Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Cafemin, Città del Messico

Venti di cambiamento

Le politiche migratorie Usa-Messico nel reportage «Llegar al otro lado»

Start

Città del Messico – Questo testo, diviso in 3 parti, vuole offrire una panoramica sintetica delle politiche migratorie implementate nello scenario binazionale Stati Uniti d’America / Stati Uniti Messicani dal 2021, tra la nuova amministrazione Biden-Harris e la presidenza di Andrés Manuel López Obrador.

Il primo articolo «Il Titolo 42 e l’esternalizzazione della frontiera degli Stati Uniti» ha approfondito l’utilizzo della misura, ancora in vigore, voluta dall’amministrazione Trump per bloccare le persone migranti al confine con il Messico.

In questa seconda parte «Venti di Cambiamento» si parla dei processi di trasformazione della mobilità umana negli ultimi anni, delle analisi e della ricerca di nuove definizioni, così come dei drammatici costi umani e delle ripercussioni dell’MPP (Migrant Protection Protocols) e del Titolo 42 in tutto il paese. Dove, grazie all’acquiescenza nei confronti del “vicino del nord”, si è creata una situazione potenzialmente esplosiva.

  • La migrazione venezuelana e la crisi di ottobre
  • Ripercussioni nel cuore del Messico
  • Governo di Città del Messico: assente!
  • Dall’altro lato: detenzione ed espulsione
  • Un caso nei tribunali. Ciudad Juárez
  • Alla ricerca di nuove definizioni
  • Paese di accampamenti ed altri disordini

La migrazione venezuelana e la “crisi di ottobre”

Il caso della migrazione venezuelana è emblematico ed evidenzia alcuni dei problemi derivati dalle imposizioni degli Stati Uniti e dall’acquiescenza del governo del Messico.

PH: © Alli McCracken/Amnesty International

Nel testo citato di Ariel Ruíz Soto 1 (Ruíz Soto, 2022), questi analizza i dati dell’Ufficio delle Dogane e Protezione della Frontiera, CBP per le sue iniziali in inglese 2, mostrando alcuni dettagli delle nuove tendenze. Tradizionalmente la maggioranza della popolazione migrante catturata dalla pattuglia di frontiera era originaria del Messico, Honduras, Guatemala ed El Salvador, questi ultimi conosciuti anche come i tre paesi del “triangolo nord del Centro America”. Invece nell’anno fiscale 2022 3 gli eventi di “incontro” registrati dall’Ufficio delle Dogane e della Protezione delle Frontiere, indicano che la somma della migrazione cubana, venezuelana e nicaraguense è stata di 571.159 incontri, superiore a quella di migranti del triangolo nord del centroamerica: 520, 602 eventi. Infatti gli “incontri” di venezuelanx, che entravano protettx dall’eccezione umanitaria al Titolo 42, si attestavano a 5.279 eventi mensili a maggio, per saltare a 17.811 a luglio ed a 33.961 a settembre. Secondo il quotidiano La Jornada del 17 settembre «… entravano una media di 1.100 migranti al giorno, la maggioranza venezuelani, e chiedevano l’asilo». Una situazione che gli Stati Uniti volevano “correggere”.

Ma il 12 ottobre la situazione è precipitata, e si è aperta una delle crisi più preoccupanti dell’anno, quando l’amministrazione Biden-Harris ha annunciato un nuovo piano: impedire alla popolazione venezuelana di chiedere l’asilo, privandola dell’eccezione umanitaria al titolo 42, mentre avviavano un nuovo programma di 24.000 visti temporanei mensili a venezuelanx, a condizione che li richiedessero in Venezuela, arrivassero negli Stati Uniti per via aerea e disponessero di un patrocinatore residente nel paese, tra i requisiti più importanti. Si potrebbe dire una scommessa che punta sulla strategia del bastone e la carota: da un lato colpire le persone più marginalizzate, più ferite e fragili, e dall’altro lato fare delle concessioni molto efficaci a livello mediatico, pur rappresentando un beneficio solamente per una minoranza privilegiata.

Però la reazione delle organizzazioni della società civile non si è fatta attendere. La direttrice di Amnesty International per le Americhe, Erika Guevara-Rosas, si è espressa in questi termini: «… il governo Biden ha annunciato un nuovo vergognoso piano per impedire l’accesso all’asilo delle persone venezuelane che cercano sicurezza nella frontiera statunitense. Pur riconoscendo l’importante passo in avanti dato dal governo Biden creando un nuovo programma di libertà condizionale (parole) 4 per 24.000 persone venezuelane, siamo allarmati dall’allargamento dell’applicazione del titolo 42.

