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Siamo davanti al «mostro finale»?

Il soccorso in mare alla prova del decreto 1/2023

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Il primo decreto legge del 2023 1 – interamente dedicato al soccorso in mare – è l’ultimo prodotto della stagione politica di lungo corso segnata dalla ostilità diffusa nei confronti delle persone migranti. Negli ultimi sei anni, almeno cinque governi – con profili tra loro anche molto diversi – si sono dati il cambio nello sviluppo di iniziative politiche, normative, amministrative e discorsive finalizzate al contrasto del movimento delle persone e delle attività di salvataggio.

L’emanazione del decreto è stata accompagnata da una nebulosa di reazioni, da parte delle associazioni e dei movimenti, con al centro la triade sconcerto-indignazione-paura. La ragione è comprensibile: la scelta di intervenire con l’introduzione di una nuova normativa per provare a ridefinire i confini delle operazioni di soccorso in mare – con una limpida intenzione intimidatoria – spaventa e fa arrabbiare chi è solidale con le e i migranti. A una prima lettura, il testo sembra dunque il punto di arrivo nella guerra alle persone che migrano e ai salvataggi in mare. 

PH: Johannes Gaevert/Sea-eye

La scelta di emanare questo decreto – il primo atto normativo di questo calibro licenziato dal governo Meloni in relazione ai flussi migratori – è stata da più parti rappresentata come il tentativo di chiudere la partita del Mediterraneo centrale, imbrigliando definitivamente l’azione delle ONG. Una seconda lettura restituisce, viceversa, sensazioni più contraddittorie. Il decreto non è la sintesi di tutti gli impulsi securitari e persecutori agiti negli ultimi anni. Il suo contenuto è più ambivalente, parziale e a tratti ingenuamente violento.

Con buona approssimazione, è possibile dividere il contenuto del decreto in due gruppi. Del primo fanno parte le disposizioni che ribadiscono principi e regole già ampiamente codificati. Ad esempio, con la lettera a) è specificato che «La nave che effettua sistematicamente attività di ricerca e soccorso abbia le autorizzazioni rilasciate dalle autorità dello Stato di bandiera e possegga i requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione». O ancora, con la lettera e) è prescritto che «Siano fornite alle autorità marittime o di polizia le informazioni per ricostruire dettagliatamente l’operazione di soccorso». 

Come mai il legislatore ha inserito disposizioni già consolidate? L’utilità è probabilmente più politica che giuridica. Il non detto, scorgibile neanche troppo sottotraccia, è semplice: dal punto di vista di chi ha redatto la norma, le ONG che effettuano operazioni di soccorso in mare sarebbero inadempienti davanti a questi obblighi. È un dato ovviamente indimostrato. Inoltre, se effettivamente ci fossero comportamenti giuridicamente censurabili, con riguardo «alle autorizzazioni rilasciate dalle autorità dello Stato» e ai «requisiti di idoneità tecnico-nautica alla sicurezza della navigazione» oppure all’obbligo di fornire «le informazioni per ricostruire dettagliatamente l’operazione di soccorso», sarebbero contestabili attraverso gli strumenti sanzionatori già previsti. La scelta di ribadire questi principi con l’emanazione di un nuovo decreto è allo stesso tempo ridondante e minacciosa.

PH: SOS Humanity

Il secondo gruppo di disposizioni, invece, ha caratteristiche per certi versi opposte alle prime. Ne fanno parte la lettera b) («siano avviate tempestivamente informative alle persone soccorse della possibilità di chiedere protezione internazionale»), la d) («il porto di sbarco sia raggiunto senza ritardo»), f) («le modalità di ricerca e soccorso in mare non abbiano concorso a creare situazioni di pericolo a bordo né impedito di raggiungere tempestivamente il porto di sbarco»).

Quanto alla lettera b), come riferito puntualmente da ASGI – associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione – il tema dell’accesso alla protezione internazionale ha una specifica normativa europea di riferimento – che definisce nel dettaglio autorità competenti, procedure, modalità e termini. Il tentativo, con questa disposizione, di radicare la competenza per l’esame delle domande di asilo nel paese di cui le navi battono bandiera è, sotto molti aspetti, in contrasto con leggi, principi e regole strutturati a livello europeo. 

