Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
PH: Laura Pagliari

A Udine con «Ospiti in arrivo» e il loro supporto alle persone in transito

Le storture di un sistema che non garantisce la possibilità di conoscere i propri diritti

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La rotta di terra che dalla Slovenia attraversa il Friuli non si è fermata durante questo inverno. Stando alle dichiarazioni delle reti di attivismo che operano nelle città di confine, complice di questi arrivi è stato un inverno particolarmente mite, salvo brevi frangenti; e non solo in Friuli Venezia Giulia, ma anche nei Balcani, in cui le condizioni meteorologiche, solitamente proibitive, negli anni scorsi costringevano buona parte delle persone migranti a dei periodi di sosta nei campi profughi ufficiali o informali, localizzati tra la Bosnia, la Serbia e la Croazia.

Sebbene Udine rimanga piuttosto marginale rispetto a città più esposte al confine, l’équipe di strada di Ospiti in Arrivo, riattivatasi lo scorso ottobre dopo vari anni, negli scorsi mesi non si è mai fermata, sostenendo fino allo scorso dicembre anche le realtà più coinvolte dagli arrivi, tra Gorizia e Gradisca d’Isonzo.

Come di consueto, la maggior parte delle persone migranti, solitamente giovani uomini adulti, si sono concentrate a Trieste. «Trieste è l’ingresso della rotta balcanica in Italia», spiegano le volontarie; delle rotte, per essere precisi: non c’è un’unica strada. Il percorso che risale i Balcani, dalla Turchia all’Italia e poi oltre, si dipana in decine di percorsi, spesso adeguandosi alla capillarità e agli appostamenti delle polizie di frontiera. «Una prima rotta arriva in Friuli da Zagabria passando per Rijeka; c’è poi la rotta che da Lubiana arriva a Gorizia. Qui arriva un flusso residuale, persone che solitamente sono passate per Tarvisio e Cividale del Friuli, o che sono penetrate in Italia da Trieste e poi hanno preso un treno per Udine».

PH: Laura Pagliari

L’équipe di strada di Ospiti in Arrivo, monitorando gli arrivi e studiandone i movimenti ricorrenti, ha individuato gli orari in cui ha senso essere in strada. Con il the caldo e il pentolone della zuppa, aspettano il treno che da Trieste arriva a Udine alle 21:52. «Si tratta di transitanti», spiega Micol Sperandio. «Transitanti che da Udine prendono ben presto un altro treno per Milano, e poi puntano al Nord Europa».

Intercettare le persone in transito direttamente in strada, e non dentro i centri di accoglienza ufficiali o i canali istituzionali di identificazione e accoglienza, è un’opportunità per testare anche le modalità di applicazione e l’efficacia dei dispositivi giuridici europei in materia di migrazioni; le volontarie di Ospiti in Arrivo riportano che gran parte dei migranti intercettati in Slovenia richiedono asilo per evitare l’espulsione e vengono così inseriti in un grande centro di accoglienza per richiedenti asilo situato a Lubiana.

Il loro progetto, tuttavia, non è di restare in Slovenia. «Tempo di farsi una doccia e di riposare per un paio di giorni, e poi partono per Trieste». Nessuno impedisce loro di lasciare l’accoglienza; ma se, come da regolamento, le loro impronte rilasciate in Slovenia venissero effettivamente inserite in Eurodac, il database condiviso e interoperabile da tutti gli stati membri, in futuro questi migranti potrebbero dover fare i conti con i vincoli imposti dalla Convenzione di Dublino. Il rischio è che, una volta arrivati in Nord Europa, debbano tornare in Slovenia, o comunque nel primo paese in cui hanno formalizzato la richiesta di protezione.

«È sempre successo: qui a Udine abbiamo sempre incontrato un sacco di dublinati, che tornavano qua o che ripassavano di qua». Il Dublino, dispositivo normativo che si esprime sullo stato competente a esaminare le richieste di asilo, stabilisce che il migrante resti nel territorio del primo stato membro in cui ha fatto richiesta di asilo fino al momento dell’esito; se dunque la richiesta di asilo venisse ripetuta successivamente in un altro stato, tramite le impronte digitali la doppia richiesta verrebbe intercettata dal capillare sistema europeo di gestione e controllo dei dati dei migranti. In tal caso, la persona migrante potrebbe essere costretta a tornare nel primo paese in cui ha espresso formale richiesta di protezione. Ma non si tratta solo di questo: quando scatta il Dublino, la persona dublinata ha diritto di fare ricorso, ma questa procedura potrebbe richiedere mesi prima di dare un esito: mesi e mesi di attesa che si sommano a quelli già messi in conto per l’ottenimento di una forma di protezione.

PH: Laura Pagliari

Ma non si tratta soltanto di rotte balcaniche: anche persone sbarcate a Lampedusa si ritrovano a Udine, o nelle più diverse città d’Italia, «sballottate da un centro di identificazione all’altro», spinte al nord dalle voci di connazionali sulla presunta rapidità delle pratiche di regolarizzazione – salvo, poi, venire smentiti dalla realtà.

Ospiti in Arrivo ha registrato 167 arrivi a Udine a gennaio e 174 a febbraio, contro i 90 di dicembre.

Nonostante circa la metà di questi arrivi abbiano solo transitato in regione, questi dati sono coerenti con quelli delle altre porte orientali, dal Carso triestino alle montagne del tarvisiano alle colline di Gorizia: dati ufficiali riportano che tra il primo gennaio e il 10 marzo un totale di 2.400 persone migranti sono entrate in Italia dal Friuli Venezia Giulia – contro le 900 dell’anno scorso nello stesso periodo di tempo.

