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Cutro: 150 metri ed una strage di Stato

Un rapporto del progetto Mem.Med che sta operando in supporto dei familiari delle vittime e ai superstiti

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Erano così vicini!?”- prima di accasciarsi in preghiera, questo esclama R. che allo Steccato di Cutro si è recato con altri parenti di persone scomparse. Una spiaggia lunga, lunghissima costellata di macerie e resti dell’imbarcazione, vestiti, borse, scarpe, cibo e tanti altri oggetti. 

Una parte della fiancata della nave è poggiata sulla sabbia. I familiari utilizzano bastoni di legno per provare a sollevarla: cercano corpi, resti dei loro cari, qualsiasi cosa che rappresenti ciò che rimane della persona scomparsa. Altri familiari scavano intorno alla barca inabissata. I referenti della Guardia Costiera e delle operazioni di recupero dei corpi sono presenti sul campo e ripetono alle famiglie che stanno facendo tutto il possibile per estrarre i corpi ancora in mare. Le rassicurazioni non bastano: i familiari non possono fermarsi, continuano a cercare tra la sabbia e le onde del mare. Come possono credere infatti a queste parole se proprio lì di fronte, ad appena 150 metri, l’imbarcazione con a bordo i loro cari è naufragata senza che nessuno abbia risposto alle richieste di soccorso? 

 “Perché non li hanno soccorsi? Erano così vicini!”

Siamo qui come Progetto Mem.Med 1 a sostegno delle famiglie dei dispersi e delle persone che in quel mare hanno trovato la morte, vittime di questa strage. Dall’inizio di questa tragedia siamo accanto a loro, facilitando la richiesta di informazioni e notizie, per sostenerle nelle loro domande di verità e giustizia, per far luce su questa tragedia. 

Il Palamilone, il cui campo è stato adibito a camera ardente, è anche il luogo dove vengono effettuati i riconoscimenti dei corpi da parte dei parenti, e dove sono presenti Polizia Scientifica, Croce Rossa, assistenti sociali del Comune di Crotone e Medici Senza Frontiere.

Le nostre attiviste hanno fin da subito supportato le famiglie, ad esempio per metterle in connessione con chi sul territorio si sta adoperando per fornire i servizi di base. Infatti, la prima notte, alcuni dei primi familiari arrivati sul luogo hanno dormito in macchina, nonostante il lungo viaggio per raggiungere Crotone. Per le prime due notti il Comune e la Croce Rossa hanno sostenuto economicamente le spese per l’alloggio e le associazioni locali si sono adoperate per reperire posti letto e mediatori culturali.

Una macchina operativa non abituata a gestire una situazione tanto complessa e dentro la quale molte sono state le falle, riempite dal lavoro di volontari ed attivisti, locali e non. Le maggiori difficoltà hanno riguardato la fornitura di indicazioni precise ed univoche ai familiari, assediati intanto da giornalisti senza scrupolo e da altri curiosi che hanno creato incomprensioni e confusione. Una macchina senza regia organizzativa, gestita prevalentemente dal basso, con grande solidarietà dei cittadini. 

Solo dopo l’arrivo del Presidente della Repubblica Mattarella, la Regione Calabria ha deciso di coprire le spese di alloggio dei familiari rimasti in loco, in attesa di ritrovare i parenti dispersi e nella lunga trafila amministrativa per l’ottenimento delle carte necessarie al rimpatrio dei corpi.

L’attesa di notizie sulle procedure di rimpatrio delle salme sta generando malcontento e disagio che si sommano alla già profonda sofferenza generata da questa strage. 

Relativamente al rimpatrio dei corpi delle vittime, una questione estremamente importante è quella relativa ai costi che si aggirano, a seconda del paese di destinazione, tra i 4000 ed i 6000 euro per ogni salma. Costi che le famiglie – salvo poche eccezioni – non sono in grado di sostenere, soprattutto considerando che la maggior parte ha perso più di un familiare. 

Nonostante alcune dichiarazioni del Presidente Mattarella, che facevano riferimento ad una presa in carico anche economica da parte del Governo italiano, in una riunione tenutasi in Prefettura cui hanno preso parte i referenti del Comune e dell’associazione Sabir, è emerso che la Prefettura avrebbe delegato a Comune ed associazioni la gestione di questa problematica: la soluzione trovata sarebbe quella di anticipare le spese di rimpatrio in vista di un successivo, ipotetico, rimborso. 

In questo tempo le famiglie hanno continuamente atteso informazioni e i diversi soggetti istituzionali presenti sul campo non sono riusciti a fornire risposte univoche: le notizie circolate, per lo più interpretazioni, arbitrarie e incorrette, hanno gettato nello sconforto molti dei familiari. 

