Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
La protesta davanti a UNHCR a Tunisi

«Se restiamo qui, moriremo»

Testimonianze di rifugiatə in Tunisia sul loro sit-in di protesta presso l'UNHCR di Tunisi, violentemente sgomberato

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Un gruppo di attivistə basatə in Tunisia ricostruisce le vicende del sit-in di migranti e rifugiatə contro UNHCR, attraverso le testimonianze dei e delle sue protagoniste. Le testimonianze, raccolte da marzo 2023, restituiscono il quadro di un Paese dove la loro sicurezza fisica, prima ancora che economica e sociale, è in pericolo. Soprattutto dopo il ciclo di violenze scatenate dal discorso razzista del Presidente Kais Saied del 21 Febbraio scorso, molte persone delle comunità nere “sub-sahariane” hanno chiesto l’evacuazione dalla Tunisia a UNHCR. L’articolo racconta nel dettaglio lo sviluppo degli eventi e le responsabilità dell’Agenzia ONU sulla violenza contro i e le manifestanti.

La traduzione del testo pubblicato in inglese su AlarmPhone e Migration control info project è di Valentina Lomaglio.

Introduzione: le proteste di migranti e rifugiate continuano in Tunisia

L’11 aprile 2023, rifugiati e migranti che stavano svolgendo un sit-in davanti agli uffici dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) nella capitale tunisina sono stati sgomberatə violentemente dalla polizia. Per quasi un mese, circa 250 persone hanno tenuto un’occupazione pacifica per chiedere l’evacuazione in un Paese sicuro, poiché le loro condizioni di vita in Tunisia sono diventate insostenibili. A causa delle minacce alla vita delle persone nere in Tunisia negli ultimi mesi, si erano rivolti all’UNHCR per ottenere protezione. L’UNHCR, tuttavia, non è riuscito a fornire loro nemmeno i beni di prima necessità, come cibo, acqua e riparo, e ha ulteriormente aggravato la situazione chiamando la polizia per sgomberare l’accampamento dei manifestanti. Durante lo sgombero, la polizia ha attaccato le persone (compresi i bambini) con gas lacrimogeni, causando gravi ferite. Secondo i manifestanti presenti, fino a 150 persone sono state arrestate e portate alla stazione di polizia, di cui 70 sono state rilasciate immediatamente. Altre persone sono state arrestate nei giorni successivi e molte sono ancora in carcere. Sono accusati di “violenza estrema contro un pubblico ufficiale nell’esercizio della sua professione, disobbedienza […] e danneggiamento intenzionale di proprietà altrui” (traduzione non ufficiale). Le persone detenute hanno riferito di essere state sottoposte a percosse e torture con elettroshock.

La negligenza dell’UNHCR nei confronti dei rifugiati e il contributo dell’agenzia alle violenze subite dalle persone in esilio sono stati documentati anche in altri Paesi. I rifugiati in Libia denunciano da anni l‘inazione dell’UNHCR in quel Paese in conflitto. Nella stessa Tunisia, il maltrattamento di rifugiati e migranti da parte dell’UNHCR ha una lunga storia. L’anno scorso, ad esempio, i rifugiati e i migranti hanno rilasciato una dichiarazione in cui si appellano all’agenzia, denunciando che “l’UNHCR ci emargina completamente, ci maltratta e si comporta in modo disumano”.

Il sit-in davanti all’UNHCR e l’escalation di violenza in corso

Dalla fine di febbraio 2023, circa 250 persone protestano davanti agli uffici dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM) nella capitale tunisina. Chiedono di essere evacuatə dal Paese nordafricano. Dopo il discorso razzista del presidente Kais Saied del 21 febbraio, il razzismo è diventato ancor più esplicito nel Paese. Un numero crescente di persone di colore è stato aggredito verbalmente e fisicamente, derubato dei propri beni, licenziato dal lavoro e sfrattato dai proprietari delle case che abitava. Inoltre, molti sono stati detenuti arbitrariamente dalle forze di sicurezza, e rimangono in carcere senza conoscere i loro capi d’accusa e alcuna assistenza legale. L’appello del presidente al discorso paranoico e razzista della “sostituzione etnica” ha innescato l’attuazione di leggi discriminatorie che per anni non erano state applicate con rigore. Un esempio è un decreto che vieta alle persone prive di documenti di affittare case.

