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Steccato di Cutro. I familiari delle vittime del naufragio scavano nella sabbia. PH: Mem.Med
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Melilla, Cutro e Ciudad Juárez: cartografie dell’impunità

di Cristina García de Andoín Martín - El Salto, aprile 2023

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Pubblichiamo questo contributo pubblicato sul quotidiano on line spagnolo El Salto. L'autrice è Cristina García de Andoín Martín, attivista della Caravana Abriendo Fronteras e Ongi Etorri Errefuxiatuak. Ringraziamo Mara Girardi per la traduzione.
PH: Caravana Abriendo Fronteras

Tre luoghi per tre stragi, un Patto tra Stati conto la Migrazione e la parola che svela e si ribella. Il 24 giugno Caravana Abriendo Fronteras e Carovane Migranti, tra gli altri, saranno a Melilla per dare voce ai massacri dello Stato contro il popolo migrante.

Tre immagini recenti. Spiaggia di Cutro, i familiari degli scomparsi scavano nella sabbia con le mani nude tra i resti di un naufragio. Ciudad Juárez, il personale del centro di detenzione di migranti abbandona alla loro sorte le persone rinchiuse dietro le sbarre mentre il fumo e le fiamme occupano poco a poco tutta la scena. Cimitero Sidi Salem, dintorni di Nador. Due familiari, il 31 marzo, scossi da un vento forte e dal rumore incessante delle pale, assistono alla sepoltura di Adam Bakhit, l’unico che finora è stato identificato dalla famiglia e sepolto con dignità dopo quanto accaduto nove mesi fa nel massacro della barriera di Melilla.

Tre luoghi per tre massacri

Nelle prime ore del 26 febbraio, un’imbarcazione partita dalla Turchia con circa 180 persone a bordo, la maggior parte delle quali di origine iraniana, afghana e pakistana, è affondata. Si è spezzata su un banco di sabbia a 150 metri dalla spiaggia di Steccato di Cutro, a pochi chilometri da Crotone, in Calabria. Un mese dopo la strage è stato ritrovato il 91° cadavere (n.d.R. il bilancio è salito a 92 il 1° aprile) , mentre sono ancora molti i dispersi e i non identificati di questo e dei successivi naufragi.

Il 27 marzo, un incendio in un centro di detenzione per migranti a Ciudad Juárez provoca almeno 38 morti e 28 in gravi condizioni. Per lo più provenienti da Guatemala, Venezuela, Honduras e El Salvador, erano stati detenuti per il loro status di migranti o rifugiati e rinchiusi in stanze chiuse con lucchetti in condizioni subumane prima della loro deportazione. L’incendio pare sia scoppiato quando alcuni detenuti hanno bruciato i loro materassi in segno di protesta e disperazione.

Almeno 40 persone sono morte violentemente presso la barriera di Melilla-Nador il 24 giugno, altre 77 risultano ancora disperse e tra queste non si sa ancora quante potrebbero essere tra le 40 vittime accertate. Questo mentre erano sotto il controllo delle forze di sicurezza statali spagnole e marocchine, che continuano ancora oggi a negare il diritto delle famiglie di cercare i dispersi e identificare i cadaveri.

Le incursioni negli insediamenti della foresta si sono ripetute, con strategie sempre più aggressive, provocando una fuga di massa verso la barriera metallica. La comunità maggioritaria era sudanese. L’accerchiamento militare, la violenza usata e la negazione dei soccorsi hanno provocato morti e respingimenti, torture, trattamenti inumani e degradanti.

In tutti e tre i casi, dietro i numeri ci sono nomi, ci sono persone con un progetto di vita, persone importanti per le loro famiglie.

