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PH: Moria White Helmets
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Grecia. Solidarietà e lotte auto-organizzate a “Moria”

L'intervista a Moria White Helmets e Now You See Me Moria

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Pensare la Resistenza verso il 25 aprile

«Non dimenticate le persone rifugiate e sosteneteci. Non con i soldi. Ma state dalla nostra parte. Questo è un messaggio da Lesbo»: così mi ha salutato Raid, dei Moria White Helmets. Con lui e Noemi, una delle co-fondatrici del progetto Now You See Me Moria, abbiamo parlato di come la solidarietà europea, per esprimersi al meglio, debba mettere al centro della conversazione le persone rifugiate e le loro lotte.

Negli ultimi anni l’isola di Lesbo si è trasformata in un laboratorio di politiche migratorie carcerarie. Il famigerato campo di Moria, raso al suolo da un incendio nel 2020, ha incarnato il peggio dell’Unione Europea e del trattamento riservato a richiedenti asilo. In risposta a questa ennesima manifestazione di razzismo istituzionale, a Lesbo sono emerse diverse forme di solidarietà europea. Purtroppo, quello che si è imposto è stato l’approccio caritatevole, la cinica rappresentazione di rifugiatə e richiedenti asilo come disperatə bisognosə dei servizi che ciascuna ONG offriva.

Ho voluto intervistare Moria White Helmets e Now You See Me Moria perché entrambi i progetti rappresentano un paradigma completamente diverso di come le società europee potrebbero sostenere le persone rifugiate e richiedenti asilo.

Entrambi inseriscono la parola “Moria” nel proprio nome, anche se il campo non esiste più. Si tratta di una scelta consapevole, perchè Moria è diventata l’archetipo di un luogo di oppressione, dove si materializzano i sistemi di confine e di razzismo. Un luogo contrastato, resistito, dalle persone che cerca di intrappolare, dove il calendario è sempre fissato alla stessa data: 25 aprile.

Raid mi racconta come Moria White Helmets siano nati nel marzo 2020, nel campo di Moria, da un gruppo di rifugiatə. Il gruppo cercava di reagire a tre diverse pressioni.

La prima era l’inadeguatezza estrema del campo in cui vivevano, che all’epoca ospitava oltre 20.000 persone, a fronte di una capienza massima di 2.800. «Era orribile», riassume Raid.

La seconda pressione: le ONG avevano sospeso le loro attività perché erano attaccate indiscriminatamente dai fascisti locali. In questo modo, i rifugiati si sono ritrovati da un giorno all’altro senza un supporto vitale.

La terza pressione era la pandemia, che il gruppo voleva contrastare in assenza di un qualsiasi interessamento istituzionale. Hanno iniziato diffondendo messaggi di sensibilizzazione sul Covid-19 e raccogliendo rifiuti all’interno del campo. Moria White Helmets ha organizzato fino a 250 volontarə ed è diventato uno dei fornitori di servizi più affidabili, completamente auto-organizzato dalla comunità.

Ad oggi, Moria White Helmets organizza moltissime attività nel campo di Mavrovouni (il campo che ha sostituito Moria dopo l’incendio). Tra queste: raccolta dei rifiuti, riciclaggio, falegnameria, barbiere, salone di bellezza, riparazione di biciclette, corsi di educazione, elettricità. È stato impressionante sentire Raid parlare di quante attività svolgono.

Now You See Me Moria è nata, e lo è ancora, come piattaforma di advocacy per rifugiatə e richiedenti asilo, attraverso la quale possono interfacciarsi direttamente con il pubblico europeo e denunciare le condizioni di accoglienza. Il progetto analizza la produzione di conoscenza e cultura visiva relativa alle questioni migratorie come costruita e filtrata da fotografə, politicə, giornalistə, ecc. europeə: mai dalle persone stesse con un percorso migratorio.

Noemi mi ricorda come qualsiasi ricerca su Google con «rifugiatə» o «migrante» come parole chiave, anche al giorno d’oggi, dimostri quanto la nostra cultura abbia costruito un’immagine stereotipata del/della migrante, come estremamente vulnerabile e disperatə.