In un commento, Haythem Guesmi su Al Jazeera ha osservato che “i commenti palesemente razzisti del presidente hanno scatenato un’ondata di violenze e abusi contro migliaia di neri africani che risiedono, studiano e lavorano in Tunisia, nonché contro i cittadini tunisini neri che sono circa il 10% della popolazione” e che  “sui social media, gli account razzisti si sono mossi per amplificare il messaggio divisivo di Saied usando la retorica xenofoba e hanno iniziato a incoraggiare la violenza della folla contro gli Africani Neri “criminali””.

La testimonianza di M. descrive alcune delle conseguenze del discorso del Presidente, come la detenzione arbitraria da parte delle forze di sicurezza tunisine. 

“La vita era già difficile prima del 21 febbraio 2023, ma la situazione è peggiorata. Dopo la dichiarazione razzista del presidente […] Stavo uscendo dal lavoro e un ufficiale della Guardia Nazionale mi ha arrestato, arbitrariamente. Stavo semplicemente camminando, non avevo fatto nulla di male. Gli ho mostrato la mia carta di rifugiato dell’UNHCR, ma mi ha arrestato lo stesso. Mi ha portato in una stazione di polizia e la mattina dopo mi hanno portato in tribunale senza spiegarmi nulla e senza darmi alcuna motivazione. Ho cercato di dire loro più volte che avevo i miei documenti, che avevo con me la carta dell’UNHCR […]”. [in aprile] M. è stato messo in carcere per 21 giorni.A., uno dei manifestanti davanti all’UNHCR, spiega come si sono organizzate le persone colpite dal discorso del Presidente: “Dopo il discorso di Kais Saied del 21 febbraio, abbiamo contattato alcuni rifugiati e migranti in Tunisia per parlare di ciò che sta accadendo qui. Molte persone hanno perso il lavoro e la casa. Abbiamo creato un gruppo WhatsApp perché avevamo bisogno di più idee su cosa fare. Abbiamo discusso della necessità di rivolgerci all’UNHCR per trovare delle soluzioni per noi. Perché si sa, ci sono discorsi d’odio dappertutto, veniamo arrestati senza motivo”. [15.04.23]

E., anch’egli parte del sit-in, aggiunge: “Sono venuto davanti all’UNHCR perché sono stato aggredito dopo il discorso del presidente. Alcuni hanno colto l’occasione per derubarci e aggredirci. Alcuni tunisini hanno rubato tutto nella nostra casa di Ariana [un quartiere periferico a nord di Tunisi]. Erano più di 50 ragazzi. Erano armati di pietre e bastoni. È per questo che sono venuto qui davanti all’UNHCR, per chiedere protezione perché mia moglie è incinta e ha bisogno di protezione. La nostra sicurezza non è garantita in Tunisia. Non possiamo restare qui“. [14.04.23]

Le persone rimaste senza casa in seguito allo scatenarsi delle violenze in Tunisia si sono riunite davanti all’ufficio dell’OIM alla fine di febbraio. A. spiega: “Siamo andati ad accamparci all’OIM perché è una zona sicura. Siamo rimasti lì, forse una settimana. Dopo una settimana, troppe persone si sono unite a noi, rifugiati e immigrati. Abbia discusso tra di noi: dovevamo andare all’UNHCR. Perché l’OIM è soprattutto per coloro che vogliono tornare a casa, per coloro che vogliono essere reinsediati nei loro Paesi. Ma noi abbiamo bisogno di un futuro. Non vogliamo tornare a casa nostra. Discutiamo e le persone accettano: “Ci piace andare laggiù, dobbiamo trovare un’altra soluzione, abbiamo bisogno che l’UNHCR trovi qualsiasi soluzione per noi, soprattutto l’evacuazione”. Andiamo laggiù, all’UNHCR, restiamo“. [15.04.23]

Per tutta la durata dell’occupazione davanti all’agenzia, i manifestanti non hanno ricevuto alcun sostegno dall’UNHCR – nonostante l’agenzia si descriva come “dedicata a salvare vite e a proteggere i diritti dei rifugiati, delle comunità sfollate con la forza e degli apolidi”. A. chiarisce che: “Non ci hanno aiutato. Mai. Non vogliono fare nulla per noi. Non vogliono che restiamo lì. Non ci hanno dato acqua, cibo, niente, niente. Non abbiamo potuto usare il bagno, niente. Anche le donne, nessuno”. [15.04.23]