Questa nuova politica, il cui obiettivo è impedire che le persone venezuelane cerchino sicurezza alla frontiera, dimostra ancora una volta che il titolo 42 non ha alcuna base nella preoccupazione per la salute pubblica e, invece, contraddice gli obblighi degli Stati Uniti e gli impegni internazionali di difendere il diritto di tutte le persone a cercare le condizioni per la propria sicurezza. Tutte le persone hanno il diritto di cercare sicurezza, indipendentemente dai loro vincoli familiari ed economici, e i programmi di libertà condizionale (parole) non devono prendere il posto del diritto di chiedere asilo».

La semplice e logica conclusione che ne discende la esplicita Avril Benoît, direttrice esecutiva di Medici Senza Frontiere (MSF) Stati Uniti: «Ancora una volta, chiediamo al governo di Biden che ponga fine al titolo 42. … Le posizioni dell’amministrazione… hanno dei costi terribili per migliaia di persone migranti e richiedenti asilo».

PH: Cafemin

Ripercussioni nel cuore del Messico

Il giorno dopo questo annuncio, le associazioni che gestiscono case per migranti nella capitale del paese si sono riunite, insieme all’UNHCR, per riflettere sulle prevedibili ripercussioni di questo brusco cambiamento di politica ed organizzarsi per affrontare l’altrettanto prevedibile spostamento in massa di venezuelanx verso il nord, con il conseguente aumento della domanda di alloggio e di appoggio umanitario lungo la rotta, ed a Città del Messico.

Mario Monroy, uno dei responsabili della Casa di Accoglienza, Formazione ed empowering per Donne e Famiglie Migranti e Rifugiate (CAFEMIN secondo le iniziali in spagnolo 5), un rifugio tra i più grandi di Città del Messico, era in questa riunione e racconta come lui e le/gli altrx partecipanti sono stati sorpresx dall’arrivo di quantità inedite di migranti: «abbiamo iniziato la riunione il 13 e l’abbiamo continuata il giorno dopo. Eravamo ancora riuniti e già avevamo 50 persone alle nostre porte. Nella riunione ci siamo impegnati, come CAFEMIN, a ricevere 50 persone. CAFEMIN è una casa d’accoglienza per donne e famiglie, con 80 letti e 6 bagni, 3 per le donne e 3 per gli uomini. Abbiamo aperto le porte a queste prime 50 persone, nonostante fossero uomini, per la situazione d’emergenza che si presentava. 24 ore più tardi avevamo 300 persone. Siamo arrivati ad ospitarne 750, 3 settimane più tardi!… Quelli che non riuscivano ad entrare hanno steso dei teloni tra il recinto della casa e gli alberi del marciapiede. Sono stati giorni terribili. Noi siamo un’équipe grande, di 25 persone, eppure lavoravamo 16 ore al giorno, per cercare di risolvere le situazioni, e… non ci riuscivamo. Per darti un’idea, spendevamo 50.000 pesos (circa 2.500 euro) al giorno per dar da mangiare a tutti… Alla fine siamo stati costretti a chiudere, è stata la prima volta in 11 anni, ma abbiamo dovuto perché i servizi sanitari e il sistema elettrico non hanno retto, i tubi sono scoppiati e gli interruttori sono saltati… Certo, prima di chiudere abbiamo trasferito tutte le persone che stavano da noi in altri spazi di accoglienza, ma abbiamo dovuto chiudere, e adesso abbiamo appena riaperto» 6.

Dice Mario che il 2022 è stato un anno difficile, perché l’arrivo di gruppi grandi, uno dopo l’altro, non ha dato respiro all’équipe «…gli haitiani, 300 persone, poi gli afgani, una sessantina, poi circa 200 persone ucraine e, per chiudere l’anno, il titolo 42 con i venezuelani». E non c’è cenno di un miglioramento nell’anno nuovo, considerando che, a 3 giorni dalla riapertura delle attività (dopo la chiusura per le riparazioni indispensabili) «abbiamo 200 persone, e la maggioranza sono famiglie espulse dagli Stati Uniti che l’Istituto Nazionale per le Migrazioni, INM 7, abbandona qui a Città del Messico».

PH: Movimiento Migrante Mesoamericano

Governo di Città del Messico: assente!

