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Frame tratto dal documentario della BBC
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24 J. Il massacro di Melilla

La ricostruzione degli eventi nel rapporto di Caminando Fronteras

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È passato quasi un anno dal 24 giugno 2022, noto in Spagna come 24J, quando un gruppo di quasi 2mila persone migranti, dopo settimane di resistenza alle incursioni della polizia marocchina sul Monte Gourougou, ha provato a oltrepassare il muro che separa Melilla dal territorio marocchino attraverso il passo del Barrio Chino, affrontando una durissima repressione della polizia che ha prodotto decine di morti e dispersi.

La dinamica in cui si è consumato il massacro è stata sottoposta a tentativi di insabbiamento da parte delle istituzioni spagnole e marocchine, sia occultando i corpi dei cadaveri sia negando l’accesso alle registrazioni delle telecamere che sorvegliavano ampiamente la zona, ma grazie alla presenza di attivistə dell’Associazione marocchina per i diritti umani (AMDH) e alle foto e ai video circolati quel giorno, è stato possibile ricostruire le dinamiche degli eventi. Il principale documento che riunisce le immagini di quel giorno è la video-inchiesta prodotta dalla BBC dal titolo Cómo ocurrió la tragedia de la valla de Melilla que separa España de Marruecos, che ricostruisce una panoramica spaziale e temporale degli eventi.

Dal reportage emerge chiaramente come il massacro sia stato premeditato dalle forze di polizia marocchine, che hanno permesso alle persone migranti di discendere il Monte Gourougou in totale tranquillità per poi intrappolarle all’interno delle recinzioni del passo frontaliero del Barrio Chino. Una volta bloccate e impossibilitate alla fuga, le forze di polizia marocchine hanno continuato a lanciare lacrimogeni sulla folla intrappolata. Un video pubblicato da AMDH dimostra il coinvolgimento della polizia spagnola nel lancio di lacrimogeni all’interno della zona in cui erano ammassate le persone senza vie di fuga. Le forze di polizia spagnole hanno assistito le forze marocchine nella brutale operazione di repressione senza mai allertare i soccorsi e hanno respinto illegalmente almeno 470 persone in territorio marocchino senza dare loro la possibilità di richiedere la protezione internazionale.

Frame tratto dal documentario della BBC

Durante tutta la giornata le persone migranti sono state vittime di torture e abusi. Secondo le testimonianze raccolte dal collettivo spagnolo Caminando Fronteras 1 potrebbe essere di almeno 62 il numero delle vittime, anche se i cadaveri ritrovati sono al momento 40. Il numero di persone scomparse mentre si trovavano sotto la custodia della polizia marocchina sono invece 77 secondo le ricerche del collettivo, mentre 65 si trovano attualmente in carcere in custodia cautelare con diversi capi d’accusa tra cui reati di resistenza e oltraggio all’autorità ed altri che si riconducono al reato di traffico di esseri umani.

Gli antefatti

Il massacro del 24 giugno è la diretta conseguenza delle politiche securitarie europee, basate sulla criminalizzazione delle persone migranti e sull’utilizzo della violenza in frontiera. Secondo l’associazione ADMH, lo scopo delle forze di polizia marocchine in questa operazione non era solo quello di colpire le persone migranti, ma anche quello di “dimostrare alla controparte spagnola fino a che punto sono disposte a utilizzare qualsiasi mezzo per fermare il flusso di migranti quando le relazioni tra Rabat e Madrid sono buone”. Infatti è la polizia marocchina che ha filmato tutto, presumibilmente con il preciso intento di pubblicare i video del massacro.

Da poco erano stati ristabiliti i rapporti tra i due paesi. Nello specifico, la riappacificazione era stata celebrata nel marzo 2022 a seguito del riconoscimento spagnolo della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale occupato. Fino a quel momento (a partire dalla chiusura del marzo 2020 per il covid) il re Mohammed aveva mantenuto chiusa la frontiera con la Spagna per ricattarla. Così in aprile erano stati riaperti i collegamenti marittimi e a maggio riaprivano finalmente anche i collegamenti terrestri di Ceuta e Melilla, sancendo la riapertura della frontiera tra Spagna e Marocco e l’inizio di una “nuova tappa” di concordia nelle relazioni tra i due paesi.

Così, all’insegna dei buoni rapporti diplomatici, le forze marocchine hanno intensificato improvvisamente la frequenza e la violenza degli attacchi alle persone migranti nei pressi delle enclavi spagnole. Secondo le testimonianze dei sopravvissuti, infatti, gli attacchi della polizia marocchina sarebbero iniziati ben prima del 24 giugno.