Un Patto mondiale contro la migrazione

Cosa risponderebbe ChatGPT, l’ultimo ritrovato dell’Intelligenza Artificiale (AI), se gli chiedessimo della relazione tra questi tre fatti: indicherebbe mercati di nicchia? Pompe funebri di Stato? Forse un patto globale contro la migrazione o un patto di Stati per l’impunità? Basterebbe l’intelligenza umana e l’empatia per capire, come afferma Juan Hernández Zubizarreta, che “la crisi dei diritti umani sta lasciando il posto a una nuova fase di distruzione e omissione dei diritti umani, mentre la trasversalità dei diritti umani viene sostituita dalla trasversalità dell’impunità“.

La parola che rivela e si ribella

Non si tratta di eventi isolati, né sono sufficientemente considerati. Sono il risultato di politiche migratorie che uccidono, discriminano e violano i diritti umani, che militarizzano le frontiere e utilizzano la detenzione e la deportazione, in contrasto con i trattati internazionali sui diritti umani riguardante la migrazione e l’asilo. Hanno bisogno di uno sforzo collettivo per non essere cancellati dalla terra, dal fuoco o dal mare; per non dire che è successo in terra marocchina “non europea“, che è stata gettata della terra sui corpi ancora caldi, che è stato un incendio appiccato per il capriccio di qualcuno all’interno o una barca sovraccarica in una notte di mare agitato.

Safura ci ha detto che i talibani non se ne sono più andati dal suo villaggio e per questo è stata lei a decidere di andarsene. Nemmeno i fascisti se ne sono mai andati dall’Europa né dal mondo, anche se si radono i baffi e si vestono con un maglione gettato sulle spalle, alla moda neoliberale per andare a votare o essere votato. Dove andiamo, Safura?

Non siamo di fronte a fatti isolati, e nemmeno sufficientemente raccontati. Sono il risultato di politiche migratorie che uccidono, discriminano e violano i diritti umani

Molte delle guerre di oggi sono silenziose; le frontiere non si disputano tra paesi e tra eserciti, ma tra confini di classe, razza e genere. Non c’è una dichiarazione di guerra iniziale e nessuno sa quando finiranno, semplicemente ci attraversano, si accumulano in noi e ci spostano ai margini fino a farci cadere. Fino a cancellarci dalle mappe con una velocità maggiore o minore a seconda del nostro posto nella graduatoria del sistema “come usa e getta”, di ciò che siamo in grado di produrre o consumare.

Melilla, Cutro e Ciudad Juárez, cartografie dell’impunità, storie di vite usa e getta che, individuandole sulle mappe, ci danno indizi e ci orientano in un mondo in cui, più avanzano il neoliberismo e il neofascismo, più è difficile incontrare il dolore degli esclusi insieme alla nostra stessa fragilità.

C’è una guerra non dichiarata contro i migranti e contro chi resiste di fronte al saccheggio e all’espulsione

Forse basterà lasciare che le parole appaiano là dove abbiamo lasciato morire, scomparire e messo a tacere le vite. Parole che si rivelano e si ribellano in ognuno di questi luoghi, di questi percorsi affollati di mappe di rischio, mappe amiche, di voci e megafoni, di conversazioni, di denunce, di gridi, pianti e sussurri…

Sono i sopravvissuti, le famiglie di coloro che non ci sono più o che sono scomparsi, i movimenti sociali e le comunità in resistenza, che fanno ordine tra le cianfrusaglie e i corpi delle migrazioni che gli Stati lasciano in giro, quegli stessi Stati che dicono di volere un patto globale per rendere le migrazioni sicure, ordinate e regolari, ma che sono riusciti solo a regolarizzare la scia di morti per migrazione e a ordinare e riciclare i loro affari di frontiera.

Il 24 giugno la Caravana Abriendo Fronteras e Carovane Migranti, tra gli altri, saranno a Melilla per dire basta ai massacri di Stato contro il popolo migrante. Non a Melilla, non a Cutro, non a Ciudad Juárez. È stato lo Stato. Verità, giustizia, riparazione e non ripetizione. Nessuna impunità, nessun oblio.