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The race-migration nexus along the Global Colour Line

An empirical analysis of the European and Lebanese racialised management of migration

Tesi di Laurea in International Politics di Laura Morreale

Papers, una rubrica di Melting Pot per la condivisione di tesi di laurea, ricerche e studi.
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Università degli Studi Roma Tre
Dipartimento di Scienze Politiche
Corso di Laurea Magistrale in International Studies (LM-52)

The race-migration nexus along the Global Colour Line: an empirical analysis of the European and Lebanese racialised management of migration

di Laura Morreale (Anno accademico 2020/2021)

Questa tesi esplora la questione del razzismo all’interno di un quadro Euro-Mediterraneo per sfidare il principio secondo cui il razzismo strutturale sia un’esclusività nordamericana. Sono state tratteggiate e successivamente interpretate due linee teoriche principali rispetto all’indagine empirica: da un lato, la ricerca valuta la presenza del razzismo strutturale nelle azioni di due attori istituzionali, l’Unione Europea (UE) e il Libano nel contesto delle politiche migratorie; dall’altro lato, questa indagine esamina il ruolo dei movimenti sociali che sviluppano un discorso anti-razzista ed anti-egemonico che mette in discussione il razzismo intrinseco di queste politiche e sostiene un cambiamento radicale.

Immergendosi nel dibattito sulla riscoperta della Linea Globale del Colore (W.E.B. Du Bois) che sta prendendo piede nella disciplina accademica di Relazioni Internazionali, questa tesi dimostra l’istituzionalizzazione dei privilegi associati con la ‘Bianchezza’ (Whiteness) e conseguentemente le sue implicazioni nel campo della gestione delle migrazioni.

La Linea Globale del Colore divide il mondo in coloro che possiedono opportunità e coloro che non le hanno, sulla base di ipotesi che hanno una dimensione razzista; tradurre questo concetto nella zona Euro-Mediterranea significa sfidare l’amnesia razziale e sviluppare una particolare lente di osservazione, conscia delle eredità coloniali. Inoltre, tale zona costituisce il luogo di incontro tra il Nord e il Sud del mondo, permettendo così un’analisi completa della natura onnipresente del razzismo strutturale.

Nella prima parte viene delineato un quadro concettuale che spiega come la razza, in qualità di categoria costruita a livello sociale, si interseca con il genere, il capitalismo e il nazionalismo per creare specifici siti di oppressione e discriminazione. Il determinismo razziale impone l’assegnazione di caratteristiche biologiche, culturali, politiche e geografiche che predispongono l’Othering razziale dei corpi non bianchi. Il risultato è l’emergere della Bianchezza come una specifica identità socio-politica imbevuta di potere egemonico che amministra le linee di inclusione nella ed esclusione dalla società (Bianca). La mobilità delle popolazioni del Sud del Mondo che sono razzializzate come non-bianche, politicamente inferiori, economicamente sottosviluppate e complessivamente aliene, è un atto performativo di resistenza contro un ordine egemonico che, attraverso la Linea Globale del Colore, è progettato per negare i privilegi e le opportunità del mondo moderno civilizzato. Il fatto che tale processo sia annullato dalle politiche migratorie e dal controllo bio-/necro-politico esercitato dagli Stati sovrani, che ripristinano linee di demarcazione che inquadrano razzialmente l’Altro, è analizzato approfonditamente nei due casi studio.

La seconda parte del quadro concettuale presenta una teorizzazione dei movimenti sociali anti-razzisti, la cui priorità principale è la necessità di contrastare il potere egemonico razzista che regola i valori e le credenze socio-culturali, mentre si ritagliano spazi politici per delineare un nuovo ordine anti-razzista ed anti-egemonico. Le modalità con cui questi movimenti svolgono il loro lavoro sono analizzate rispetto alla loro presenza sui social media, alla sfida radicale che propongono agli attori egemonici e al ruolo che svolgono nel colmare il divario istituzionale per l’assistenza alla vita dei migranti. Ad ogni modo, la loro priorità, vale a dire la creazione di un cambiamento sociale anti-razzista, è sostenuta da un discorso anti-razzista che è operazionalizzato attraverso i social media e la strategia discorsiva della contro-narrazione.