UNHCR non solo non ha risposto alle esigenze delle persone che vivevano sul marciapiede davanti ai suoi uffici, chiedendo protezione ed evacuazione, ma ha anche minacciato lə rifugiatə, come quando un membro del personale locale dell’UNHCR ha detto ai manifestanti che sarebbero morti tutti in Tunisia. Questo sit-in, che si è svolto da marzo ad aprile 2023, non è la prima protesta condotta da migranti e rifugiati che denunciano le condizioni di vita dei neri, soprattutto stranieri, in Tunisia e chiedono all’UNHCR di intervenire. Nel 2022, un gruppo di persone ha vissuto e protestato per quattro mesi in quella stessa strada di fronte agli uffici dell’UNHCR, chiedendo lo sgombero. Anche la loro protesta è stata brutalmente repressa dalle forze di sicurezza. Rimanendo asservito alla volontà politica dei Paesi europei e trascurando le proprie responsabilità nei confronti della richiesta di evacuazione dei rifugiati, l’UNHCR aveva allora fornito ai manifestanti solo l’opzione di trasferirsi in un rifugio sovraffollato e mal servito alla periferia di Tunisi. A distanza di quasi un anno, i bambini ospitati in questo rifugio ancora non vanno a scuola e non è stato garantito alcun tipo di protezione alle persone costrette a vivere lì.

Secondo i dati dell’UNHCR, su una popolazione di quasi 10.000 sfollati forzati che vivono attualmente in Tunisia, solo 20 persone sono state reinsediate in Paesi terzi sicuri nel 2022. Nonostante l’aumento della violenza contro le comunità nere in questa prima metà del 2023, solo due persone sono state reinsediate quest’anno. Inoltre, la cifra fornita dall’UNHCR per il numero di sfollati presenti nel Paese non tiene conto degli stranieri di colore che vivono in Tunisia senza documenti che ne legalizzino il soggiorno, ma che hanno comunque bisogno di protezione. Molti di loro riferiscono di non essere riusciti a regolarizzare il proprio status a causa di procedure legali inadeguate e kafkiane. Come conseguenza di questo incubo burocratico, frutto di scelte politiche, molti non hanno accesso ai loro diritti fondamentali.

Quest’anno, queste stesse persone si sono nuovamente riunite insieme ad altre per chiedere la loro evacuazione dalla Tunisia davanti alla sede dell’UNHCR. Nelle parole di A:

“Ogni volta che veniamo a fare rumore, diciamo: ‘Abbiamo bisogno di evacuazione! Evacuazione!’. In modo che tutte  le persone sappiano cosa sta succedendo. Tutti devono essere informatə bisogno, in modo che ognuno dica ai propri amici cosa sta succedendo qui in Tunisia”.

Oltre alle condizioni disumane dell’accampamento auto-organizzato, i manifestanti hanno dovuto affrontare la violenza dei residenti locali in diverse occasioni. Sono stati aggrediti da cittadini armati di bastoni. Alla fine di marzo, una bambina yemenita è stata deliberatamente investita da un’auto, rompendosi una gamba. Per cercare di assicurarsi un livello minimo di protezione, i manifestanti hanno bloccato la strada del sit-in: “Per questo abbiamo chiuso la strada, lasciando solo una piccola via per le persone che ci camminavano”. [Parlando dell’aggressione contro la ragazza, A. aggiunge: “il luogo [di fronte all’UNHCR] non è grande. Quindi alla gente piace dormire, ok. Quindi dormono, si chiudono, perché sono in tanti”. Le forti piogge di una settimana all’inizio di aprile hanno ulteriormente peggiorato le condizioni del sit-in.

Lo sgombero violento da parte della polizia tunisina e la tortura delle persone imprigionate

L’11 aprile 2023, l’accampamento è stato violentemente sgomberato dalle forze di polizia, causando feriti e portando all’arresto di circa 150 persone. La situazione era già stata aggravata dalla polizia lunedì 10 aprile, che si era recata all’accampamento e aveva aggredito i manifestanti. Gli attacchi del 10 sono documentati in diversi video:

Il 10 aprile, la polizia ha attaccato la folla (composta da adulti e bambini) con gas lacrimogeni. “Stanno usando i gas lacrimogeni su di noi! Non siamo al sicuro in questo Paese. Ci stanno picchiando!”, si sente in uno dei video. Si vede una persona che fatica a respirare, disorientata dal gas, mentre un’altra continua a gridare “Oh Dio, aiutaci, non siamo al sicuro in questo Paese!”. In un altro video, la polizia insegue i manifestanti:

Il giorno dopo, 11 aprile 2023, la polizia è arrivata al mattino. Secondo il portavoce del Ministero dell’Interno tunisino, Faker Bouzghaya, la polizia è intervenuta “su richiesta dell’UNHCR”.