Noemi si è messa in contatto su Facebook con Amir, un richiedente asilo che pubblicava sulla sua bacheca foto a testimonianza delle indecenti condizioni di accoglienza. Hanno iniziato il progetto insieme, su Instagram. Il profilo ora veicola le rivendicazioni e le testimonianze della comunità rifugiata e migrante: le persone postano direttamente i propri contenuti, attraverso i quali denunciano che il cibo ricevuto è immangiabile, che i loro figli vivono dietro a recinzioni e non frequentano la scuola, che il sistema sta creando traumi psicologici profondi, …

I due progetti operano indipendentemente l’uno dall’altro. Tuttavia, è chiaro che Noemi e Raid condividono la stessa concezione di solidarietà, lo stesso sguardo critico verso la maggior parte delle ONG e che hanno opinioni simili su come l’attuale sistema di accoglienza stia completamente inadeguato. Il rapporto che le due associazioni hanno con le autorità è invece diverso.

Entrambi i progetti devono affrontare un problema strutturale quando si relazionano con l’autorità pubblica: il fatto di non avere uno status o un riconoscimento ufficiale, né certificati, nonostante siano ampiamente accreditati per essere tra le associazioni più genuine e connesse con la comunità. Tuttavia, Moria White Helmets ha una relazione funzionante con le autorità locali. Ad esempio, collabora con il reparto elettrico del campo.

Now You See Me Moria, invece, è in diretto conflitto con le autorità. Il campo di Mavrovouni è un campo semi-chiuso, dove è difficile per le persone esterne entrare e documentare, e dove la mobilità dei e delle residenti è limitata (ad esempio, dal coprifuoco). Il lavoro di documentazione e denuncia di Now You See Me Moria è tanto più importante quanto preso di mira dalle autorità. Il progetto dà la possibilità a persone rifugiate e persone migranti di diventare giornalistə/attivistə di se stesse, e lo fanno anche se devono affrontare la criminalizzazione e le ritorsioni da parte delle autorità. Noemi infatti mi ricorda che le autorità hanno reso illegale scattare foto all’interno del campo (un esempio concreto: una persona non può fotografare la casa in cui vive), e ci sono stati casi di molestie con telefoni confiscati e distrutti.

Entrambi i progetti considerano in modo estremamente negativo la costruzione della nuova struttura di ricezione a Lesbo, Vastria.

Si tratta di uno dei 5 nuovi CCAC: Centri chiusi ad accesso controllato (Closed Controlled Access Centers). Finanziati dall’Unione Europea (l’UE tiene sempre molto ai credits). Il costo complessivo dei cinque CCAC, una volta completati, è di 260 milioni di euro. Sono costruiti in media a 14 km di distanza dal centro abitato più vicino 1. Il campo di Vastria è a 36 km dal villaggio più vicino, è costruito in una foresta a grande rischio di incendi e utilizzerà sistemi di sorveglianza ad alta tecnologia per controllare il movimento delle persone rinchiuse. La parola che sia Raid che Noemi usano per descriverlo non lascia spazio a ambiguità: “prigione“. Now You See Me Moria sostiene una campagna, “Nessun bambinə in prigione“, che cerca di sensibilizzare il pubblico europeo su questo ennesimo progetto di segregazione. Raid fa notare che la comunità di persone rifugiate e persone migranti è unanimemente contraria a Vastria.

I modelli di solidarietà sono il prossimo argomento delle nostre conversazioni. Non c’è molta solidarietà di cui parlare da parte del governo, che ha fallito anche nel fornire i servizi più essenziali. Il cibo, per esempio: Now You See Me Moria documenta bene come Elaitis, la società di catering appaltata dal governo, fornisca ogni giorno migliaia di porzioni immangiabili (Il progetto sostiene che solo un livello diffuso di corruzione può spiegare la situazione).

Ci concentriamo invece sul modo in cui le ONG, soprattutto quelle più grandi, operano nei vuoti lasciati dalle istituzioni, in nome della “solidarietà” con persone rifugiate e persone migranti. Sia Noemi che Raid hanno un occhio critico nei confronti di questi attori, al punto che a volte li accomunano a soggetti più istituzionali come gli attori delle Nazioni Unite o addirittura le autorità statali.

Ad esempio, Raid afferma che molte entità che offrono servizi alla comunità rifugiata spreca soldi, perché “inventano soluzioni difficili, noi abbiamo soluzioni semplici ed efficaci“. Parla dei corsi di lingua che Moria White Helmets organizza due volte al giorno, sei giorni alla settimana, e che si dimostrano molto più frequentati rispetto a quelli di UNICEF, mi spiegano. Questi ultimi si trovano in città, mentre le persone preferiscono frequentare corsi di lingua all’interno del campo stesso ed avere come insegnante un membro della propria comunità. Inoltre, le grandi organizzazioni devono sostenere notevoli costi (chiamati costi indiretti o costi di struttura) – tutti soldi che non vanno a finire dove dovrebbero.