Proseguendo, dopo aver valutato come il processo di integrazione dell’Unione Europea si sia basato sull’esclusione razziale degli stranieri, in quanto ciò ha contribuito alla fortificazione e all’europeizzazione delle frontiere esterne, la tesi rivela come una Linea Globale del Colore sia stata creata e progressivamente applicata attraverso strategie di confine e politiche di esternalizzazione.

Le pratiche di rafforzamento dei confini esterni associate all’hotspot di Lampedusa e all’Agenzia Europea della Guardia di Frontiera e Costiera (Frontex) vengono presentate come strutture bio-/necro-politiche che rispondono a una doppia logica: da un lato la spinta umanitaria di salvare vite, dall’altro lato la necessità di filtrare i migranti indesiderati. Entrambe queste logiche appaiono basate su pregiudizi razzisti. Poiché l’hotspot di Lampedusa contiene visibilmente i corpi dei migranti, impedendo loro di entrare e partecipare pienamente come cittadini della società (Bianca), esso contribuisce alla loro invisibilità e sottomissione.

Allo stesso modo, nonostante i principali documenti politici di Frontex presentino il ruolo dell’Agenzia come quello di un ‘salvatore benevolo’ interessato a proteggere i migranti vulnerabili dalle reti criminali di traffico umano, in realtà i suoi sforzi sono orientati a respingere i migranti indesiderati (con la complicità della Guardia Costiera Libica e in diretta violazione della norma di non-refoulement) e a complicare il movimento delle popolazioni del Sud Globale, presentandolo come una minaccia eccezionale che richiede un ruolo rafforzato dell’Agenzia. Nell’ambito dell’esternalizzazione della gestione delle migrazioni, lo sviluppo delle procedure di asilo e dei regimi dei visti viene analizzato in concomitanza con la gerarchizzazione delle popolazioni che essi creano come conseguenza. Ciò che l’Unione Europea compie, ovvero la creazione di liste di “paesi sicuri” e di condizioni socioeconomiche necessarie affinché la migrazione sia legale, sostiene di fatto la nozione che i migranti siano oggetti da governare attraverso restrizioni, dispositivi di gestione e categorie amministrative che rendono intenzionalmente difficile e costoso per le popolazioni del Sud del mondo l’ingresso nell’UE. Infine, si analizza il ruolo della Libia come “principale gendarme d’Europa”, presentando la complicità delle istituzioni europee e italiane nella creazione di condizioni disumane nei centri di detenzione libici.

L’analisi dei movimenti sociali europei rivela una forte affiliazione con il movimento “Black Lives Matter” nell’estate del 2020 per quanto riguarda gli sforzi anti-razzisti e lo sviluppo di dibattiti pubblici sul valore e l’importanza dell’anti-razzismo e la persistenza di eredità coloniali nelle società europee. Per quanto riguarda la questione delle migrazioni e “Fortress Europe”, qui la tesi individua gli sforzi di un collettivo politico radicale di movimenti e gruppi sociali chiamato #AbolishFrontex, la cui priorità è l’eliminazione radicale di Frontex, poiché le sue azioni favoriscono la morte di migliaia di migranti e il rafforzamento del razzismo e della xenofobia. Un ulteriore livello di analisi è individuato nella presenza di un umanitarismo politicamente carico che si esplica negli sforzi di Sea Watch, le cui attività rispondono simultaneamente alla necessità di salvare vite in mare e di sfidare apertamente le politiche europee in campo migratorio.