A. riferisce che:
“La polizia è arrivata alle 9 del mattino. Hanno provocato i manifestanti che a un certo punto non hanno più potuto resistere alle loro provocazioni.” [In un’intervista rilasciata due giorni dopo, ha spiegato più dettagliatamente come la situazione sia degenerata: “Abbiamo detto loro [alla polizia] ‘Abbiamo solo bisogno dell’evacuazione, veniamo qui e neanche a noi piace dormire per strada, abbiamo freddo’. Ma ci hanno detto che i vicini si erano lamentati, che ai cittadini questo non piace. Ma insieme alla polizia c’era una persona con una macchina fotografica, forse un poliziotto. Aveva una macchina fotografica e scattava alcune foto alle persone migranti che si trovano lì. Ha scattato una foto a una donna, credo dal Sudan. Questa ha chiesto alla polizia: “Perché mi fotografate?”. La polizia ha risposto: “Possiamo fotografarla. Qual è il suo problema?”. La donna chiede perché e chiede alla polizia di cancellare subito la foto. Dopodiché la polizia schiaffeggia la donna e tutti si scatenano. E tutto questo perché loro vogliono farci fuori. Creano questi problemi perché hanno bisogno di qualsiasi tipo di problema per dirlo alla gente. che creiamo problemi”. [15.04.23]

Prosegue: “La polizia ha attaccato tutti, anche donne e bambini. Hanno usato i gas lacrimogeni. Quando hanno lanciato i gas lacrimogeni sulla folla, è scoppiato il caos. La prima preoccupazione delle persone è stata quella di evacuare il luogo”. A. aggiunge: “Ci siamo legati le braccia l’un l’altro e abbiamo lasciato bambini e donne dietro di noi per proteggerli. Ma è troppo”. [13.04.23]

Prosegue: “In questo scenario, la gente si è difesa lanciando le bombole di gas lacrimogeno in direzione della polizia. Così, diverse auto sono state danneggiate. La rottura delle auto è stata pianificata dal personale dell’UNHCR per colpire la reputazione dei rifugiati che protestano davanti all’UNHCR, per poter dire che sono criminali che distruggono la proprietà privata. Ma il lancio delle bombole è stata una risposta all’attacco che avevamo subito con il gas: ovviamente le auto si rompono se si viene attaccati in un luogo in cui le auto sono parcheggiate. In quel momento, eravamo governati dalla paura e avevamo paura per le nostre vite”. [13.04.23]

In un’intervista rilasciata due giorni dopo, ha sottolineato la situazione dei bambini: “Sapete, la situazione è così assurda, alcuni bambini piangono a causa del gas. Alcuni mettono si lavano la faccia col latte a causa del gas”. [A., 15.04.23]

E. descrive le conseguenze dell’attacco con i gas lacrimogeni: “Mia moglie [incinta all’ottavo mese] è svenuta a causa dei gas lacrimogeni lanciati dalla polizia di fronte all’UNHCR e ha avuto dolori allo stomaco. Non sappiamo se il bambino stia bene o meno perché quando è svenuta è caduta sulla pancia“. [13.04.23]

Secondo la testimonianza di A., le persone hanno abbandonato l’area di fronte all’edificio dell’UNHCR dopo massimo cinque minuti. Sotto il pesante attacco della polizia, i manifestanti sono fuggiti verso il vicino edificio dell’OIM, dove altri rifugiati e migranti stavano tenendo un sit-in. “Siamo andati all’OIM perché non avevamo altri posti dove andare. Arrivati all’OIM, siamo stati accerchiati dalla polizia e nuovamente minacciati. Ci hanno affrontato di nuovo, per la seconda volta davanti all’OIM. […] abbiamo cercato di fuggire, ma alcune persone sono state arrestate. Più di 70 persone sono state arrestate. Ci sono alcuni che sono ancora dispersi, non sappiamo se sono in carcere o se sono stati portati in prigioni segrete, non abbiamo nessuna informazioni”. [13.04.23]

La polizia si sta muovendo brutalmente per sgomberare i migranti disarmati e i rifugiati certificati dall’UNHCR dal quartiere Lac 1 di #Tunis, dove si sono accampati senza tetto davanti all’OIM e all’UNHCR dopo gli sgomberi anti-nero del 21 febbraio.

