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Photo credit: Rete 26 febbraio

Crotone, la Procura autorizza il prelievo del DNA dei familiari per identificare le vittime del naufragio

Dopo 18 giorni dal naufragio, la Presidente Meloni questa mattina ha incontrato a Palazzo Chigi i familiari delle vittime

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Mentre il lavoro di ricerca dei dispersi continua a strappare corpi al mare 1, finalmente la Procura di Crotone ha autorizzato il prelievo del DNA ai parenti delle persone disperse, così da poter dare un nome ai corpi che via via stanno affiorando. Un segnale, per quanto tardivo, di attenzione e di rispetto verso il dolore delle famiglie che hanno raggiunto il PalaMilone di Crotone da mezza Europa.

Questa decisione, dice Silvia Di Meo del progetto Mem.Med, è il frutto dell’attività di pressione portata avanti dalla rete di associazioni e volontari/e che ha sostenuto le famiglie nel riconoscimento dei morti e nel disbrigo delle pratiche burocratiche presso il palazzetto dello sport di Crotone, utilizzato come camera ardente e divenuto il luogo centrale per le famiglie in queste settimane.

In forma completamente spontanea ed auto-organizzata, senza alcun supporto istituzionale ed anzi colmando l’assurdo vuoto di coordinamento organizzativo lasciato dalle istituzioni, le associazioni raccolte nella “Rete 26 febbraio” stanno ancora svolgendo un lavoro immane, essenziale per dare supporto alle famiglie e per fare emergere le lacune e la completa impreparazione delle istituzioni e del Governo stesso.
Negli ultimi tre giorni di ricerche sono stati trovati i resti di 6 persone, i riconoscimenti sono sempre più difficili con il trascorrere del tempo, e nel caso dei bambini gli abiti nuovi di zecca, alcuni ancora col cartellino del prezzo attaccato, rendono impossibile anche ai parenti più stretti il riconoscimento.

Questa mattina, a Roma, la Presidente del consiglio Giorgia Meloni si è trovata davanti i parenti ed alcuni sopravvissuti. Anche di fronte a loro non ha saputo fare altro che ribadire i pericoli dei viaggi migratori e lanciare la sua invettiva contro i trafficanti.

Questo tardivo incontro non può far dimenticare che sono passati ben 18 giorni dal giorno del naufragio, il secondo più grave avvenuto in Italia dopo quello di Lampedusa del 2013. Un lasso di tempo in cui la Presidente avrebbe potuto incontrare i familiari o recarsi immediatamente al PalaMilone per un gesto di vicinanza e vedere coi propri occhi le oltre 70 bare messe in fila, le foto delle persone sorridenti mentre erano ancora in vita, le corone di fiori, i peluche appoggiati alle bare bianche dei più piccoli. Avrebbe potuto leggere i messaggi di solidarietà e commiato.

«Giorgia Meloni non è venuta al PalaMilone per non sentire l’odore della morte», dichiara Yasmine Accardo, tra le prime volontarie giunte a Crotone a poche ore dalla notizia del naufragio, anche lei parte di Mem.Med. Duro anche il commento di Manuelita Scigliano, della Rete 26 febbraio: «Questo invito a Roma ci sembra un gesto tardivo e irrispettoso, un tentativo di rimediare a una grave mancanza. Una ulteriore, offensiva, strumentalizzazione. Oggi familiari e superstiti hanno scelto di accettare l’invito e recarsi a Roma per poter porre delle domande, per chiedere rispetto, giustizia e verità. Per i vivi e per i morti. Per chiedere il perché di un mancato soccorso a pochi metri dalla riva. In parte consapevoli che le loro aspettative rimarranno deluse e che il loro dolore e le loro richieste di giustizia saranno ancora usate da un governo che ha già ampiamente strumentalizzato la tragedia di Cutro».

Al contrario di rendere omaggio immediatamente alle vittime e sincerarsi delle condizioni dei sopravvissuti, Meloni ha usato questo tempo per preparare una difesa politica della strage e inscenare una squallida passerella a Cutro, dove assolvere i suoi ministri da qualsiasi responsabilità e decretare d’urgenza altre norme sull’immigrazione. Anche ieri, al Question Time alla Camera, ha continuato a eludere le domande sulla ragione per cui il caicco è stato lasciato naufragare a 100 metri dalla spiaggia. Nel rispondere a Riccardo Magi di +Europa ha detto: «La nostra coscienza è a posto», ripetendo il mantra della responsabilità dello “scafista”.

I pensieri, invece, di coloro che dal primo giorno si sono presi cura dei sopravvissuti e dei familiari, e delle migliaia di persone che hanno partecipato alla manifestazione di sabato scorso a Steccato di Cutro, dicono tutt’altro: questo naufragio – e quello di lunedì 13 marzo che ha ammazzato altre 30 persone nelle acque internazionali al largo della Libia – sono voluti, forse desiderati nelle stanze del potere. Sono stragi di Stato.

  1. Il 15 marzo il bilancio delle vittime è salito a 86, di cui 35 sono i minori.

Redazione

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