Il Comune insieme ad UNHCR ed alla Polizia scientifica hanno infine compilato una lista delle richieste di ogni persona in merito ai luoghi desiderati per il rimpatrio delle salme e, solo sabato 4 marzo sono stati fatti riempire ai familiari i moduli necessari a questa procedura. In quest’operazione siamo stati presenti in supporto ai diversi operatori sul campo. Nelle giornate passate mentre eravamo sulla spiaggia della tragedia con i familiari, è arrivato anche l’ambasciatore afghano che ha promesso ai parenti di occuparsi del trasporto dei corpi. Alla fine però l’ambasciata ha distribuito soltanto certificati errati, dando la falsa speranza di un possibile rimpatrio in Afghanistan. Infatti, secondo le comunicazioni ufficiali, tale rimpatrio sarebbe possibile, a causa della nofly zone. In queste ore la Prefettura sta lavorando su questo, cercando di capire la fattibilità di questi trasferimenti nei Paesi di origine. 

Attesa, informazioni sbagliate, mancanza di regia, dolore e rabbia sono le parole che più rappresentano tutto il contesto che avvolge la strage. Come Mem.Med sul campo stiamo provvedendo a far si che siano portate avanti in maniera adeguata ed efficace tutte le procedure che saranno poi indispensabili per il riconoscimento di chi è ancora disperso e per garantire degna sepoltura alle vittime, assicurandoci che siano rispettate le volontà dei familiari. Inoltre, insieme ad ASGI abbiamo inviato una lettera al Prefetto di Crotone per chiedere chiarimenti sulle procedure utilizzate per il riconoscimento delle persone decedute, nonché su quelle implementate per la ricerca dei dispersi. 

Alcuni di noi si sono poi recati al Cara di Crotone dove si trovano ospitati gli 82 sopravvissuti del naufragio. Va qui sottolineato che non è mai stata attivata la procedura di trasferimento in SAI, procedura che in una tale situazione sarebbe stata necessaria per poter garantire una maggior cura delle persone. 

I superstiti, invece, fin dall’inizio hanno rappresentato ai loro familiari di essersi trovati in una situazione di limbo ed in condizioni di accoglienza estremamente precaria oltre che in situazioni di promiscuità inaccettabile all’interno di un capannone dove, su pancali di acciaio, sono posti materassini in gommapiuma. Scene già viste in passato in monitoraggi all’interno del CARA di Crotone che speravamo di non rivedere, soprattutto in una situazione come quella che riguarda i sopravvissuti ad un naufragio, esposti a ulteriore violenza. Nei primi giorni, inoltre, 6 minori sopravvissuti sono stati collocati nel Cara senza tutele. Uno di loro è stato poi trasferito in un centro per minori, asserragliato per diverse ore da giornalisti che volevano intervistarlo. 

Molti dei superstiti hanno perso i propri cari ed in questi giorni sono stati portati spesso al Palamilone, durante visite contingentate, in concomitanza con l’arrivo dei corpi. Alcuni minori ancora in ospedale sono diventati orfani dopo questa strage. 

I superstiti restano quindi in una condizione di “hub” lesiva dei loro diritti e per la quale abbiamo a più riprese richiesto gli interventi di parlamentari; ha risposto il deputato Franco Mari, che, attraverso uno dei nostri soci, abbiamo attivato proprio per l’accesso e la verifica delle segnalazioni a noi pervenute.

Va inoltre riportato che dentro questa tragedia proprio nel giorno del naufragio, un cittadino egiziano, prima ospite del cara di Crotone, è morto investito da una macchina all’uscita del centro; di questa persona non si è saputo e non si sa nulla. Anche per lui Mem.Med, con l’associazione locale Sabir, si sta attivando per rintracciare i familiari ed effettuare la sepoltura. 

Lancinanti le urla dei familiari lanciate in questi giorni nel momento del riconoscimento dei corpi o lungo la spiaggia di Steccato di Cutro. Urla che non dimenticheremo e dentro le quali andrebbero incatenati i nostri governanti. 

Insieme alle famiglie e ad altre associazioni combatteremo perché sia fatta Giustizia contro un Paese, il nostro, che è per noi colpevole di strage. 

Tutte le fotografie sono state scattate dal progetto Mem.Med .

  1. Mem.Med, un progetto per ricercare e identificare le persone disperse nel Mediterraneo

Mem.Med

Mem.Med - Memoria Mediterranea si occupa di ricerca e identificazione delle persone disperse nel Mar Mediterraneo, fornendo supporto legale e psico-sociale alle famiglie che cercano verità e giustizia. Mem.Med si occupa di monitorare e denunciare le violenze della frontiera e di costruire una memoria collettiva su quanto accade alle due sponde del Mediterraneo.