A quel punto le persone hanno discusso sul da farsi: “In questo momento abbiamo perso l’area dell’UNHCR e non vogliono che restiamo nel campo dell’OIM. Dove possiamo andare? Discutiamo su dove andare, andiamo all’ambasciata statunitense, perché non abbiamo scelta”. [A., 15.04.23]In mancanza di altre opzioni e sempre alla ricerca di sicurezza, pur cercando di evidenziare il fatto che la Tunisia non è sicura per loro, i manifestanti decidono di dirigersi verso l’ambasciata americana, a circa 4 chilometri dall’edificio dell’UNHCR, in un quartiere chiamato Lac II. A. spiega: “Siamo sulla strada che porta all’ambasciata [americana], sulla grande strada che porta a La Marsa [un’altra quartiere di Tunisi]. Facciamo 200 metri e la polizia ci segue. Sai, i militari, quei poliziotti tutti in nero, quelli che si vedono nei film. […] Per questo i miei amici mi dicono: “A., devi correre, questi ti vogliono prendere, è troppo pericoloso per te”. Tutti noi scappiamo. Ma alcuni li prendono. Io corro, corro, corro. Mi nascondo nel ristorante di un amico che mi dice di venire, mi fa entrare nel ristorante, rimango lì per circa un’ora. due ore”. [A., 15.04.23]

Dopo lo sgombero, le infrastrutture di base del campo sono state completamente distrutte. Alcuni sono riusciti a fuggire, ma circa 150 persone sono state arrestate dalla polizia. Un articolo del Middle East Eye è stato il primo a informare il pubblico di questi eventi.

Oltre alla violenza dello sgombero, è importante sottolineare la violenza subita dalle persone detenute. Molte delle persone imprigionate hanno riferito di episodi di tortura e maltrattamento. La polizia ha sottratto telefoni, denaro e carte d’identità. Coloro che sono stati rilasciati hanno riferito di non aver ricevuto la restituzione di denaro e telefoni. Le carte d’identità sono state restituite solo dopo alcuni giorni. Non solo è un diritto delle persone riavere questi documenti, ma il fatto di averli trattenuti li rende più vulnerabili alla violenza della polizia, in quanto hanno bisogno dei loro documenti per dimostrare il loro status legale in Tunisia.

A. afferma: “Alcune persone mi hanno raccontato storie, è pazzesco. La polizia ti prende tutto dalle tasche. Alcune persone hanno perso tutto, tutti i loro soldi. Una persona dalla Nigeria ha perso 3.040 dinari. […] Molte persone hanno perso telefoni e soldi. La polizia controlla le tue tasche, se trova solo dei soldi, semplicemente li butta via. La polizia ha catturato più di 70 persone. Alcune persone sono state catturate per strada, hanno preso molte persone, qualsiasi persona ci fosse al Lac in quel momento, qualsiasi nero, qualsiasi nero. Le persone arrestate hanno riferito di aver subito scosse elettriche. (La polizia) le ha usate hanno fatto per interrogare”Chi è il leader? Chi ha postato i video sui social media?”, hanno fatto molte domande. […] Dopo circa cinque o sei ore di carcere, 20 persone sono state rilasciate. La polizia ha detto di non avere video per dimostrare che erano loro ad aver danneggiato le auto. Ma non è stato (ai manifestanti) il loro documento. Hanno chiesto ‘Perché?’, ma la polizia risponde solo ‘Potete venire domani’. Non ti dicono nessun dettaglio”. [15.04.23]

E. è stato torturato dopo essere stato arrestato. Egli testimonia: “Quando ho sentito che la polizia stava attaccando il nostro campo, sono tornato per sostenere mia moglie. Ma c’erano così tanti gas lacrimogeni che sono svenuto. Quando mi sono svegliato, ero nella stazione di polizia. Mi sono svegliato in una grande stanza con dei poliziotti, armati di bastoni di legno. I poliziotti stavano picchiando le persone nella stazione di polizia. Eravamo circa 150 migranti detenuti nella stazione di polizia. […] Circa 80 persone sono state portate in prigione. Le persone che non volevano dare le impronte digitali sono state picchiate. È stato molto doloroso. […] Nella stazione di polizia siamo stati picchiati tutti, ma alcuni di noi di più (quelli che erano davanti durante le manifestazioni… le persone più attive nella protesta). La polizia conosceva queste persone grazie ai video che abbiamo pubblicato sui social media. La polizia ha anche usato l’elettroshock su di noi. Mi hanno dato la scossa tre volte, ed è anche per questo che sono svenuto. Ho sentito un dolore enorme alla schiena. Ancora adesso sento dolore ai muscoli. Sono stato picchiato contemporaneamente da due poliziotti, ve lo immaginate?”. [14.04.23]

