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Verona - Un richiedente ospite del CAS Vaccamozzi interviene al presidio "Basta morti in mare"
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Il CAS più isolato del Veneto

L'Osservatorio Migranti di Verona e la lotta per la chiusura del CAS di Vaccamozzi, luogo di marginalità e isolamento

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«Isolato e poco servito, un “non luogo”, l’antitesi dell’accoglienza, uno spazio di marginalità ed isolamento». E’ questo in sintesi il giudizio espresso dall’Osservatorio Migranti di Verona per descrivere il Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) di Vaccamozzi aperto a novembre del 2017 all’interno di un’ex base Nato sulle montagne della Lessinia, in provincia di Verona. La località di Vaccamozzi è costituita da 4 case sparse e una manciata di abitanti e dista 4 chilometri dal centro di Erbezzo situato a oltre 1.100 metri di altezza con poco più di 700 abitanti, raggiungibile dagli ospiti del CAS, in assenza di qualunque servizio di navetta, solo a piedi percorrendo la strada provinciale.

Le dure critiche al CAS non sono nuove poiché la difficoltà di accesso e l’isolamento erano già state denunciate dall’Osservatorio Migranti nell’estate del 2017, perché ritenute non in linea con le linee operative allora fornite dal Ministero, che indicavano come modello da seguire quello degli Sprar. Nel giugno 2019 molte realtà veronesi e singoli cittadini e cittadine sottoscrissero un appello che ne chiedeva la sua immediata chiusura. Un anno prima, l’11 giugno 2018, era morto per arresto cardiaco Eso Matthew, 39enne nigeriano. L’ambulanza in codice rosso – ricorda l’Osservatorio Migranti – impiegò quasi un’ora per raggiungere il posto.

In seguito alla mobilitazione delle realtà antirazziste veronesi gli ospiti furono spostati in altri CAS, ma la Prefettura considerò impossibile chiudere Vaccamozzi a causa della scarsità di posti di cui disponeva per l’accoglienza straordinaria. Si impegnò però affinché la permanenza in quel CAS fosse solo transitoria, riconoscendo l’effettiva marginalità del luogo.

«Ma ciò non è avvenuto e i richiedenti protezione internazionale sono ancora costretti a permanere in quel centro per lunghissimi mesi, anche anni. Al momento vi vivono 37 persone» spiega Daniele Todesco, coordinatore dell’Osservatorio Migranti.

Che proprio di fronte ad una situazione di tale confinamento delle persone, ha deciso il 23 febbraio scorso di inviare una nuova lettera al Presidente della Repubblica Mattarella e di riportare l’attenzione su quello che risulta essere uno dei centri più isolati dell’intera regione. L’Osservatorio Migranti porta alcuni esempi di cosa vuol dire vivere a Vaccamozzi: «Parlare di integrazione è impossibile, e non stupisce infatti che sia il centro con il più alto indice di abbandoni della provincia. Non sorprende che nessuno parli italiano, che rari abbiano trovato lavoro. A seguito delle nevicate, gli ospiti sono rimasti isolati e nel mese di dicembre per 4 giorni sono rimasti senza gas. La struttura non era adeguatamente riscaldata, in alcuni ambienti ci sono 15 gradi, con un massimo di 17. I presidi sanitari sono pressoché irraggiungibili. L’accesso a qualunque servizio è reso difficile se non impossibile. Le possibilità di lavoro e la conseguente autonomia, impraticabili».

«In questi giorni – spiega Daniele Todesco – abbiamo avuto modo di avere numerosi feed back con gli ospiti compreso l’invio di foto e filmati. Ne emerge una situazione di desolante trascuratezza gestionale che si trascina da lungo tempo. L’isolamento risulta l’elemento più pesante e penalizzante. Anche dal punto di vista economico. Per scendere a Verona devono spendere 4 euro all’andata e 5,60 al ritorno (combinazione bus urbano o metropolitano) per non parlare dell’eventuale necessità di prendere poi un altro pullman per raggiungere il posto di lavoro. Chi li rimborsa per tali viaggi, quando non hanno risorse economiche per farvi fronte? Con il pocket money riescono a garantirsi a mala pena un viaggio settimanale».