In questa fase la collaborazione con il governo della città, che in passato -per esempio nell’accoglienza alle carovane- è stata buona, è solo un ricordo. Le autorità non hanno assunto alcuna responsabilità, scaricandola piuttosto sempre più sulle organizzazioni della società civile, senza empatia né rispetto. Racconta Mario: «mandavamo le persone venezuelane all’Ufficio di appoggio a migranti e non li ascoltavano. Non li lasciavano nemmeno entrare e ci hanno detto che eravamo irresponsabili a mandarli… cioè… l’ufficio di assistenza a migranti ci accusava di irresponsabilità perché mandavamo da loro le persone migranti!!! Andavano a chiedere il certificato di ospitalità e non li lasciavano entrare».

Eppure Città del Messico ha una legge esemplare, la Legge di interculturalità, assistenza a migranti e Mobilità nel Distretto Federale 8, che è stata la base per la creazione di una direzione di appoggio a migranti nel governo dell’entità 9, che ha messo in piedi iniziative molto importanti, per esempio il rilascio alle persone straniere, in situazione irregolarizzata, una tessera di ospite che permetteva di accedere ad alcuni servizi. Attualmente non si rilascia più la tessera ma un certificato.

Come parte di questa deresponsabilizzazione delle istituzioni, l’INM, quando porta dalla frontiera nord alla capitale del paese le persone espulse dagli Stati Uniti, ha adottato la pratica di lasciarle molto vicino alle case d’accoglienza della società civile, «per obbligarci a risolvere situazioni spinose», – racconta Mario – trovando lo spazio necessario per ospitare tuttx, seppure molto al di sopra delle capacità dell’infrastruttura. Il tutto senza alcun avviso né, ancor meno, un accordo previo, senza formalizzare la collaborazione e senza contribuire in nulla anzi, arrivando a situazioni estreme, come quando «l’autobus dell’INM ha lasciato un gruppo di migranti all’angolo di CAFEMIN, e un’altra volta giusto davanti alla porta di Casa Fuente 10, una casa di appena 4 stanze, hanno fatto scendere dall’autobus 43 persone proprio davanti alla casa». Li lasciano anche di fronte all’ufficio della COMAR, Commissione Messicana di Appoggio ai Rifugiati, l’entità che gestisce le domande di asilo, le analizza e prende le relative decisioni.

Secondo Mario, le autorità e lo stesso governo della Città del Messico non sembrano rendersi conto, o non vogliono assumere la nuova realtà di una città che è ormai un punto chiave del transito, un nodo del corridoio migratorio tra le frontiere sud e nord, dei “viaggi della speranza” così come dei ritorni forzosi, espulsioni e deportazioni. Quindi è necessario che si doti di spazi e strumenti per accogliere le persone che arrivano in città, e invece ripete il comportamento del governo federale, disattendendo gli impegni annunciati pubblicamente, di assistenza e protezione alle persone espulse e deportate dal vicino del nord.

D’altra parte, le organizzazioni civili hanno assunto posizioni sempre più critiche nei confronti delle scelte del governo in materia migratoria, per cui si può supporre che le istituzioni coinvolte nella gestione del fenomeno, prima collaboratrici se non alleate, sono diventate spesso poco amichevoli nei loro confronti.

PH: Valentina Delli Gatti (Muro di frontiera tra Messico e Stati Uniti, 2022)

“Dall’altro lato”: detenzione ed espulsione

Alcuni casi di ospiti di CAFEMIN sono un esempio dei costi umani del titolo 42. Ad ottobre, tre giorni dopo l’estensione al Venezuela del Titolo 42, la casa ha ricevuto i primi espulsi, alcuni giovani che erano stati ospitati qui e all’inizio di ottobre erano andati al nord. Erano arrivati negli Stati Uniti il 6 o 7 ottobre, quando l’eccezione umanitaria era ancora in vigore per le persone venezuelane però le autorità, dopo la detenzione, invece di permettere loro di presentare richiesta di asilo, li hanno privati della libertà «e – continua il racconto di Mario Monroy, hanno intenzionalmente lasciato passare il tempo fino al giorno 12, quando l’eccezione umanitaria è stata cancellata, per cui li hanno potuti espellere: incatenati mani e piedi, ed anche in vita, sono stati trasferiti in autobus dal Texas in Arizona e dall’Arizona in California». Hanno tolto loro quello che avevano, gli hanno fatto indossare una divisa grigia e, per di più, li hanno ingannati «gli hanno detto che avrebbero potuto continuare la richiesta di asilo agli Stati Uniti…»

Le persone tornate a Città del Messico dopo l’espulsione segnalano con molto dolore una pratica crudele delle autorità statunitensi, durante il trasferimento ai posti di frontiera per la “consegna” alle autorità messicane: la separazione delle famiglie. É il caso di un adolescente a cui è stato permesso di vivere con un familiare residente, mentre hanno espulso il resto della famiglia; o, in un altro caso, è stato permesso ad una famiglia venezuelana di stabilirsi a New York presso un familiare, escludendo però una delle figlie che, espulsa, è stata portata a Città del Messico dove si è ritrovata completamente sola. Ma ci sono situazioni ancora più gravi, di persone che non sanno dove hanno portati dei loro familiari, come il caso di una madre che racconta “hanno fatto salire mio figlio su un altro autobus e non sappiamo dove sia”.