S. testimonia anche di maltrattamenti da parte delle forze di sicurezza tunisine: “Avevamo deciso di andare all’ambasciata americana, ma la polizia l’ha scoperto e non voleva che ci andassimo, così hanno iniziato a correrci dietro e ci hanno arrestato, portato in prigione e picchiato. Io ero una delle persone che sono state portate in prigione e sono rimasta sorpresa anche solo nel vedere quante persone erano state arrestate. Hanno persino messo delle iniezioni su un tavolo all’ingresso della stazione di polizia, per intimidirci sul fatto che le avrebbero usato contro di noi. Hanno anche usato dei bastoni e ci hanno preso a calci. Hanno preso molti ragazzi, come se fossero criminali, e li hanno dato la scossa elettrica“.[18.04.23]

Dopo l’attacco, nella notte tra martedì 11 e mercoledì 12 aprile, la polizia è tornata ancora una volta al campo dell’OIM. Utilizzando strategie di controinsurrezione – in particolare l’identificazione e l’arresto mirato dei “leader” del gruppo – ha cercato di indebolire la protesta: “Nella stessa notte, quattro persone sono venute al campo dell’OIM. La polizia civile ha svegliato le persone che dormivano davanti all’OIM, chiedendo dei [leader] […]. Lo hanno fatto perché devono chiudere questo fronte, vogliono prendere le persone, soprattutto i leader.” [A, 15.04.23]

Su Twitter, i Rifugiati in Tunisia riassumono così l’accaduto: “La polizia è arrivata alle 9 del mattino e ha continuato a provocarci, ma abbiamo trattenuto il fiato, ma quando hanno continuato a sparare la situazione è diventata folle. Alcune auto sono state distrutte perché la polizia ha sparato banyans per disperderci. Siamo stati attaccati dal personale di sicurezza chiamato dall’UNHCR per interrompere il nostro sit-in con la forza. Quando abbiamo cercato di difenderci, sono stati sparati dei gas lacrimogeni. Siamo fuggiti in un luogo sicuro, ma la polizia ci ha detto che l’UNHCR e l’OIM ci avevano abbandonato e che avremmo dovuto disperderci entro 5 minuti. Abbiamo deciso di rifugiarci in alcune ambasciate per proteggerci, ma siamo stati attaccati e picchiati con bastoni dalla polizia, donne, bambini e uomini sono stati arrestati. Ora abbiamo perso più di 80 persone che sono tenute prigioniere dal personale di sicurezza. La maggior parte dei nostri portavoce è stata presa di mira. Alcuni di quelli che sono riusciti a fuggire sono ancora in una prigione a cielo aperto, alla mercé di tutti. Vogliamo attirare l’attenzione sugli attivisti per i diritti umani. Abbiamo un estremo bisogno di voi”.

Come l’UNHCR maltratta chi è in cerca di sicurezza

I rappresentanti dell’UNHCR a Tunisi non hanno ancora accettato di essere intervistati né di fornire dettagli su questi recenti eventi. Come riportato dalla televisione locale, secondo il portavoce del Ministero degli Interni tunisino, l’UNHCR ha presentato la denuncia contro le persone che protestavano davanti al loro edificio e che hanno portato al violento sgombero.

Nel comunicato stampa dell’11 aprile 2023, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati afferma che “Il personale ha avuto colloqui regolari con i manifestanti per ascoltare le loro preoccupazioni e individuare soluzioni adeguate. Abbiamo fornito informazioni sulle opzioni disponibili per i rifugiati e i richiedenti asilo nel Paese, così come sulle limitazioni, in particolare per quanto riguarda evacuazioni umanitarie e reinsediamenti dalla Tunisia”. In particolare Monica Noro, rappresentante dell’UNHCR a Tunisi, esorta in questo comunicato stampa “a impegnarsi con noi nella ricerca di soluzioni significative e pacifiche, come ripetutamente proposto dall’inizio della manifestazione”.

