Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
/

La Cassazione solleva questione di legittimità costituzionale sulla limitazione dell’assegno sociale a lungosoggiornanti

Corte di Cassazione, ordinanza n. 6979 dell'8 marzo 2023

L’Assegno sociale, istituto dalla l. 335/1995 all’art. 3 co. 6, può essere fruito dai cittadini italiani e UE residenti in Italia che abbiano compiuto 67 anni e che risultino in possesso di risorse economiche inferiori alla legge. Il beneficio è stato successivamente esteso alle persone extra UE purché titolari della carta di soggiorno, oggi permesso per lungo soggiornanti (art. 80 comma 19 L. 388/2020 nonché circolare INPS n. 82 del 21.04.2000). La Corte di Cassazione, con ordinanza dell’8 marzo 2023, ha sollevato questione di costituzionalità con riferimento alla legittimità di questo requisito.


La misura dell’assegno sociale, prevista per coloro che non potevano fruire di un trattamento pensionistico, ha subito, dalla sua istituzione in poi, restrizioni a danno delle persone con cittadinanza extra UE. L’art. 20 comma 10 del D.L. 112/2008 (convertito in L 133) ha infatti introdotto il requisito del soggiorno legale in via continuativa per almeno 10 anni nel territorio nazionale.

I requisiti problematici per i cittadini e le cittadine extra UE sono dunque due: il permesso per soggiornanti di lungo periodo e 10 anni di residenza.

La Corte Costituzionale, con la sentenza 50/2019 ha ritenuto costituzionalmente legittimo il primo requisito, affermando che quest’ultimo non viene assorbito da quello di 10 anni di residenza ed entrambi devono sussistere. La Corte aveva inoltre concluso per la ragionevolezza del requisito, collocando la risposta alla povertà dell’anziano al di fuori del nucleo di bisogni essenziali e valutando la limitazione conforme all’art. 3 Cost. perché l’assegno sociale costituisce un “sostegno da parte della collettività nella quale (i beneficiari) hanno operato (…), che è anche un corrispettivo solidaristico per quanto doverosamente offerto al progresso materiale o spirituale della società”.

La Corte Costituzionale aveva dunque applicato la logica della corrispettività, logica che in qualche maniera ha richiamato anche nella sentenza 19/2022 in materia di Reddito di cittadinanza.

La decisione della Consulta non ha tuttavia risolto il problema della compatibilità dei requisiti succitati con il diritto dell’Unione Europea, (anche perché il Giudice remittente aveva ritenuto che la direttiva 98/2011 non trovasse applicazione in materia di assegno sociale), mentre l’assegno sociale ben rientra, a nostro avviso e ad avviso della Cassazione, nell’ambito di applicazione del Regolamento 883/2004 (prestazioni di sicurezza sociale) e dunque dell’art. 12 della direttiva 98/2011.

Il contenzioso è infatti proseguito nei Tribunali di merito fino ad arrivare alla Corte di Cassazione che ha deciso di rimettere nuovamente la questione al giudice delle leggi a distanza di pochi anni.

La Cassazione ha dovuto ovviamente tener conto della sentenza CGUE relativa all’assegno di natalità e alla indennità di maternità (2.9.2021,  C-350/2020), sentenza relativa a prestazioni del tutto estranee alla “posizione di lavoratore” e alle quali, ciònondimeno, l’art. 12 trova applicazione proprio in considerazione del più ampio campo di applicazione della direttiva stessa ovverosia con riferimento anche alle prestazioni familiari.

Per la verità alla stessa conclusione avrebbe potuto giungersi anche in precedenza,  posto che già la prima sentenza relativa agli effetti dell’art. 12, lettera e) sull’ordinamento italiano (la sentenza Martinez del 21.6.2017 C- 449/16)  riguardava anch’essa una prestazione del tutto estranea alla condizione di lavoratore (l’assegno famiglie numerose ex art. 65 L. 448/98): ma non vi è dubbio che il consolidarsi della giurisprudenza eurounitaria sul punto non lasciava più margini  sul punto.

A questo la Corte di Cassazione ha aggiunto la considerazione – del tutto ignorata nelle precedenti pronunce, anche di merito – che l’assegno sociale è stato incluso dall’Italia nell’allegato X, cioè in quell’allegato cui si riferisce l’art. 70 del Regolamento 883/04, a sua volta richiamato dall’art. 3 del regolamento stesso, a sua volta richiamato dal citato art. 12 della direttiva: difficile dunque ritenere, nonostante la complessità dei successivi richiami, che l’assegno sociale esuli dall’ambito di applicazione ratione materiae del Regolamento e dunque della direttiva.

Sulla questione dei 10 anni è invece intervenuto l’INPS con il messaggio n. 1268 del 3 aprile 2023 specificando che la maturazione del requisito di 10 anni di residenza deve ritenersi interrotta in caso di assenza dal territorio dello Stato italiano per un periodo uguale o superiore a sei mesi consecutivi o per dieci mesi complessivi in un quinquennio. Sono state previste eccezioni a tale interruzione per gravi e comprovati motivi. In realtà la questione dell’allontanamento dal territorio nazionale quale elemento che comporta la decadenza dal diritto al permesso illimitato era già prevista dal Testo Unico Immigrazione all’art. 9 co. 6, è tuttavia interessante la previsione dell’eccezione per gravi e comprovati motivi.

ASGI - Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione

Nata dall'intenzione di condividere la normativa nascente in tema d’immigrazione da un gruppo di avvocati, giuristi e studiosi, l’ASGI ha, nel tempo, contribuito con suoi documenti all'elaborazione dei testi normativi statali e comunitari in materia di immigrazione, asilo e cittadinanza, promuovendo nel dibattito politico-parlamentare e nell’operato dei pubblici poteri la tutela dei diritti nei confronti degli stranieri ( continua » )