Troviamo testimonianza di arbitrarietà, violenze, minacce, abbandono anche da questo lato della frontiera. «A Tijuana» 11 – racconta ancora Mario – «agenti dell’INM gli dicevano che li avrebbero deportati in Venezuela, sennò, dovevano comprarsi il biglietto per Città del Messico, oppure sarebbero rimasti rinchiusi», e li portavano via dal posto di frontiera senza dare loro alcuna informazione, né documenti, né cibo, né spiegazioni su cosa li aspettasse. Anche qui in Messico succede che “Migrazione” separi le famiglie, e non c’è alcun meccanismo per facilitare il ri-incontro: «due migranti che sono arrivati da Piedras Negras dovevano svolgere una ‘missione’ per altrx migranti che erano rimasti reclusi in frontiera: una lista di nomi e di messaggi per queste persone che erano ancora disperse, scomparse, separate dalle famiglie in differenti momenti del processo di espulsione, alcune negli Stati Uniti ed altre in Messico».

Diversi attori, mezzi di informazione nazionali e locali, attivisti, centri di accoglienza, riportano i racconti di molte persone e sorprende il livello di coincidenza con le testimonianze degli ospiti di CAFEMIN che Mario ha condiviso con noi: in luoghi diversi si vivono esperienze molto simili, il che indica modelli di comportamento ai quali le autorità dei due paesi si attengono.

Un caso nei tribunali. Ciudad Juárez

Mario considera significativo riferire il caso di un piccolo gruppo di 5 ragazzi 12 che sono stati espulsi e riportati in Messico attraverso la frontiera di Ciudad Juárez e che CAFEMIN ha ospitato prima del loro viaggio verso il nord ma anche al loro ritorno forzoso, dopo l’espulsione: «… se n’erano andati negli Stati Uniti, non abbiamo saputo più niente, finché un giorno sono arrivati 2 di loro. Ci hanno raccontato che negli Stati Uniti sono stati privati della libertà, uno è stato separato dal gruppo, fatto salire su un altro autobus… 4 sono stati espulsi via Matamoros (posto di frontiera nello stato di Tamaulipas)… e una volta nella stazione migratoria… arrivano delle pick up, aperte dietro, con persone con divise nere con teschi, armate, obbligano tre dei migranti a salire sulla pick up e li portano a Piedras Negras (altro posto di frontiera nello stato di Coahuila a più di 500 kms.). Bisogna precisare che l’INM non dispone di camionette pick up, né di divise nere con teschi, né può portare armi… Già a Piedras Negras li prelevano dalla cella e li portano in uno spazio che viene chiamato “La Pignatta13, dove li massacrano di botte. (I migranti) dicono che sono agenti di migrazione perché hanno le loro divise. Parlano di persone picchiate, anche donne…di una persona in condizioni gravi in seguito al pestaggio, l’hanno portato via e non hanno saputo più niente di lui… Poi c’è una visita di Amnesty International e gli agenti li fanno uscire dalla cella, li fanno salire su un autobus e li portano a fare dei giri a vuoto, solo per impedire che vedano i rappresentanti di Amnesty… Più tardi fanno salire due di loro su un altro autobus, dicendo che li trasferiscono ad Acapulco (città turistica nello stato di Guerrero, sul Pacifico) e invece li portano a Querétaro (a 260 kms da Città del Messico) dove li lasciano, in periferia, senza dar loro niente, senza spiegazioni né indicazioni. La moglie di uno dei due manda dei soldi e riescono ad arrivare a Città del Messico, e vanno a CAFEMIN. Uno di loro ha una ferita dal ginocchio fino al piede, l’altro ha una lussazione alla spalla e un’altra al ginocchio, perché (nella “Piñata”) li picchiano nelle articolazioni».

Questo caso è stato denunciato ed ha attualmente accompagnamento giuridico. Non si sa chi abbia effettuato il trasferimento (da Matamoros a Piedras Negras) né perché, l’unica ipotesi – che non è sostenuta da prove e si commenta a voce bassa -, è che si tratti di cellule della criminalità organizzata e la dinamica dei fatti, secondo Mario, potrebbe indicare che: «il legame tra autorità migratorie e delinquenza organizzata non è più solo di complicità ma anche di collaborazione».