«Oltre allo svantaggio dell’isolamento – osserva Todesco – non viene proposta nessuna attività di informazione ad esempio sulla realtà italiana, tanto meno corsi di italiano e informazione giuridica. Il vestiario consegnato all’arrivo (se consegnato) è del tutto insufficiente. La lontananza dalla città impedisce loro di rifornirsi autonomamente anche nei vari punti di distribuzione sociale. In questi giorni un gruppo di volontari collegati all’Osservatorio li ha riforniti di scarpe, maglie e giacche più appropriate. L’inadeguatezza è apparsa lampante. Il mangiare risulta, a detta dei richiedenti, scarso nella quantità, qualità e varietà. Non è previsto per chi rientra fuori orario la possibilità di riscaldarlo o avere modo di farlo per altre esigenze che possono sorgere durante la giornata. Anche l’igiene e la cura del luogo lasciano a desiderare. Mancano sapone e shampoo, e non viene effettuato il cambio delle lenzuola e federe che appaiono, nella documentazione inviataci, addirittura del tutto assenti. Cuscini e materassi appaiono sporchi e in cattivo stato. Alcuni ambienti appaiono con scarsa manutenzione, mancanza di maniglie e serrature di chiusura nei bagni, specchi e porte da sistemare».

Anche dal punto di vista sanitario e psicologico ci sono molte preoccupazioni. «Manca una periodica possibilità di un passaggio di un medico e di incontro con figure sanitarie, supportate da mediatori linguistici e culturali – sottolinea il coordinatore dell’Osservatorio -. Sono infatti garantiti gli accompagnamenti per alcune situazioni, ma spesso i richiedenti vengono poi lasciati a se stessi, costretti a pagarsi le terapie e i farmaci. La situazione di isolamento ed inattività incentiva il sorgere di depressione e malattie psicosomatiche a cui non si è prestata sufficiente attenzione. Molti presentano questo profilo. Vale la pena di ricordare il calvario che li ha condotti fino a qua dal loro paese di origine.
Abbiamo verificato di persona la grande difficoltà di comunicazione per la mancanza di mediatori culturali. Spesso si spera, per comunicare, di trovare qualcuno degli ospiti che parli inglese o che faccia da ponte tra l’urdu e il bengali. Ma sono presenti anche altre lingue come arabo, francese ecc. Una sorta di babele che talvolta, tramite intrecci fortunati riesce a comunicare, ma non ad avviare una reale e reciproca comprensione. Solo si presume di capirsi. I richiedenti lamentano la scarsa presenza degli operatori. Infine, pur essendoci già stato presso il CAS una drammatica esperienza con un morto e pur se recentemente più volte l’ambulanza abbia dovuto soccorrere gli ospiti, non è previsto un piano per le emergenze».

«Tutto ciò è in netto contrasto a quanto previsto dal 1° comma dell’art. 10 del Decreto Legislativo 18 agosto 2015, n.142, che prevede che i centri garantiscano la tutela della salute fisica e mentale dei richiedenti. Gli stessi operatori si sono ritrovati ad operare in una situazione assurda, quasi di segregazione, in un luogo che rappresenta a tutti gli effetti una lesione dei diritti fondamentali della persona sanciti dalla Costituzione e dalle dichiarazioni internazionali», conclude Todesco.

L’Osservatorio Migranti di Verona, dopo un incontro in Prefettura che si è svolto il 7 marzo, è riuscito a strappare la promessa che alcune delle persone vulnerabili e un ragazzo visibilmente minorenne venissero trasferiti. Ma questa promessa è evidente che non può essere sufficiente di fronte ad una situazione che coinvolge tutti i richiedenti asilo accolti. Il Prefetto non può lavarsi la coscienza sostenendo di non riuscire a reperire altre strutture idonee all’accoglienza. Pur nella consapevolezza che il tema dell’accoglienza non investe solo un determinato territorio bensì l’intera Regione, ed è lo specchio delle politiche nazionali concentrate soprattutto nel come sprecare risorse economiche per bloccare le migrazioni, invece che investire nell’accoglienza. Dal 2019 a oggi c’era tutto il tempo necessario per pianificare con i sindaci della provincia veronese un modello di accoglienza che non contemplasse luoghi così isolati. Seppure di fronte ci siano sindaci leghisti che fanno ostruzionismo o formazioni fasciste che in passato hanno usato l’apertura di nuovi centri per raccogliere qualche misero seguace. Anche se garantire un’accoglienza degna ai richiedenti asilo non è una delle priorità di Zaia. Il CAS di Vaccamozzi va immediatamente chiuso per non riaprire mai più.

Stefano Bleggi

Coordinatore di  Melting Pot Europa dal 2015.
Mi sono occupato per oltre 15 anni soprattutto di minori stranieri non accompagnati, vittime di tratta e richiedenti asilo; sono un attivista, tra i fondatori di Libera La Parola, scuola di italiano e sportello di orientamento legale a Trento presso il Centro sociale Bruno, e sono membro dell'Assemblea antirazzista di Trento.
Per contatti: [email protected]