Questo contraddice le testimonianze dei manifestanti, uno dei quali riassume la situazione come segue: “Devo parlare forse del motivo per cui l’UNHCR non vuole fare nulla. Sanno che le persone stanno morendo lentamente. Non si preoccupano delle persone. Perché? Vedono i bambini e le donne che dormono per strada, senza servizi igienici, senza nulla. A nessuno importa. Perché? Non amano parlare di queste cose. Non gli piace chiedere [ai Paesi terzi sicuri] l’evacuazione, per vivere una vita migliore. Vogliono che tu muoia in Tunisia. Per me è molto scioccante. Se non vi piace che io chieda l’evacuazione, per favore, datemi una vita migliore. Datemi una casa, datemi soldi per mangiare, capite cosa intendo? Se non ci date nulla, non abbiamo scelta.Te lo dico, se adesso questa protesta finisse, tra due settimane, tre settimane, la gente andrebbe verso il Mediterraneo, perché i loro problemi qui continuerebbero”.
[A., 15.04.23]

L’UNHCR ha trascurato i migranti per molto tempo, non solo in Tunisia, ma anche in altri Paesi. Più volte le popolazioni interessate hanno opposto resistenza. In Marocco, Niger, Egitto, Sudan e Libia, ad esempio, si sono svolte proteste per chiedere all’UNHCR di ascoltarli e di rispettare il mandato dell’agenzia. Tuttavia, il risultato è stato sempre lo stesso: l’UNHCR ha fatto finta di ascoltare ma non ha fatto nulla, ha continuato a trascurare la situazione e ha inasprito i toni fino alla repressione da parte del personale dell’UNHCR o delle autorità nazionali chiamate a intervenire. Questo si ripete ora in Tunisia e dimostra che questa negligenza è sistematica.Il mandato principale dell’UNHCR è quello di garantire la protezione dei rifugiati, dei rimpatriati e degli apolidi. Il numero di persone da proteggere nell’ambito di questo mandato è aumentato negli ultimi decenni.

L’impegno a proteggere, tuttavia, ha lasciato spazio ad approcci incentrati sullo Stato e sulla sicurezza. L‘UNHCR è diventato parte del regime di contenimento e gestione della migrazione attraverso fondi statali ed è un attore dell’esternalizzazione del controllo della migrazione europea e delle procedure di asilo al di fuori dell’UE. Lo spostamento dell’interesse che l’UNHCR persegue è associato ai meccanismi di finanziamento e alla grave perdita di pressione politica che può esercitare sugli attori statali e non statali per sostenere i diritti dei rifugiati. Inoltre, questo spostamento di interesse è anche legato al problema intrinseco del programma di reinsediamento, uno dei programmi di punta dell’UNHCR. Ancora una volta, il programma di reinsediamento è allineato con gli interessi degli Stati – e i Paesi europei sono difficilmente disposti ad accogliere i rifugiati – e quindi spesso rimane una promessa vuota. In Tunisia, l’UNHCR non sta spingendo la richiesta di reinsediamento dei rifugiati, poiché l’agenzia considera ancora la Tunisia un Paese sicuro per la maggior parte di loro, nonostante il discorso del Presidente e la violenza razzista che ha scatenato.

A., che si trova in Tunisia da quattro anni e ha una carta di rifugiato rilasciata dall’UNHCR, ha appreso in prima persona di queste pratiche di non assistenza: “Sì, l’UNHCR non funzionava prima. Ogni volta che le persone vanno all’UNHCR, non trovano soluzioni. Solo a poche persone sono stati dati dei soldi. Forse ad alcuni dicono che c’è un colloquio o una valutazione […], sai, ogni volta mentono alle persone.” [A., 15.04.23]

In un’altra testimonianza, un altro manifestante di nome A. spiega la prassi dell’UNHCR in Tunisia:
“Ho diverse malattie e si rifiutano di accettarmi in ospedale, anche quando mostro la mia carta di rifugiato. Ogni volta che non mi accettano in ospedale vado all’UNHCR per chiedere supporto, ma non fanno mai nulla per me. Un giorno sono andata nel loro ufficio e una persona che lavorava lì mi ha detto: “Vieni sempre qui e non abbiamo una soluzione per te, se non ti piace torna da dove vieni”. Non posso andare all’ospedale non solo perché non accettano le nostre carte, ma perché non ho soldi per pagare , è costoso e l’UNHCR ci dice di pagare e poi vi rimborseremo, ma molti amici non sono mai stati rimborsati”. 

