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PH: Michael Bunel (Sos Mediterraneè)
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Dentro l’Ocean Viking

Intervista a Lucia Pauri, ostetrica a bordo della nave di ricerca e soccorso di Sos Mediterraneè

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A pochi giorni dall’ennesima evitabile strage in mare avvenuta al largo delle coste di Crotone, pubblichiamo l’intervista a un’ostetrica di Ocean Viking, la nave di Sos Mediterranèè, che come le altre ONG di ricerca e soccorso, nonostante i vergognosi attacchi governativi, ogni giorno tentano di evitare queste stragi di stato.

PH: Michael Bunel (Sos Mediterraneè) Nel porto di Ancona

Lucia Pauri ha 29 anni. La sua professione è quella di ostetrica, con una specializzazione in Fisiologia della gravidanza. Durante l’estate 2022 decide di andare in Grecia, nell’isola di Lesbo, con l’associazione Mam Beyond Borders, un’organizzazione di volontariato che ha come missione l’attuazione di progetti socio-sanitari sia sul territorio nazionale che internazionale.
Dopo questa esperienza il suo desiderio di lavorare a stretto contatto con le soggettività migranti la conduce a Sos Mediterraneè, sulla rescue boat Ocean Viking, durante lo scorso dicembre.

Salvataggio in mare

Come ti sei avvicinata all’Ocean Viking? Per quanto tempo sei stata? Come è stato l’inizio della missione?

Mi sono imbarcata a Marsiglia il 12 dicembre. Nei primi giorni abbiamo sistemato la nave, sia da un punto di vista infrastrutturale sia da un punto di vista di provviste, rifornimenti e tutto il necessario per il nostro lavoro. Poi ci siamo dedicati/e alla parte tecnica, conducendo delle esercitazioni di vario genere, abbiamo fatto lavoro di team building, allenandoci ad usare i Rhib (Rigid Hull Inflatable Boat), i gommoni per compiere il primo salvataggio in mare.

Ovviamente il tasso d’imprevedibilità è altissimo, per cui le esercitazioni non esautorano tutto il ventaglio di casi possibili. La cosa interessante è che tutti i membri dell’equipaggio si esercitano su tutto. L’equipaggio di norma è composto da varie figure: il Marine Crew, composto da capitano, vice capitano, tecnici ingegneri e due cuochi; il Sar team composto dai team leader e dai soccorritori/soccorritrici; il team sanitario composto da un’ostetrica team leader, un medico, un infermiere/a e un’altra ostetrica; il Protection team composto da un team leader, due mediatori/mediatrici, un logista. E infine il Coordination team e il Comunication team, composto da due giornalisti/e e da un fotografo/a.

Quali sono le attività maggiori? Come si svolge una giornata “tipo” all’interno dell’Ocean Viking?

Ogni mattina facciamo il morning meeting, in cui ci aggiorniamo sui vari contesti.
In zona Sar, iniziamo i turni di avvistamento che hanno una copertura di 24h, in modo da garantire la sorveglianza costante della zona. È sottinteso che in ogni momento si deve essere ready for rescue. Ad esempio, il primo soccorso è avvenuto in piena notte.
E da quel momento ovviamente non ci si ferma mai.

I maggiori strumenti di avvistamento sono Alarm Phone, Volunteer Airplan ma soprattutto un controllo costante dalla torre di controllo. Spesso purtroppo si incombe in imbarcazioni vuote. Tendenzialmente vuol dire che sono state intercettate dalla Guardia Libica e riportate indietro.

Nel momento in cui si è visibili, si inizia la comunicazione con le persone affermando di essere un Sar Team. Ovviamente è molto complesso il salvataggio. La procedura da attuare consta di un modus operandi ben delineato. A tal fine il primo dettaglio fondamentale è quello di non creare panico nell’imbarcazione. Si tratta di un momento delicatissimo, in cui la paura e l’incertezza sono sovrane. Il Sar Team si avvicina all’imbarcazione dei migranti, facendo un discorso in cui si annuncia la propria natura e il proprio obiettivo. Il dato più importante è garantire la calma, perché l’operazione di salvataggio in mare è propriamente difficile.

PH: Michael Bunel (Sos Mediterraneè) La vita a bordo

Dal punto di vista sanitario, ci troviamo di fronte a delle soggettività variegate che presentano differenti problemi di salute. E quindi cerchiamo di capire tutte le possibili contromisure.
Una volta saliti, la parte sanitaria lavora su più fronti: alla cura, all’anamnesi ma anche alla questione della violenza di genere, purtroppo spesso comune tra le donne migranti.

Molte donne si aprono, raccontandoti la loro storia. Inoltre abbiamo una parte specifica sulla violenza sessuale e di genere, in cui è possibile emettere anche dei certificati da portare giù a terra. Il nostro lavoro è basato sul Psychological First Aid, improntato molto all’ascolto.
La clinica è il luogo emblematico della nave, è il luogo aperto 24h, è il luogo protetto.
Durante il primo salvataggio, avvenuto tra il 26 e il 27 dicembre, c’era anche il bimbo di appena 20 giorni di cui si è parlato sui giornali. È stato molto impattante per noi. Era sotto un cumulo di vestiti e nei primi secondi non avevamo neanche ben capito che fosse un bambino. Non era il solo. C’era anche un bimbo di 3 mesi, uno di 7. E all’interno della nave poi diventano gli animatori della giornata.

Una volta fatto il salvataggio, il gommone, specialmente se messo in condizioni disastrose, viene bucato, in modo da non permetterne il riutilizzo. E se sei alla prima missione, ti viene regalato un pezzetto dell’imbarcazione come ricordo.