PH: Valentina Delli Gatti

Alla ricerca di nuove definizioni

Quello che si vive a Città del Messico è un riflesso dei fenomeni nuovi che si vivono nel territorio nazionale, più visibili nelle città di frontiera e in alcuni punti delle rotte migratorie. Tra le/i ricercatori, la definizione di frontiera verticale sembra rimanere stretta rispetto ad una situazione che è oggi assai più complessa. Oltre a sottolineare che la frontiera verticale si è spostata poco a poco verso sud, estendendosi al Guatemala (dove dal 2020 si sono installati dispositivi forme di controllo e repressione militare – poliziesco ormai stabili che, per esempio, hanno bloccato le carovane di migranti con l’uso della violenza), si parla di nuove funzioni del Messico, dove la popolazione migra in massa ed in modo più visibile, protesta ed ha capacità di negoziato, ma rimane poi chiusa tra le sue due linee di frontiera.

Osservando questa situazione cambiante, Amarela Varela vede il «Messico come un territorio che si è trasformato e il suo essere frontiera verticale è sempre più complesso, fino a configurarsi come un confine migratorio, un ‘paese tappo’. Una categoria con la quale propongo di pensare un territorio dove esistono tutte le forme di mobilità umana che finora abbiamo teorizzato nella sociologia delle migrazioni. E che stabilisce modelli innovativi di gestione legale, paralegale ed illegale della mobilità umana. Un territorio che produce una diversità di ‘crisi umanitarie’, in realtà sintomi di forme di esodi forzosi di sfollati, ormai strutturali nella regione centro e nordamericana» 14.

In questa ottica, si capisce che non è contraddittorio intendere come attraversata da queste crisi umanitarie anche la popolazione messicana, che continua al primo posto dell’emigrazione verso gli Stati Uniti (823.057 persone catturate dalle autorità migratorie statunitensi nell’anno fiscale 2022) e vive un silenzioso ma dilaniante processo di esodi interni con gran numero di persone sfollate.

Se si guarda al Messico come un confine migratorio ed un ‘paese tappo’ si capisce meglio perché si è trasformato anche in un paese di accampamenti di migranti, formali ed informali, di tutte le dimensioni, di composizione diversa, che sorgono dal nulla ed a volte vengono chiusi senza spiegazioni né motivi apparenti.

Paese di accampamenti ed altri disordini

Come si è visto, sempre più gruppi di persone, uomini e donne, adulti e non, soli o con familiari, percorrono il paese – uscendo sempre più dall’ombra – e, pur senza certezze, seguendo indizi di opportunità e promesse diverse: un luogo dove riposare o dove installarsi con la famiglia e disporre di cibo, appoggio umanitario, “salvacondotti”, o si muovono per la promessa di una nuova norma che renderà più facile l’entrata negli Stati Uniti, e si ritrovano in un’attesa esasperante di “documenti” che può durare mesi, con requisiti che cambiano quando meno ci si aspetta, documenti che alla fine non servono per quello per cui dovevano servire, una porta chiusa dietro l’altra, violenze e porte chiuse.

È logico che accampamenti e bivacchi, e ruderi o marciapiedi abitati siano una realtà con la quale bisogna imparare a convivere. Ogni luogo che si trovi sugli itinerari delle persone in mobilità e abbia un significato nei loro spostamenti può trasformarsi in un accampamento, come le stazioni degli autobus, ad esempio la Centrale degli Autobus del Nord (Central Camionera del Norte) a Città del Messico, nodo di comunicazione fondamentale per le/i migranti sia per andare verso la frontiera con gli Stati Uniti che per tornare dopo un respingimento (ricordiamo che il Messico non ha più treni per trasporto di passeggeri).

Le persone che migrano in massa e sono una realtà troppo grande per nascondersi, come prima, si fanno posto come possono e dove possono, ma si prendono anche il diritto di appropriarsi dello spazio dove sono marginalizzate, per viverlo, strutturarlo, equipaggiarlo ed organizzarlo a misura delle proprie circostanze, pur se continuano a guardare verso il nord con la speranza riposta in una nuova possibilità. Ci sono stati accampamenti di ogni tipo in vari stati (soprattutto di frontiera) e, nei più grandi e duraturi, con il passare del tempo qualcuno ha messo in piedi anche delle piccole attività, come vendere articoli di prima necessità, cibo cucinato, o fare un taglio di capelli. Molti hanno suscitato il malessere della popolazione locale, molti sono stati smantellati quando questo malessere è cresciuto troppo.