L. sottolinea anche i lunghi periodi di attesa che comportano le interazioni con l’UNHCR, spiegando che “quando siamo arrivati volevamo registrarci all’UNHCR, li abbiamo chiamati e ci hanno detto che hanno il nostro numero e che ci richiameranno, sono passati 6 mesi e ancora non ci siamo registrati. Non abbiamo ricevuto nemmeno una telefonata e poiché vivevamo in una città diversa da Tunisi non potevamo recarci al loro ufficio”. 

In sintesi, i manifestanti evidenziano le loro esperienze di mancata assistenza da parte dell’UNHCR. A. riassume così la protesta e il suo sgombero: “L’UNHCR non era e non è ancora disposto a cambiare la situazione. Crediamo che il loro piano fosse quello di sgomberare e disperdere la protesta. Ora per noi l’obiettivo è garantire la sicurezza di coloro che sono ancora in carcere. E dobbiamo arrivare a dimostrare che la Tunisia non è sicura. Abbiamo bisogno di un’evacuazione. La situazione non è equilibrata. L’UNHCR nega di essere stato lui a chiamare la polizia, ma è ritenuto responsabile di ciò che è accaduto“. [13.04.23]

Fa anche luce sulla percezione dello sgombero da parte dei social media tunisini, che si sono concentrati molto sulla diffusione dei video delle auto danneggiate dai manifestanti mentre cercavano di difendersi dalla polizia, invece di spiegare le circostanze che hanno portato le persone a protestare davanti all’UNHCR e l’escalation di violenza dovuta alla mancanza di assistenza da parte. L’UNHCR ha rafforzato questa immagine negativa dei manifestanti descrivendoli nelle comunicazioni ufficiali come “violenti”e invitando a “smorzare le tensioni”. In realtà, secondo A., è vero il contrario: “Si tratta di un’operazione di commedia. Fanno tutto questo discorso sulla ‘gente che rompe le macchine’ per farci apparire come persone cattive”. [A., 15.04.23]

La situazione attuale

Ad oggi – 26 aprile – decine di persone sono ancora accampate davanti all’OIM senza alcuna soluzione all’orizzonte. Alcuni di loro hanno chiesto il rimpatrio, preoccupati che l’evacuazione non avverrà, mentre l’OIM li ha esortati il Paese visto il contesto attuale. Mentre alcuni attendono risposte sul loro rimpatrio, altri aspettano semplicemente l’opportunità di guadagnare un po’ di soldi e partire di propria iniziativa. In assenza di vie legali per lasciare la Tunisia, alle persone restano opzioni di viaggio che le espongono a gravi rischi, come cercare di raggiungere l’Italia attraverso il Mediterraneo o un Paese vicino (Algeria o Libia). Altri continuano a lottare per la loro evacuazione, non potendo rimanere in Tunisia. Questo è soprattutto il caso dei leader della protesta, molti dei quali sono stati presi di mira per l’arresto, mentre altri temono la criminalizzazione. Almeno 30 persone imprigionate dalla polizia il giorno dello sgombero dell’occupazione sono ancora in attesa del processo. I loro parenti, figli e amici li aspettano con ansia. Il 24 aprile, 15 persone sono state temporaneamente rilasciate grazie all’impegno delle organizzazioni della società civile.

Ripensando agli ultimi mesi, A. afferma che: “Quello che è successo è che la gente è stata totalmente demoralizzata, ha perso tutto: è stata cacciata dalle proprie case, poi ha protestato, poi è stata attaccata dalla polizia con i gas lacrimogeni, e adesso sono accusati di aver distrutto proprietà private e beni pubblici. Ma questa è la responsabilità dell’UNHCR e devono essere ritenuti responsabili”. Aggiunge: “Ora dobbiamo trovare il modo di parlare all’opinione pubblica tunisina per dimostrare che non siamo criminali, ma che siamo stati spinti in quella situazione”. [13.04.23]

I rifugiati in Tunisia continuano a chiedere l’evacuazione e il sostegno: “Stiamo morendo qui, tutto il mondo deve saperlo e aiutarci. I nostri fratelli nelle prigioni stanno soffrendo, siamo preoccupati per loro. Vogliamo essere evacuati in qualsiasi Paese, non possiamo tornare nel nostro Paese. […] Non vogliono vivere nella paura. […] La gente qui ci tratta come animali, i cittadini di questo Paese desiderano che ai neri accadano cose brutte. Non dico che sia così per tutti, ci sono anche persone buone, che vengono qui per aiutarci, perché si preoccupano per noi. […] Se restiamo qui, moriremo”. [S, 18.04.23]