La critica più forte che entrambi i progetti muovono alla maggior parte delle ONG è che esse sono parte del problema, perché l’atto di portare aiuti umanitari non è neutrale. Può degradare l’autonomia di persone che sono in grado e vorrebbero mantenersi da sole. Questo ha conseguenze sul benessere individuale, poiché ricevere passivamente aiuti impatta la salute mentale delle persone.

Molte ONG – dicono – seguono un ciclo ben noto: inviare volontari/e internazionali ben intenzionate, far svolgere loro lavori che rifugiatə e persone migranti potrebbero fare da sole (come scavi o pulire vestiti), scattare foto dei bambinə sorridenti (o mentre piangono) e incassare le donazioni che ne conseguono. Questo ciclo sostiene una macchina che è a tutti gli effetti un’azienda, con dirigenti che siedono in uffici europei, prendono regolarmente voli per “andare sul campo“, e poi tornare.

Al contrario, Now You See Me Moria ha deciso di lasciare rifugiatə e persone migranti il diritto di auto-rappresentarsi e non ha fissato quasi nessuna regola, se non quella sui volti di bambinə. I volti non dovrebbero mai essere riconoscibili – afferma Noemi – per proteggere la loro privacy, la loro capacità decisionale quando saranno persone adulte e per rispettare il loro diritto a non essere sfruttatə per la raccolta di fondi. Allo stesso modo, Raid chiarisce che Moria White Helmets non è contro la solidarietà internazionale, anzi “ci piacciono lə volontariə“. Ma contesta un sistema gerarchico in cui le persone internazionali performano lavori insignificanti in nome del miglioramento della vita della comunità rifugiata. Preferirebbe un rapporto paritario in cui le persone “vengono, mangiano, bevono, condividono con noi“.

L'”aiuto” dovrebbe provenire dall’interno, dalla stessa comunità rifugiata e migrante – questo è stato il leitmotiv delle nostre conversazioni. Entrambi i progetti hanno sottolineato come il sistema di accoglienza dovrebbe rafforzare il mutualismo e l’auto-organizzazione di rifugiatə e persone migranti, al contrario di quanto avviene ora. Lo scambio con Moria White Helmets mi ha permesso di capire che non solo l’associazione porta servizi nel modo più efficace dove sono più necessari, rispettando l’autonomia e la capacità decisionale della comunità coinvolta. Porta anche servizi allə altrə residenti dell’isola, mettendo sottosopra il paradigma di aiuto umanitario. Ad esempio, gli addetti alle pulizie del progetto supportano il Comune nella raccolta dei rifiuti fuori dal campo una volta alla settimana. Lavorano anche con gli insegnanti delle scuole comunali per incoraggiare lə alunnə a riciclare, un problema enorme per la Grecia. E tutti i loro servizi sono aperti e gratuiti per chiunque, non solo per la comunità migrante. È così che anche le addette e gli addetti alle pulizie o le guardie ufficiali del campo utilizzano servizi quali il barbiere.

Now You See Me Moria struttura la stessa analisi. Noemi sottolinea che un modo efficace per accogliere le persone nell’Unione Europea è ripristinare la loro autonomia, che è un diritto fondante: se non lo si ha, difficilmente si può godere degli altri. Si oppone a un sistema che “vuole controllare” le persone, “annullandole“. Come Raid, Noemi non chiede donazioni. Dice che il cambiamento non verrà dalla classe politica, ma potrà solo partire dalla società, e che il motivo per cui in Europa ci sono campi chiusi – prigioni – è che la società lo ha accettato. Il suo appello è immediato: ogni individuo ha la possibilità di andare contro questo sistema, ogni iniziativa, grande o piccola, è uno spazio di opportunità e resistenza.

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  1. Statement: One year since Greece opened new “prison-like” refugee camps, NGOs call for a more humane approach

Pietro Desideri

E se i confini non esistessero? Cerco di trovare risposte (spoiler: si starebbe meglio). Lavoro in programmi di cooperazione internazionale, dove porto una prospettiva anticoloniale e antirazzista.
Ho approfondito le tematiche legate all'asilo e all'immigrazione vivendo a Lesbo, in Grecia. Ho partecipato a una missione SAR con l'associazione RESQSHIP, a bordo della Nadir. Mi piace il copyleft e Banksy.
Per contattarmi: [email protected]