Alcuni sono sorti per iniziativa delle istituzioni, per provare nuove possibili risposte e soluzioni congiunturali. Un caso recente è quello di San Pedro Tatanatepec 15, municipio dello stato di Oaxaca al confine con il Chiapas, sorto con l’intenzione di decongestionare l’ormai annosa accumulazione di richiedenti asilo a Tapachula 16. Il primo passo è stato installare un ufficio che rilasciava documenti temporanei come il Formulario Migratorio Multiple, FMM 17 e, alla fine di luglio 2022, l’INM ha installato delle enormi tende intorno all’ufficio, lasciando che le persone che arrivavano ci si sistemassero come potevano, nell’attesa del loro turno.

L’INM ha dichiarato di aver consegnato tra 1.500 e 2.000 FMM al giorno, per un totale di oltre 100.000, forse anche 135.000, dall’apertura dell’accampamento fino alla sua chiusura, a persone in maggioranza di nazionalità venezuelana e nicaraguense. Ma, nonostante questo apparente successo, gli FMM rilasciati a San Pedro hanno presentato un problema grave. Secondo le regole stabilite dall’INM la vigenza massima dell’FMM è di 180 giorni e, ciò nonostante, da tempo li stavano rilasciando con una durata molto inferiore, a volte di pochi giorni, il che, spiega Mario Monroy «era un abuso, al limite dell’illegalità».

Ad ottobre poi, in coincidenza con l’estensione del titolo 42 al Venezuela, senza avviso né spiegazioni, l’ufficio di San Pedro ha limitato sistematicamente la validità del formulario ma, per di più, le autorità delle altre entità federative messicane non ne hanno riconosciuto la validità. È facile immaginare la sorpresa di chi va tranquillo in un autobus, sentendosi protetto da un documento ufficiale, e in un posto di controllo migratorio ti dicono che quel documento è valido solo nello stato in cui è stato rilasciato, ti impediscono di continuare il viaggio, e ti rimandano indietro, al sud. Lo ha documentato come una pratica sistematica il Collettivo di Osservazione e Monitoraggio dei diritti umani nel Sudest messicano (COMDHSEM, per le iniziali in spagnolo 18) che, nella pubblicazione “Panorama dei Diritti Umani dalla frontiera sud del Messico 2022“, di novembre passato, informa: «… le autorità nei posti di blocco affermano che i documenti emessi dallo stesso INM non sono validi, e immediatamente viene la detenzione ed il ritorno al sud del paese». Per di più che, sottolinea il collettivo: «… a maggio di quest’anno (2022) la Corte Suprema di Giustizia (SCJN) ha dichiarato incostituzionali le revisioni dei posti di blocco stradali dell’INM, in quanto violano il diritto all’uguaglianza ed alla non discriminazione 19».

Sia che si tratti di un “malinteso” o di un piccolo espediente usato intenzionalmente per negare con l’inganno l’accesso ai propri diritti, il danno per le persone migranti, ovviamente, è gravissimo. Una violenza istituzionale devastante.

Ma l’accampamento ha presentato altre criticità, per esempio i 329 km che lo separavano dalla frontiera di Ciudad Hidalgo, un percorso ben noto in quanto molto pericoloso, con non meno di 19 posti di blocco, chiamati dall’INM “punti di revisione migratoria”, tra fissi e mobili 20, la mancanza di appoggio, di organizzazione e di infrastruttura, l’insalubrità. Quanto ai livelli di insicurezza, basta dire che varie persone sono scomparse sia nel centro del paese che nella zona delle tende: “Dei bambini sono andati al bagno 21 racconta Mario – e non sono più tornati” 22.

In più, nell’accampamento è stata calcolata la presenza di circa 14.000 persone (anche se ci sono stime che parlano di 18.000), raddoppiando in questo modo gli abitanti di San Pedro Tatanatepec (15.000 circa) e portando al collasso l’infrastruttura e la rete dei servizi nel municipio. Questa situazione ha provocato il rifiuto e l’ostilità dei suoi abitanti, con manifestazioni di razzismo e xenofobia, come l’imposizione di file separate nelle farmacie e nei negozi.

In un altro documento, una relazione sull’accampamento di San Pedro Tatanatepec, il COMDHSEM conclude che la sua breve esistenza è parte delle «azioni di controllo migratorio caratterizzate nel 2022 da risposte improvvisate, arbitrarie e discrezionali dello stato messicano, principalmente nella frontiera sud, dove si concentrano le linee di contenzione stabilite dal Piano di Migrazione e Sviluppo». Ma è anche un esempio della violenza istituzionale dell’INM che deriva dalle «pratiche e politiche migratorie discrezionali, arbitrarie e restrittive dei diritti delle persone in situazione di mobilità, che pretendono di rappresentare una risposta all’arrivo di migliaia di persone come conseguenza di… fattori strutturali che obbligano la popolazione ad esodi non desiderati».