Quelli che intendono fermarsi e richiedere protezione, poi, subiscono spesso l’arbitrarietà delle prassi tra Questure e Prefetture. Normalmente, in sede di identificazione i migranti giunti a piedi dai Balcani ricevono dalla Questura una dichiarazione di indigenza e un appuntamento ufficiale per formalizzare la richiesta di protezione. «Se sei stato dichiarato indigente, la Prefettura deve garantirti accoglienza fino al momento della formalizzazione della tua richiesta di protezione», continua Micol. L’organo che dovrebbe occuparsi di questo è la Prefettura, avvalendosi della dichiarazione di indigenza rilasciata dalla Questura. «Ma la Cavarzerani è stata per mesi molto oltre i limiti di capienza. Per un certo periodo, le pratiche di accoglienza e richiesta di protezione sono state procrastinate: molti nuovi arrivati sono usciti dalla Questura col solo appuntamento per la richiesta di asilo».

Senza dichiarazione di indigenza, però, la Prefettura non garantisce alcuna forma di accoglienza. Tutte queste persone, che non avevano ancora richiesto l’asilo ma erano già state identificate e inserite nei canali giuridici per farlo, hanno dormito in strada anche per due settimane.

PH: Laura Pagliari

«Ogni giorno tornavano in Questura per richiedere la dichiarazione di indigenza, e ogni giorno venivano rimandate indietro a mani vuote». I migranti cui la Questura ha negato l’accoglienza, poi, si sono appoggiati alle reti di supporto alternative a quelle statali; nonostante nascano per colmare i vuoti delle amministrazioni, sono spesso proprio questi interventi a essere strumentalizzati dalle istituzioni per negare l’accoglienza. Le volontarie dell’équipe raccontano di un ragazzo cui era stata negata l’indigenza; la Questura di Udine lo aveva ritenuto «troppo pulito e ben vestito per ottenerla». Eppure, se il ragazzo era in buone condizioni lo si doveva solo alle reti di solidarietà che gli avevano procurato del vestiario nuovo; ma non aveva mezzi propri, né un posto dove dormire. «Era a tutti gli effetti indigente. Noi gli portavamo tutte le sere cibo e coperte, dormiva in stazione», raccontano le volontarie.

Sebbene la Cavarzerani, centro di prima accoglienza per richiedenti asilo ricavato da un’ex caserma di Udine Est, sia ancora satura, nell’ultimo periodo la situazione in strada sembra essere rientrata. «In stazione non incontriamo più migranti con invito in Questura. Evidentemente, riescono a entrare in accoglienza». Non è stato raro, però, che i volontari e le volontarie di Ospiti in Arrivo abbiano supportato i ragazzi incrociati per strada, confusi riguardo ai documenti rilasciati da questure e prefetture e del tutto all’oscuro dell’iter per richiedere asilo in Italia.

«Ad oggi, una vera informativa legale sull’asilo non viene svolta mai», aveva dichiarato Caterina Bove, avvocata specializzata in diritto dell’immigrazione e di asilo, vincitrice, insieme ad Anna Brambilla, del ricorso che per un lungo periodo aveva posto fine alla pratica illegale delle «riammissioni informali» proprio sul confine italo-sloveno. La rete di Ospiti in Arrivo registra continuamente queste lacune quando scende in strada, e il suo sportello legale tenta di offrire un orientamento nel tunnel dei regolamenti, tra prassi che spesso divergono dalla normativa, tra cavilli e contro-cavilli giuridici che possono vanificare o rallentare delle procedure già avviate.

«La zuppa è una scusa», raccontano. «Un modo per agganciare i ragazzi che incontriamo e tentare di ricostruire la loro condizione»; e mettere nelle loro mani degli strumenti per districarsi autonomamente nella complessità burocratica e sociale del sistema italiano. È una forma di presenza quantomai fondamentale, specie in quest’ambito.

Le migrazioni, infatti, rischiano di subire narrazioni umanitarie eccessivamente assistenziali, che spossessano le persone migranti della propria volontà di autodeterminarsi e le riducono a persone da sfamare o rivestire. Di qui, l’organizzazione della scuola di italiano aperta per tre volte a settimana a tutti gli stranieri e le straniere stanziali. Quando è necessario, poi, i volontari cercano delle vie di mediazione con le istituzioni per velocizzare o avviare le procedure di asilo e accoglienza.

«Quando in strada incontriamo persone non ancora identificate, che intendono richiedere protezione e restare in Italia, proviamo a metterci in contatto con la Questura via PEC o accompagniamo personalmente i ragazzi affinché ottengano l’identificazione». Senza queste forme di mediazione, specie nei periodi di maggior lentezza delle istituzioni, a molti ragazzi migranti sembrano preclusi perfino i passaggi fondamentali per la regolarizzazione; è un fatto che fa riflettere su come e fino a che punto la mancanza di uno status giuridico squalifichi i migranti in termini di accesso ai più fondamentali diritti.

Di fronte a tale asimmetria tra le istituzioni e le persone che arrivano in Italia con nient’altro che il proprio corpo, diventa necessario un atto di forza da parte di un soggetto terzo, che abbia sufficiente potere per rivendicare dei diritti di cui le persone migranti non sono messe neanche nelle condizioni di conoscere l’esistenza. Diritti evanescenti dunque, che altre mani possono staccare e attaccare sui corpi delle persone, spesso in maniera discrezionale, o obbedendo a prassi messe a punto per strozzare la libertà di movimento dentro le maglie del potere istituzionale.

Rossella Marvulli

Ho conseguito un master in comunicazione della scienza. Sono stata a lungo attivista e operatrice nelle realtà migratorie triestine. Su Melting Pot scrivo soprattutto di tecnologie biometriche di controllo delle migrazioni sui confini europei.