Due mesi di repressione

Gli accampamenti informali costruiti dalle persone migranti sulle montagne erano diventati terreno di violenti scontri già dal mese di maggio. Le incursioni della polizia si ripetevano due o tre volte alla settimana, secondo le testimonianze, impiegando strategie sempre più aggressive. La dinamica era sempre simile: alle prime ore del mattino apparivano le forze di polizia, accerchiavano l’accampamento in cui dormivano le persone migranti e lo attaccavano colpendole, rubando i loro effetti e bruciando ciò che rimaneva. Successivamente, da terra e dagli elicotteri, venivano lanciati lacrimogeni per colpire le persone migranti durante la fuga, costringendole a trovare rifugio in zone di montagne ostiche, per nascondersi dalla polizia. Tuttavia nessun posto era realmente sicuro a causa dei droni che sorvegliavano costantemente la zona.

Secondo le testimonianze, tra la fine di maggio e l’inizio di giugno la repressione si è intensificata. I sopravvissuti raccontano la situazione di stress psicologico per l’allerta costante e la difficoltà nel curare le ferite causate dai colpi della polizia. I sabotaggi nei loro confronti erano continui, tanto che la polizia è arrivata a chiudere i rubinetti pubblici da cui si rifornivano di acqua e ad intimare ai commercianti della zona di non vendere più cibo alle persone migranti.

Il lunedì della settimana del massacro, circa 500 agenti hanno attaccato l’accampamento sul monte Gourougou provocando decine di feriti. Il martedì non ci furono attacchi, ma le incursioni si fecero più violente nelle giornate di mercoledì e giovedì 22 e 23 giugno. Quest’ultimo giorno, secondo i racconti, il messaggio della polizia era molto chiaro: le persone avevano 24 ore per lasciare l’accampamento, altrimenti la violenza sarebbe aumentata ulteriormente. Il venerdì 24, di fronte alla prospettiva di nuovo violento attacco, con le energie mentali e fisiche rimaste, le persone migranti hanno deciso di andare avanti tutte insieme e discendere la montagna verso la frontiera.

Frame tratta dall’inchiesta di Lighthouse Reports

Verso le 10.30, dopo aver percorso diversi km senza impedimenti, il gruppo di circa 1.800 persone migranti arriva alla frontiera presso il passo di Barrio Chino. I primi cercano di forzare una prima barriera, ma quando tutti arrivano sono già circondati e la polizia ha già iniziato a lanciare lacrimogeni. Diverse persone riescono a scavalcare la prima barriera fino a quando una parte della recinzione crolla, facendo cadere da diversi metri di altezza decine di persone che vi erano aggrappate. In quel momento iniziano le cariche, chi non è riuscito a scavalcare rimane bloccato e viene colpito violentemente dalla polizia. Secondo i racconti i corpi erano distesi al suolo uno sopra all’altro, gli agenti passavano e colpivano arbitrariamente le persone già a terra, derubavano i loro effetti e le insultavano.

Nel frattempo le persone che sono riuscite a scavalcare si sono trovate intrappolate all’interno dei cancelli che separano il territorio spagnolo da quello marocchino. Alcune di loro riusciranno a passare dal lato spagnolo, mentre la maggior parte rimane intrappolata in un perimetro di alcune decine di metri quadrati senza via di fuga. All’interno di questo perimetro, hanno continuato a cadere lacrimogeni lanciati da entrambi i lati della frontiera. Secondo le testimonianze “sembrava che la polizia volesse usare tutte le scorte che aveva a disposizione”. All’interno di questo perimetro decine di persone sarebbero morte soffocate dai gas lacrimogeni e per la ressa creatasi quando il cancello che separa il territorio marocchino da quello spagnolo è stato finalmente forzato. In quello stesso momento la polizia marocchina faceva irruzione nel perimetro, colpendo violentemente le persone accalcate. Un video girato da un elicottero della Guardia Civil spagnola riprende perfettamente questo momento, ma la registrazione resa pubblica si ferma giusto nel momento in cui viene forzato il cancello, appena prima della carica della polizia marocchina.

Nelle ore successive le persone migranti fermate sono state tenute in custodia sotto il sole, ammanettate dietro la schiena, appena fuori dal perimetro in cui si è consumata la strage. La prima ambulanza è comparsa alle 14, dopo almeno 3 ore dall’inizio del massacro, mentre l’ultima è entrata in ospedale alle 21. La polizia ha costantemente ostacolato i soccorsi infierendo su persone ferite anche gravemente. L’ospedale di Nador è stato presidiato e reso inaccessibile. Verso le 16 sono arrivati 9 bus per deportare circa 500 persone, tra cui diverse gravemente ferite, in diverse aree distanti fino a 12 ore ad Nador. Almeno una persona è morta durante il viaggio. Secondo le testimonianze raccolte da Caminando Fronteras un gruppo di almeno 130 persone sarebbe stato deportato in Algeria, in un territorio di confine conosciuto come “terra di nessuno”.