L’INM, che ha chiamato questo accampamento “Tenda temporanea umanitaria”, lo ha installato ed ha permesso che crescesse caoticamente, ignorando la propria responsabilità di assistere e proteggere le persone che l’occupavano. E, aggiunge la relazione, «ha rilasciato documenti provvisori che non sono rispettati da altre autorità del paese, compresi gli stessi agenti dell’INM».

L’”episodio San Pedro Tatanatepec” finisce all’inizio di dicembre, quando l’INM informa della chiusura delle “installazioni temporanee”, smantellate senza spiegarne i motivi e, fatto ancor più grave, senza dare informazioni alle/ai migranti che ancora si trovavano nel municipio, su dove e come continuare la richiesta del permesso temporaneo.

Come a San Pedro, in tutto il paese la gestione degli spostamenti in massa di migranti è stata caratterizzata dall’improvvisazione, l’arbitrarietà e la discrezionalità. Ne sono derivate situazioni inedite anche in termini di agglomerazioni intorno alle istituzioni di riferimento, come gli uffici dell’INM e le stazioni migratorie 23, la COMAR e l’UNHCR, l’Agenzia ONU per i rifugiati, dove una folla di persone, dopo lunghe attese, hanno spesso ricevuto informazioni poco chiare o contraddittorie, imprecise, ingannevoli, e nessuna soluzione. In molte occasioni questo ha provocato, e continua a provocare, proteste ed anche invasioni dei locali istituzionali, frutto di una comprensibile esasperazione, ma che sono state represse con violenza dalla forza pubblica.

Rispetto a queste situazioni estreme, all’uso arbitrario e discrezionale delle norme migratorie, agli atteggiamenti della autorità sia statunitensi che messicane, spesso di disprezzo e di crudeltà, Mario Monroy parla di «processi burocratici di disumanizzazione… La politica del Titolo 42 non è solo una politica di espulsione, ma anche di disumanizzazione… Le autorità dicono che le denunce di arbitrarietà e violenze istituzionali si riferiscono a casi isolati, ma non abbiamo mai ascoltato qualcuno che dicesse ‘mi hanno trattato bene».

«Credo che in definitiva il proposito di questa gestione migratoria sia mettere fine alla migrazione, se necessario, con la morte. E la morte si usa come strategia pedagogica o esemplare… Vogliono provocare non solo un crollo fisico, (che sottomettere il corpo a situazioni estreme non è una novità), ma c’è la ricerca di un crollo spirituale…. Spezzare la persona, la sua umanità. E l’intenzione della politica migratoria del Nord America è la morte. È politica della morte, perché non solo li stanno lasciando morire, ma stanno cercando che sia sempre più difficile vivere».