A livello territoriale, siamo stati prevalentemente a nord di Tripoli. Nella seconda fase (secondo patrol) abbiamo diviso la zona con la GeoBarents, la nave di Medici Senza Frontiere, in modo da coprire il più possibile la zona.
Una volta effettuato il salvataggio, con l’emanazione del nuovo decreto (decreto Piantedosi, ndr), siamo obbligati a partire subito per il porto. Ad esempio la Geobarents, la nave di Medici Senza Frontiere, aveva effettuato un salvataggio negli stessi giorni.
Entrambe le navi avevano a bordo un numero non elevatissimo di survivors. A tal proposito la Geobarents ha chiesto di trasferire tutti i survivors in un’unica nave (o la nostra o quella di Geobarents) in modo che almeno una delle due rimanesse nel Mediterraneo per continuare la propria azione. Tuttavia la richiesta è stata negata.

Il ritorno per Ancona è stato molto duro, avendo incontrato un maltempo incredibile.

Le condizioni meteo erano ben note. Infatti, è stata avanzata la richiesta di un’assegnazione di un altro porto viste le previste condizioni meteorologiche avverse ma anche questa richiesta è stata respinta.

Cosa ha significato per te stare sulla nave? Quali sono le emozioni, negative e positive, che hai provato?

Io ero molto emozionata. Già essere in quel contesto era bellissimo. Durante il primo soccorso ero molto tesa. Anche se si fanno tanti training, la difficoltà rimane grande. La cosa che mi ha dato tanta motivazione e sicurezza è che c’è molta serietà, professionalità; una costruzione di un bel clima nonostante la difficoltà, una sinergia tra colleghe e colleghi sempre presente.
Vedere la reazione delle persone appena imbarcate sulla nostra nave è molto forte. Ti tocca dentro. E ti rimane. Si semina. Poi si alternano momenti di tristezza, in cui vi è il racconto di eventi negativi. E momenti di gioia, di balli, di comunità.
Ricordo sempre con profondità una frase di una ragazza incontrata sull’isola di Lesbo che affermava che “è nelle più grandi tragedie che ritrovi la più grande umanità”. E io in questa frase mi ritrovo. C’è il baratro, ma c’è lo scambio più puro di umanità, al netto delle barriere linguistiche, culturali, ecc.
Anche essere in mezzo al mare ti fa sentire in un’altra dimensione. Sei in acque internazionali, non sei in nessun suolo, di nessuno Stato, di nessun governo, e sei lontano da tutto quello che hai toccato con esperienze precedenti. Sicuramente è una delle esperienze più potenti che abbia mai fatto. E son contenta di tornare a bordo, per vedere come sarà. La prima missione è stata una centrifuga di emozioni. Vediamo come andrà la prossima.
Per quanto riguarda lo staff, c’è tanta cura da parte di Sos Mediterraneè, che mette a disposizioni vari servizi di supporto per i lavoratori e le lavoratrici a bordo.

Tu sei originaria di Ancona. Quali sono state le tue sensazioni nello sbarcare proprio nella tua città natale dopo un viaggio lungo, faticoso e pericoloso?

Sicuramente è stato il ritorno a casa più emozionante di sempre. Tra l’altro non era mai successo nella storia delle Ngo di sbarcare ad Ancona. Quindi non ce l’aspettavamo per nulla.
Quando la team leader me l’ha comunicato, è stato molto strano. Tuttavia, vivevo delle emozioni contrastanti, in quanto ci aspettavano 4 giorni di viaggio con un grande maltempo. Il nuovo decreto (decreto Piantedosi ndr) ti assegna il porto velocemente ma assegnandoti dei porti lontani, non garantisce una facilità di manovra e di viaggio.
All’arrivo, c’era la luna che splendeva sopra il Duomo di Ancona.
Sono rimasta contenta poiché è nato un comitato di accoglienza che si è mobilitato per accogliere le persone. Io, personalmente, sono stata bombardata dalla stampa, che aveva scoperto che io fossi di Ancona. Scesa dalla banchina, mi sono trovato un gruppo di giornalisti pronta ad intervistarmi, il quale mi ha posto anche delle domande un po’ spiacevoli, alla ricerca dello scoop sensazionalistico, di fronte alle quali ho preferito non rispondere.
Molto emozionante ed interessante è il momento in cui si comunica ai survivors il porto di destinazione, in cui si configura anche il momento di un arrivo a terra che, almeno nell’immaginario, è un approdo verso la libertà, o almeno verso una libertà più ampia rispetto a quella vissuta precedentemente (sicuramente rispetto alla Libia).
Tuttavia, la nostra consapevolezza del fatto che una volta scese a terra, sarà un percorso arduo per i migranti, ti regala l’amara convinzione che quella gioia vissuta in nave verrà probabilmente smontata durante il percorso d’accoglienza in Italia o in altri paesi europei.

Lucia, dopo lo sbarco ad Ancona, è tornata a Siracusa con l’Ocean Viking. Da lì è scesa, e si è concessa un periodo di pausa.

Da qualche giorno è tornata sulla nave per la sua seconda missione con Sos Mediterraneè.
Per salvare vite, per accogliere. E per continuare a costruire la più grande umanità nelle ingiustizie più grandi.

Dario Ruggieri

Impegnato nella tutela dei diritti umani e nella lotta alle diseguaglianze, ho vissuto diverse esperienze legate al contesto migratorio, in particolare in Turchia, Bosnia, Cipro e Palestina. Ho collaborato con Pressenza e Dinamopress. Vivo a Bologna, dove lavoro e studio, con l’obiettivo di fare ricerca nel campo delle migrazioni.