I corpi dei cadaveri, dopo aver giaciuto per ore al suolo insieme al resto dei sopravvissuti, sono stati trasferiti sulle prime ambulanze che hanno raggiunto il luogo del massacro. Alcunə attivistə di AMDH hanno raccontato di aver visto circa 15 corpi a terra, in una maniera definita “umiliante”, nell’obitorio di Nador, presso cui sono state successivamente proibite le visite. AMDH ha anche sorpreso le autorità marocchine scavare 21 fosse anonime vicino al cimitero di Nador per seppellire le vittime del massacro senza nemmeno identificare i corpi. Ad oggi le famiglie delle persone scomparse continuano a denunciare la totale indisponibilità delle istituzioni, sia spagnole che marocchine, nella ricerca dei dispersi.

Secondo la versione ufficiale delle autorità dei due paesi, le forze di polizia avrebbero impiegato l’uso legittimo e proporzionato della forza per difendersi dalla violenza delle persone migranti, che procedevano armate di pali verso la frontiera. Con questa giustificazione il Il 23 dicembre scorso la Fiscalía (vale a dire la Procura) dello stato spagnolo ha assolto il Ministero dell’Interno, la Guardia Civil e tutti gli agenti coinvolti da qualsiasi responsabilità legale, nonostante il Defensor del Pueblo (Garante dei diritti delle persone detenute) avesse in due occasioni denunciato l’insufficienza delle spiegazioni depositate dal Ministero dell’Interno, la mancanza delle registrazioni di diverse telecamere di sorveglianza e il respingimento illegale di 470 persone. Il ministro dell’interno spagnolo Marlaska si è difeso inoltre dicendo che le morti non sono avvenute in territorio spagnolo, alludendo al fatto che il perimetro in cui le persone si sono ritrovate intrappolate fosse territorio marocchino, come se la responsabilità dello stato spagnolo nel massacro si riducesse a una questione meramente giuridica e dipendesse solo da una linea immaginaria.

Dall’altro lato della frontiera, le autorità marocchine hanno perseguito penalmente i sopravvissuti al massacro. 65 persone sono state arrestate e incarcerate quel giorno. Di loro, 36 sono state accusate di resistenza e oltraggio all’autorità, minaccia alla sicurezza pubblica di persone e proprietà, possesso e uso di arma bianca, e per reati legati alla migrazione clandestina e alla facilitazione della migrazione clandestina, e condannati tre giorni dopo a 11 mesi.

Frame tratto dal documentario della BBC

Tutto ciò è il risultato delle politiche europee di esternalizzazione del controllo delle migrazioni in territori extra-UE e della normalizzazione di pratiche violente da parte della polizia nei luoghi di frontiera. La lotta ai trafficanti di esseri umani continua ad essere la principale legittimazione politica, oltre che principale strumento giuridico, per perseguire le persone migranti, le quali si ritrovano a scontare detenzioni esemplari, in alcuni casi anche di molti anni. In Marocco, in particolare, le pene e le sanzioni per reati riguardanti l’immigrazione e l’emigrazione “irregolare” sono molto alte e possono arrivare anche a 20 anni di carcere.

Di fatto, ciò che permette ai governi di criminalizzare le persone migranti e perseguirle è considerarle tutte indiscriminatamente potenziali trafficanti. Così la legge migratoria, che dovrebbe essere il principale strumento di protezione delle persone migranti, diventa essa stessa il principale strumento per perseguirle. l’Unione europea continua a delegare la repressione dei movimenti migratori nei paesi extra-UE, tentando di nascondere le pratiche con cui gestisce il controllo dei confini, e nel farlo esporta anche le pratiche istituzionali e le leggi che in Europa contribuiscono alla legalizzazione della persecuzione delle presone migranti. In definitiva, anche se l’operazione che ha portato al massacro del 24 giugno è stata pianificata ed eseguita principalmente dalle forze di polizia marocchine, la Spagna e l’UE sono parimenti complici di questa strage, così come delle altre decine di migliaia di vite spezzate negli ultimi decenni per volontà degli stati europei.

  1. Informe Víctimas de la frontera Nador-Melilla el 24/6/2022

Mattia Iannacone

Mi chiamo Mattia, vengo da Novara e mi sono laureato in scienze politiche a Padova. Ho avuto diverse esperienze in frontiera come attivista in Italia, Spagna e nei Balcani. Attualmente vivo a Bologna dove studio antropologia.