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Strage di Cutro: è questa l’Europa?

Un naufragio che rappresenta l'imbarbarimento della nostra civiltà, effetto della scellerata normativa che contrasta il Diritto al soccorso

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La popolazione locale ha subito soccorso i naufraghi. Si è messa in moto la macchina della solidarietà nella sua forma più autentica e vera.

Ma i morti, morti sono. E morti rimarranno. Donne, uomini e soprattutto bambini, strappati dal loro sogno trasformatosi in un incubo. Si teme che le vittime di questa ecatombe possano essere oltre 100.

La strage di Cutro, in provincia di Crotone, è figlia delle scelte securitarie avviate negli ultimi dieci anni. Della politica delle esternalizzazioni delle frontiere. Degli accordi sanguinari con i dittatori africani.

Scelte miopi, di chi pensa che la “rete” delle rotte migratorie si possa bloccare tappando un buco, bloccando uno snodo di partenza. Ma le migrazioni sono, appunto, una rete: tappi un buco e se ne apre un altro.

Carichi residuali” venivano definite in una nota ufficiale del Viminale, le persone migranti bloccate sulle imbarcazioni delle ONG. Esseri umani paragonati alle merci, quando perfino le merci sono trattate meglio degli esseri umani.

Mentre si firmano normative e trattati per impedire l’approdo in Italia dei migranti, per impedire alle navi umanitarie i salvataggi, per bloccare gli essere umani, contemporaneamente si aprono i portoni alle navi di armi che trafficano nei nostri porti con nonchalance.

Sono le facce di una stessa medaglia, unta di sangue, di ipocrisia, di violenza, di codardia.

La strage di Cutro è anche figlia dell’ideologia anti-migrazioni, dell’istituzione del reato di soccorso, del capovolgimento della normativa. E’ l’effetto di aver reso legale, l’illegale. E viceversa.

L’obbligo di salvataggio è stato reso illegale venendo meno ad ogni democratica normativa basilare.

La legge oggi punisce chi attua salvataggi in quel Mediterraneo di sangue divenuto un cimitero, che ha visto ventiseimila persone morire in meno di dieci anni.

La disperazione non può giustificare viaggi pericolosi per la vita dei figli”, riesce a commentare il Ministro dell’Interno Piantedosi poco dopo il naufragio, quando i corpi sono ancora lì sul bagnasciuga.

Andiamolo a dire alla donna fuggita da Kabul, dopo la presa della città dei talebani. Al siriano di Aleppo, sotto le bombe da un decennio. Al sudanese bloccato nelle carceri di Sabratha, legato a testa in giù e preso a mazzate che rompono le ossa. Al dissidente egiziano che rischia il carcere a vita, dove si è sicuri di entrare ma non di uscire. Al maliano sventrato dalla guerra civile. Al nigerino con il villaggio distrutto da Boko Haram e con la moglie violentata e bruciata viva. All’eritreo con la leva a tempo indeterminato fin dai sedici anni. Al somalo piegato dalla carestia.

Mentre il nostro governo distribuisce soldi a carcerieri e torturatori: un miliardo in pochi anni alla Guardia Costiera libica, nient’altro che mafia diventata Stato. O all’Egitto per costruire carceri illegali dove detenere i migranti. Alla Tunisia, con il pretesto di finanziare le PMI locali, per bloccare le migrazioni ed espellere i giovani di Tunisi che scappano dalla repressione e dalla povertà. All’Eritrea, con la scusa di finanziare la costruzione di strade, per incrementare lo spara ed uccidi lungo le frontiere. Al Niger, tagliato in due e divenuto hotspot dell’Africa.

Perché continuiamo a vendere armi di ogni genere ai Paesi belligeranti che provocano i profughi di guerra? Vendiamo le armi che generano profughi, ci pigliamo soldi a vagonate, e poi abbiamo pure la puzza sotto il naso quando i poveri Cristi scappano da noi?

Soldi spesi dall’Europa e dall’Italia per bloccare le migrazioni, ma che in realtà sono il generatore dei flussi migratori stessi e non fanno altro che favorire i trafficanti.

Il Mediterraneo non è più un mare, è una fosse comune. E l’Europa oggi ha il volto della bambina piccola trovata esanime sulla spiaggia di Cutro.

Le imbarcazioni umanitarie sono perseguitate: dal fermo amministrativo alla multa, come accaduto dieci giorni fa alla Geo Barents di Medici Senza Frontiere.

Come definire, se non perseguitare, un fermo amministrativo con la confisca in caso di recidiva? E se la Geo Barents fosse stata nel Mediterraneo, sarebbe andata diversamente?
Tra i denti, la risposta è “si”.

Il sequestro giudiziario di un bene può avvenire “quando ne è controversa la proprietà o il possesso” (art. 670 Codice di Procedura Civile) e si rende necessario provvedere alla gestione/custodia. Il proprietario di un bene “ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo” (art.832 Codice Civile) poiché il “possesso è il potere sulle cose e si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di un altro diritto reale” (art.1140 Codice Civile). Sequestrare un’imbarcazione che attua salvataggi in mare rispettando il principio di non-refoulement è ingiusto e non è normativamente corretto.

La strage di Cutro è la conseguenza di normative sbagliate, in contrasto con la legge.

Le recenti normative italiane hanno portato, di fatto, a gravi problemi per chi attua i salvataggi in mare. Proprio l’ultimo decreto a firma di Piantedosi è in contrasto con le normative che sono state emanate decenni fa, al fine di evitare naufragi e di tutelare la persona sopra ogni cosa.

L’aver amputato la possibilità di prestare soccorso dal principio, ossia bloccando le ONG, non è avere meno colpe. E’ averne il doppio.

E’ diventata questa l’Italia, è questa l’Europa?

L’unica Italia, l’unica Europa in cui ci riconosciamo è quella della gente comune che si è riversata nelle spiagge per salvare i superstiti e si è adoperata per assisterli e coprirli di indumenti caldi.

Pietro Giovanni Panico

Consulente legale specializzato in protezione internazionale ed expert prevenzione sfruttamento lavorativo. Freelance con inchieste sui MSNA, rotte migratorie, accordi illegittimi tra Paesi europei ed extra UE e traffici di armi.
Nel 2022 ho vinto il "Premio giornalistico nazionale Marco Toresini" con l'inchiesta "La guerra dei portuali genovesi contro le armi saudite".