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La CEDU condanna l’Italia per violazioni nella detenzione di migranti nell’hotspot di Lampedusa e il loro rimpatrio

Hanno subito "trattamenti inumani e degradanti" e "un'espulsione collettiva"

La Corte europea dei diritti dell’uomo, nel caso di J.A. e altri c. Italia (ricorso n. 21329/18) ha di nuovo condannato l’Italia per il trattenimento nel centro “Hotspot” di Lampedusa, ed ha dichiarato, all’unanimità, che si sono verificate le seguenti violazioni:

  • dell’articolo 3 della normativa europea Convenzione sui diritti umani: divieto di trattamenti inumani o degradanti;
  • dell’articolo 5 §§ 1, 2 e 4: diritto alla libertà e alla sicurezza;
  • dell’articolo 4 del Protocollo n. 4 allegato alla Convenzione europea a salvaguardia dei diritti dell’Uomo: divieto di espulsione collettiva degli stranieri.

Il caso riguardava la presenza dei ricorrenti, cittadini tunisini presenti nell’ottobre del 2017 presso l’”hotspot” sull’isola di Lampedusa, dove erano stati condotti dopo essere stati salvati da una nave italiana nel Mar Mediterraneo. Come riportano le agenzie di stampa, gli stessi ricorrenti erano stati trasferiti poi a Palermo in aereo. Durante il volo le fascette ai polsi per tenerli bloccati erano state rimosse e poi rimesse all’aeroporto di Palermo. Una pratica denunciata anche dal Garante nazionale per i diritti dei detenuti nel novembre del 2017, dopo i monitoraggi effettuati nell’aeroporto di Punta Raisi. Una volta lì, i ricorrenti avevano incontrato un rappresentante del consolato tunisino che registrava le loro identità e, lo stesso giorno, il 26 ottobre 2017, venivano respinti in Tunisia con accompagnamento forzato e scorta di polizia in aereo.

La Corte di Strasburgo ha rilevato in particolare che il governo italiano non ha dimostrato la infondatezza delle accuse secondo cui le condizioni nell’hotspot di Contrada Imbriacola erano inadeguate, e che il trattenimento in quel luogo doveva essere considerata una forma di detenzione che non era stata decisa in base ad provvedimento conforme a legge. I ricorrenti lamentavano in particolare di non avere potuto ottenere copie dei provvedimenti di respingimento differito adottati dalla Questura di Agrigento.

La Corte europea aggiunge alle ragioni della condanna la circostanza che non era stato concesso alcun termine per comprendere la portata dei provvedimenti adottati nei loro confronti e fare valere eventuali ricorsi giurisdizionali; ma soprattutto che le singole situazioni dei ricorrenti non erano state valutate individualmente prima che fossero emessi i provvedimenti di respingimento, che di fatto equivalevano per questa ragione ad un’espulsione collettiva vietata.