per motivi esclusivamente ascrivibili al datore di lavoro: in questi casi è indispensabile che al lavoratore venga comunque rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione, come evidenziato nella recente ordinanza n. 56/2023 Tar Umbria che ha trasmesso gli atti alla Corte Costituzionale dubitando “della legittimità costituzionale dell’art. 103 del d.l. n. 34/2020 nella parte in cui il legislatore, a differenza di quanto era accaduto per la c.d. “emersione 2012”, non ha previsto che, laddove il rigetto della dichiarazione di emersione sia dovuto esclusivamente a fatti e condotte ascrivibili al datore di lavoro, al lavoratore vada comunque rilasciato un permesso di soggiorno per attesa occupazione o un altro titolo corrispondente alla situazione lavorativa – anche sopravvenuta – che l’interessato riesca a comprovare.”.

Si chiede inoltre nella lettera di trattare con urgenza gli appuntamenti fissati presso le locali questure dopo l’invio del kit postale da parte di chi ha sottoscritto il contratto di soggiorno a seguito di regolarizzazione. Non è infatti tollerabile che, per chi ha presentato l’istanza di regolarizzazione, al ritardo (oltre due anni) per la sottoscrizione del contratto di soggiorno, si sommi l’ulteriore ritardo per l’ottenimento effettivo del permesso di soggiorno.

A Roma, ad esempio, dopo l’invio del kit postale, l’appuntamento per i rilievi fotodattiloscopici è fissato dopo almeno sei mesi. Tale ulteriore ritardo comporta irreparabili danni per i diretti interessati che, a titolo esemplificativo, devono affrontare gravi difficoltà per ottenere la residenza anagrafica, il rilascio di una carta di identità, attivare uno SPID ed accedere ai benefici (ad es. assegno unico universale) che presuppongono la residenza anagrafica o il possesso della carta di identità o l’attivazione dello SPID e spesso vedono rigettate le relative istanze per la carenza di un titolo di soggiorno; ciò nonostante gli stessi stiano svolgendo attività lavorativa anche da oltre due anni e siano in possesso di tutti i requisiti per accedere, ad es., all’assegno unico universale o altri benefici.