Infine, le lettere d) e f) punterebbero a impedire i cosiddetti soccorsi multipli – anche se, ovviamente, nel testo questo obiettivo non è specificato – e, più in generale, a rendere il soccorso in mare molto oneroso e logisticamente sfiancante. Anche l’impatto operativo di queste disposizioni appare incerto: l’insieme della normativa, anche internazionale, che disciplina le attività di soccorso in mare impedisce che la limitazione – diretta o indiretta – dell’obbligo del soccorso sia nella disponibilità dei governi, quando sono in ballo fonti di rango superiore. 

Siamo quindi davanti a disposizioni in parte incoerenti con la normativa – anche sovranazionale – consolidata e alla riproposizione di principi e regole già codificate altrove. Non si tratta del «mostro finale», predisposto da un legislatore terribilmente efficace, che mette definitivamente sotto scacco le organizzazioni attive nei salvataggi. Al contrario, questo decreto si iscrive nella puntiforme costellazione costituita dagli svariati atti normativi, amministrativi, mediatici, discorsivi prodotti, negli ultimi sei anni, dalla governance delle politiche migratorie. È un tassello inserito nel contraddittorio e inquietante mosaico ben più ampio, non la sua sintesi definitiva. Più in generale, le azioni di contrasto alle ONG non hanno mai costituito una strategia monolitica. Al contrario, questa stagione politica è segnata da strappi, salti in avanti, retromarce, ripartenze. Il decreto legge n. 1 del 2023 non è la trasposizione in legge dell’insieme dei saperi e delle procedure ostili sperimentate dal 2017 a oggi. È una tappa non necessaria di questo percorso. 

PH: Johannes Gaevert/Sea-eye

In effetti, la strategia dei «porti subito ma lontanissimi» anticipa – e non segue – l’emanazione di questo decreto. Una parte del contenuto dello stesso sembrerebbe finalizzato – in maniera peraltro goffa – alla creazione di una base normativa che supporti la nuova strategia. È uno schema classico nell’ambito della gestione delle politiche migratorie. Non di rado i salti in avanti sono prodotti non dall’emanazione di una nuova legge, ma dallo sviluppo di procedure amministrate o prassi di rottura. A volte il legislatore ha provato a dare copertura normativa ex post alle nuove procedure. Altre volte tale rottura ha funzionato – dal punto di vista della governance delle politiche migratorie – in maniera così efficace da rendere superflua l’eventuale traduzione in legge. Più spesso la codifica delle novità è impossibile in quanto sarebbe incompatibile con la normativa consolidata, nazionale e/o sovranazionale. Nel caso specifico del decreto 1/2023, la contrarietà di una parte importante del suo contenuto rispetto a norme di rango superiore interessa davvero poco al governo. La mostruosità di questo decreto è forse in gran parte tutta qui. 

In ultimo – ma l’aspetto è dirimente – l’attuale scenario del Mediterraneo centrale non è unicamente il prodotto dei desideri e delle azioni del governo. La mobilità delle persone dentro e contro le iniziative dei governi contribuisce, insieme alle iniziative di chi presta incessantemente soccorso, a definire uno scenario tutt’altro che normalizzato. Per contro, più volte, negli ultimi sei anni, davanti alle iniziative dei governi, le associazioni e i movimenti hanno denunciato la definitiva chiusura della rotta mediterranea. Anche se il decreto 1/2023 dovesse essere convertito in legge – e probabilmente farà così – la partita dei soccorsi in mare e quella ancora più ampia della mobilità delle persone non saranno affatto chiuse. 

L’impatto operativo delle nuove disposizioni è incerto. In questo primo mese di vigenza del decreto, la strategia attuale – segnata dall’assegnazione di porti molto lontani, inaugurata prima della pubblicazione del provvedimento – non ha subito significative trasformazioni. Questa vicenda segnala l’urgenza di analizzare le politiche migratorie anche con lenti diverse da quelle strettamente giuridiche. C’è un insieme informale di procedure e saperi che eccedono la legge: dalla capacità collettiva di individuarli e stanarli passa una quota importante del nostro futuro.

  1. Nell’articolo si fa riferimento al decreto-legge 1/2023 così com’è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale. È in corso l’iter parlamentare per la sua conversione in legge: è possibile che il testo definitivo possa essere parzialmente diverso

Francesco Ferri

Sono nato a Taranto e vivo a Roma. Mi occupo di diritto d'asilo, politiche migratorie e strategie di resistenza sia come attivista sia professionalmente. Ho partecipato a movimenti solidali e a ricerche collettive in Italia e in altri paesi europei. Sono migration advisor per l’ONG ActionAid Italia.