  1. Cfr nota 20, Parte 1
  2. (US) Customs and Border Protection
  3. L’anno fiscale va da ottobre ad ottobre
  4. PAROLE, letteralmente libertà condizionale, è un permesso di permanenza temporanea che autorizza l’entrata negli Stati Uniti ad una persona per ragioni umanitarie o per altre ragioni straordinarie
  5. Casa de acogida, formación y empoderamiento de la mujer internacional y nacional, CAFEMIN
  6. Intervista a Mario Monroy, il 7 gennaio del 2023. Una lunga conversazione ripresa varie volte in questa parte del testo, a cui ha contribuito con molte informazioni, esperienze ed elementi di analisi
  7. L’istituto Nazionale per le Migrazioni è un organo decentrato dal Ministero degli Interni (Secretaría de Gobernación) con la responsabilità di disegnare ed operativizzare le politiche migratorie del paese. Dispone di 32 sedi, una per ogni Stato. La sua missione parla di “rafforzare la protezione ed il rispetto dei Diritti Umani e la sicurezza delle persone migranti nazionali e straniere, indipendentemente dalla loro nazionalità e situazione migratoria, riconoscendole come soggetti di diritto, attraverso processi migratori efficienti, regolari, ordinati e sicuri…”, ma in realtà il suo ruolo nei confronti delle persone straniere è meramente repressivo, sempre più repressivo, data la subalternità agli interessi e alla politica migratoria degli Stati Uniti d’America
  8. Legge disponibile qui. Fino al 2016 la capitale del paese, pur essendo un’entità federativa, conservava il vecchio nome di Distretto Federale, da cui il nome della legge. Dal 29 gennaio del 2016 il suo nome ufficiale è Città del Messico, grazie ad una riforma politica che vuole equiparare progressivamente le sue caratteristiche e facoltà a quelle proprie degli stati che costituiscono la federazione
  9. Oggi Subdirezione di Migranti della Segreteria di Inclusione e Benessere Sociale (SIBISO per le iniziali in spagnolo)
  10. Casa Fuente è un rifugio per donne e famiglie in situazione di violenza che spesso accoglie migranti
  11. Tijuana, la città al confine con la California, di fronte a San Diego, tra le frontiere con i maggiori movimenti migratori del paese
  12. Di cui si omettono i nomi per privacy e sicurezza
  13. Come le pignatte: un pupazzo di cartapesta dentro la quale si colloca una pentola di terracotta che, nelle feste di compleanno, si riempie di dolci e, a turno, si picchia con un bastone finché si rompe e lascia cadere i dolci
  14. Varela, Amarela (2019). “De Frontera Vertical a País Tapón”. En Iberoforum. Año XIV, No. 27, enero – junio 2019 (49 – 76). Universidad Iberoamericana Ciudad de México. Questo stesso concetto lo esprimeva, in altri termini, Gabriela Hernández, coordinatrice della casa Tochan, uno dei rifugi per migranti di Città del Messico, in un’intervista a Notimex a dicembre del 2019: “il governo messicano si è prestato ad operare come guardiano della frontiera degli Stati Uniti, e fa del territorio messicano una specie di carcere per i migranti… bisogna rendersi conto che la ragione della migrazione oggi non è più avere una vita migliore, ma salvare la propria vita”
  15. San Pedro Tatanatepec è una cittadina di 15.000 abitanti nell’Istmo di Tehuantepec; è l’ultimo municipio del sud dello stato di Oaxaca, a 290 kms al nord di Tapachula e 329 kms al nord del posto di frontiera di Ciudad Hidalgo
  16. Tapachula è la capitale della regione del Soconusco, al sudovest dello Stato del Chiapas. Con più di 320.000 habitantes (censo de 2010), è la prima città importante che si incontra arrivando dal Guatemala attraverso la frontiera Tecún Uman / Ciudad Hidalgo e qui, infatti, hanno la loro sede da sempre istituzioni ed infrastrutture, pubbliche e non, legate alla migrazione. È pertanto da molti anni una delle città teatro delle maggiori concentrazioni di migranti del paese
  17. Un’iniziativa simile era stata implementata precedentemente a Huixtla, municipio a una ventina di kms al nord di Tapachula. Il Formulario Migratorio Multiple, FMM, è un documento che si rilascia a stranieri che vogliono entrare al paese in situazione regolare, attraverso i punti di transito internazionale, per un periodo limitato, quindi consente l’attraversamento del paese ma non da accesso ai procedimenti di regolarizzazione migratoria né di rifugio
  18. Colectivo de Observación y Monitoreo de los Derechos Humanos en el Sureste Mexicano, coordinamento di 20 organizzazioni civili che operano nelle zone di frontiera del Messico
  19. SCJN declara inconstitucional revisiones migratorias en carretera; otorga amparo a indígenas tzeltales, Animal Político, pubblicato il 18 maggio 2022
  20. Costituiti da effettivi dell’INM, la Guardia Nazionale (polizia militare) e la Segreteria della Difesa
  21. I bagni mobili installati dall’INM non lontano dalle tende
  22. Colectivo de Observación y Monitoreo de Derechos Humanos en el Sureste Mexicano (2022). La Frontera Vertical. San Pedro Tatanatepec
  23. Centri di detenzione delle persone “riscattate” dall’INM. Secondo la definizione ufficiale: “luoghi prestabiliti dall’INM per alloggiare temporaneamente le persone in contesto di migrazione che non possono dimostrare una situazione migratoria regolare nel paese”. Questa definizione cerca di occultare i fatti: si tratta di veri e propri luoghi di privazione della libertà, cioè carceri

Mara Girardi

Dal 1985 vivo in Mesoamerica, in Nicaragua ed in Messico.
Ho studiato filosofia in Italia e un master in studi di genere in Nicaragua.
Socia ed operatrice di ONG di solidarietà e cooperazione internazionale, le ultime esperienze sono state con i movimenti femministi dei paesi centroamericani e poi con i movimenti indigeni in educazione interculturale e plurilingue. Dal 2006 ho lavorato a temi legati alla mobilità umana, come diritti, violenza, genere e migrazioni.