Nel secondo caso studio riguardante la Kafala libanese, la tesi in primo luogo traccia l’origine dell’attuale forma di sponsorizzazione della migrazione all’interno della tradizione giuridica islamica che ha stabilito una stretta relazione tra il kafīl e il makfūl e che conseguentemente si è evoluto in una relazione orientata esclusivamente al lavoro, a causa della presenza coloniale nella regione MENA. Dopo aver valutato che la presenza di una logica razzista è la diretta conseguenza del passato coloniale libanese, la tesi utilizza questa conoscenza per identificare i diversi modi in cui la kafala crea una società di donne non-bianche altamente sacrificabili.

I discorsi culturali reificano l’immagine delle persone non-bianche come adatte esclusivamente a lavori domestici, in particolare attraverso l’invenzione di un prodotto di pulizia chiamato “Negro” o l’uso del termine “Skrilankiyye” (Arabo per “donna dello Sri Lanka”) per descrivere le lavoratrici domestiche migranti di tutti i Paesi. Questa logica razzista è ulteriormente inserita in un quadro istituzionale oppressivo, comprendente la Legge sulla Nazionalità, il Codice del Lavoro e il Contratto Unificato, dispositivi che rafforzano la divisione della popolazione libanese secondo una linea del colore.

Ne consegue che i lavoratori domestici migranti si trovano sempre più completamente esclusi dalla società (Bianca) libanese. Questa esclusione è ulteriormente amministrata mediante un bio-controllo politico esercitato dal/dalla datore/datrice di lavoro su quelle che vengono percepite come le “sue” lavoratrici domestiche migranti.

La sorveglianza attuata dallo sponsor assume numerose forme, tutte imperniate sulla necessità di controllare ossessivamente la lavoratrice nella sua vita quotidiana, in quanto è mercificata come una proprietà da vendere e acquistare, gestita come lo sponsor desidera. Tale approccio è spesso portato ai suoi estremi, come molti resoconti di lavoratrici domestiche migranti raccontano di essere imprigionate dentro casa, senza possibilità di uscire se non tramite atti suicidari. Infatti, queste donne, dopo essere state ridotte alla “bare life”, spesso si impegnano in modelli di auto-sacrificio: gettandosi dai balconi o trovando altri modi di porre fine a tali condizioni di vita insopportabili. L’applicazione della Linea Globale del Colore, in questi casi, attua un meccanismo di divisione all’interno della casa stessa, qui inteso come luogo esclusivo e oppressivo per eccellenza.

Infine, la tesi presenta una panoramica dei movimenti sociali che cercano di affrontare le sfide poste dalla kafala. Un’intervista condotta a un’attivista di This is Lebanon, un’organizzazione che ha sfruttato lo slancio generato dal movimento BLM nell’estate del 2020, ha rivelato che l’uso di un movimento occidentale di advocacy dei diritti umani non ha avanzato in maniera sostanziale i loro sforzi.

Successivamente, gli sforzi di tre organizzazioni sono stati presentati: Anti-Racism Lebanon, Egna Legna Besidet e This is Lebanon. Queste organizzazioni stanno lavorando costantemente per sensibilizzare sulle carenze della kafala e fornire alle lavoratrici domestiche migranti strumenti concreti per riconquistare le loro libertà. Infine, gli sforzi delle tre organizzazioni sono mostrati e descritti sulle loro piattaforme di social media (Instagram e Twitter per lo più), costituendo dunque un potente strumento per i loro scopi di contro-narrazione che cercano di educare un pubblico più ampio sui pericoli del sistema della kafala.

In conclusione, sulla base dell’analisi empirica di numerosi documenti ufficiali, delle politiche dei due Paesi e della narrazione dei movimenti sociali sui social media, si può sostenere che le attuali politiche migratorie europee e libanesi dimostrano di aver interiorizzato e istituzionalizzato nozioni e principi razzisti. Inoltre, i risultati che dimostrano l’impegno dei movimenti sociali nella creazione di un sistema anti-razzista ed anti-egemonico costituiscono un contributo originale, la cui potenzialità si trova nel poter dare vita ad un programma di ricerca ampio.